venerdì 10 febbraio 2012

Come cambierà l'articolo 18


Il dettaglio della proposta avanzata dalla Cisl spiegata sulle pagine del suo quotidiano, Conquiste del Lavoro. Una mediazione che ieri, sulle pagine dell'Unità, è stata avallata anche dal responsabile Lavoro del Pd, Stefano Fassina
da Conquiste del Lavoro
e Unità
Sul tavolo del confronto sulla riforma del mercato del lavoro l'articolo 18 ormai pesa come un macigno. Inutile pensare che il problema possa essere eluso. Dunque, tanto vale affrontarlo. Ecco perché sul tavolo ora si discute di una proposta della Ci-sl al riguardo. In cosa consiste? Noi lo abbiamo chiesto direttamente al segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini.
Segretario, allora, qual è la posizione della Cisl sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori?
L'articolo 18 non deve essere cancellato. E' necessario, però, definirne meglio l'ambito di applicazione, restituendogli la funzione originaria di tutela dal licenziamento individuale senza giusta causa o giustificato motivo, chiarendo esattamente cosa si intenda per giustificato motivo.

Ecco, ci chiarisca cosa si intende per giustificato motivo di licenziamento?
Si deve prendere a riferimento la legge sui licenziamenti individuali precedente all'entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori (la 604/66) la quale chiarisce che il giustificato motivo del licenziamento può essere soggettivo, se determinato da notevoli inadempienze degli obblighi contrattuali del lavoratore, oppure oggettivo, se determinato da motivi economici. Nella prassi di questi anni sono stati unificati nelle modalità di tutela i licenziamenti individuali per motivi soggettivi e quelli per motivi economici (oggettivi) e l'articolo 18 è stato utilizzato anche a tutela di questi ultimi a causa di un vuoto legislativo.

Perché parla di vuoto legislativo? Quale dovrebbe essere la tutela nel caso dei licenziamenti per motivi economici? 
La legge che tutela i licenziamenti per motivi economici è la 223/91, che riguarda i licenziamenti collettivi, vale a dire dai 5 dipendenti insù. Per questo, surrettiziamente, quando ad essere licenziati per ragioni economiche siano un solo dipendente o comunque meno di 5 dipendenti, al lavoratore non resta che fare ricorso all'articolo 18. Nella realtà si verifica che in circa la metà dei casi il lavoratore decide di non fare neppure ricorso, mentre per coloro che decidono di ricorrere può esservi la reintegrazione nel posto di lavoro, ma l'esito è ovviamente incerto. Al lavoratore (o ai lavoratori) vengono in ogni caso a mancare le garanzie previste dalla legge 223, vale a dire una procedura preventiva, la negoziazione con il sindacato e l'indennità di mobilità che può durare da uno a tre anni.

Quindi la questione è come passare da una tutela eventuale ad una tutela certa?
Esattamente. La sostanza della proposta Cisl è quella di applicare anche ai licenziamenti individuali per motivi economici le tutele assicurate dalla legge 223, consentendo al lavoratore di passare da una tutela eventuale ad una tutela certa. Non solo. In questo modo si potrebbe anche contribuire allo sfoltimento delle cause di lavoro che appesantiscono la già sovraccarica macchina della giustizia civile. Giustizia che trova nella lunghezza dei tempi del processo la principale ncipale causa di insoddisfazione delle parti, qualunque sia l'esito processuale finale.

Non si dovrebbero quindi anche accorciare i tempi del processo?
Laddove ricorrano i motivi di applicazione dell'articolo 18, la Cisl propone di intervenire sui meccanismi del processo del lavoro favorendone la riduzione dei tempi, attraverso l'applicazione di una procedura d'urgenza che consenta di arrivare a sentenza nell'arco di un anno. Diversamente, i maggiori oneri causati dall'allungamento dei tempi processuali dovrebbero essere posti a carico di chi è responsabile di tale inefficienza, vale a dire l'amministrazione pubblica.

In sintesi?
Insomma, come si vede, nella proposta Cisl non c'è alcuna demolizione dell'articolo 18 ma, al contrario, una rivisitazione dell'impianto complessivo sui licenziamenti individuali funzionale ad ottenere una più efficace tutela dei lavoratori anche accelerando i tempi del giudizio. L'articolo 18, invece, resta intatto laddove serve a contrastare tutti gli abusi delle aziende, in particolare per tutelare i lavoratori nel caso di licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo soggettivo, oltre che nel caso di licenziamenti discriminatori.

UN'INTESA È POSSIBILE L'ARTICOLO 18 NON LA PREGIUDICHI
di Stefano Fassina e Emilio Gabaglio
Da quando si è aperto il confronto sulle riforme del mercato del lavoro la questione dell'art. 18, anche a seguito di alcune improvvide dichiarazioni governative, ha assunto, inopinatamente, una centralità che non merita fino a far dipendere dal suo destino, il giudizio sull'efficacia o meno di queste riforme. Nulla di più erroneo se si considera che, contrariamente alla vulgata imperante, anche la sua eventuale abolizione non contribuirebbe affatto a ridurre la precarietà, dato che questa è largamente diffusa nelle imprese in cui l'art. 18 non si applica, o a indurre le aziende ad accrescere l'occupazione visto che anche recenti indagini nel mondo imprenditoriale segnalano come assumere o meno dipenda da ben altre ragioni, essenzialmente legate all'andamento del mercato. Quanto poi alla relativa minore capacità dell'Italia di attrarre investimenti esteri è difficile pensare che essa dipenda da un eccesso di protezione del lavoro e non piuttosto da un'inadeguata modernizzazione del sistema-Paese nel suo complesso.

Non è un caso che anche il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, in occasione del suo recente soggiorno romano si sia sentito in dovere si segnalare che l'art. 18 «non è il punto fondamentale della riforma del lavoro» attualmente allo studio. Un'opinione tanto più degna di nota in quanto proveniente da un'organizzazione che è da sempre antesignana della flessibilità del lavoro. Occorre quindi evitare che, nel momento in cui la trattativa tra governo e pani sociali entra nella sua fase più stringente, sia l'art.18 a farla deragliare pregiudicando la possibilità di un accordo che è invece essenziale in questa fase e che appare a portata di mano, grazie anche ad una ritrovata convergenza unitaria del movimento sindacale che rappresenta essa stessa un valore aggiunto per il Paese. A quanto è dato capire i termini per raggiungere questo accordo esistono e sono tali da dare risposte alle vere questioni dell'emergenza occupazionale che stiamo vivendo: facilitando l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro attraverso un apprendistato rafforzato; incentivando l'inserimento e il reinserimento al lavoro delle donne, degli over 50 e di altre figure deboli; riducendo drasticamente le tipologie contrattuali atipiche e rendendo il lavoro flessibile più oneroso di quello a tempo indeterminato; garantendo che le misure di sostegno al reddito, da mantenere ed estendere, siano effettivamente accompagnate da politiche attive, di formazione, riconversione professionale e outplacement. Solo in questo quadro volto a rendere più inclusivo e fluido il mercato del lavoro ha senso affrontare anche alcuni aspetti dell'operatività dell'art. 18 senza rimetterne in discussione il valore come presidio per i diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro e la funzione deterrente rispetto a discriminazioni ed abusi. Innanzitutto riducendo la durata dei processi che oggi si protraggano per troppo tempo alimentando l'incertezza per le patti e anche accrescendo gli oneri per le imprese. In secondo luogo valutando se e come i licenziamenti individuali di carattere economico non possano seguire un percorso simile a quello per i licenziamenti collettivi della stessa natura, con l'intervento del sindacato e l'applicazione di analoghe provvidenze sociali, ferma restando la possibilità, qualora emergesse nella procedura il carattere pretestuoso del comportamento dell'impresa, di intraprendere da parte del lavoratore le vie legali per ottenere giustizia secondo la normativa vigente. (neretto nostro)
È un'ipotesi che merita di essere pragmaticamente esplorata in quanto essa, nel caso di specie, non priva il lavoratore di protezione ma l'affida all'azione sindacale. Auspicando che la trattativa in corso approdi al risultato sperato non sarà tuttavia superfluo ricordare che anche il miglior accordo sulle riforme del mercato del lavoro non è in grado di per sé di assicurare la creazione di nuove opportunità di occupazione, in primo luogo dei giovani e della donne, in assenza di una politica economica e industriale che promuova lo sviluppo. Su questo non meno che sul mercato del lavoro governo e le forze a suo sostegno in Parlamento sono attese alla prova.
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