lunedì 29 agosto 2011

Aspettando il 15 ottobre


Il calendario dell'autunno è già fissato: sciopero generale e movimenti "viola". Con l'occhio rivolto agli "indignadoso" e alla possibilità di una mobilitazione generale
Salvatore Cannavò
Il calendario dell'autunno inizia a infittirsi e a descrivere un percorso di mobilitazione contro la manovra economica, e contro il governo Berlusconi, che al di là della linearità delle date presenta moventi e progetti diversi. Un ruolo centrale lo ha assunto di nuovo la Cgil che si appresta a realizzare uno degli scioperi "più duri" degli ultimi anni solo dopo aver costruito l'unità sociale con Cisl, Uil e...Confindustria sia con l'accordo del 28 giugno che con il documento comune sulla crisi. La scena della conferenza stampa tenuta dalle "parti sociali" a palazzo Chigi in cui Emma Marcegaglia ha parlato a nome di tutti, anche di Susanna Camusso, risuona ancora nelle orecchie del mondo cigiellino e mostra quale errore di valutazione il segretario generale, e il gruppo dirigente che lo sostiene, abbia compiuto nell'ultima fase.

giovedì 25 agosto 2011

MANOVRA ECONOMICA E PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI



LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E A TUTTE LE FORZE POLITICHE



Il 12 e 13 giugno il voto referendario di ben 28 milioni di cittadine e cittadini italiani di ogni espressione politica ha chiaramente indicato la voglia di partecipazione attiva alle decisioni importanti per il Paese: servizi pubblici locali, beni comuni, energia, giustizia.

Chiara è stata la risposta dei cittadini: NO alla privatizzazione dei servizi pubblici locali d’interesse generale, a partire dalla gestione dell’acqua ma non solo, NO ai profitti del mercato sui beni comuni essenziali.

Le persone hanno chiaramente indicato alla rappresentanza politica una nuova stagione che metta al centro l’essere umano e i beni comuni e non le agenzie di rating e la speculazione finanziaria.

Purtroppo il governo non solo non ha ancora attuato le indicazioni referendarie retrocedendo sulle privatizzazioni già attuate e abolendo i profitti sull’acqua ma, con la manovra economica in fase di discussione parlamentare e già approvata con Decreto Legge n. 138 del 13 agosto scorso, ha riproposto (negli articoli raggruppati sotto il Titolo II) in altra forma la sostanza delle norme abrogate con volontà popolare.

Infatti, l'articolo 4 ripresenta il vecchio Decreto Ronchi e persino nuove date di scadenza per le prossime privatizzazioni dei servizi pubblici locali. Addirittura l'articolo 5 arriva a dare un premio in denaro agli enti locali pur di convincerli a lasciare al mercato delle privatizzazioni i propri servizi essenziali per le comunità. Un premio che dovrebbe servire per fantomatici investimenti infrastrutturali quando invece ai Comuni vengono sottratti trasferimenti essenziali per le loro funzioni.

Tutto ciò - oltre a non rispettare la volontà di partecipazione e le decisioni che i cittadini impongono ai rappresentanti politici - è una chiara violazione della Costituzione poiché il popolo italiano si è pronunciato con referendum contro l'affidamento al mercato di tutti i servizi pubblici locali previsti dal Decreto Ronchi, e tale decisione è vincolante per almeno cinque anni (come affermato dalla giurisprudenza costante della Corte Costituzionale).

Purtroppo ciò sta avvenendo in un colpevole silenzio politico generalizzato che non rispetta il voto dei cittadini (di qualsiasi colore politico).

Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche affinché non deformino l’esito referendario e rispettino l’indirizzo chiaro della volontà popolare.

Ci rivolgiamo al Presidente della Repubblica affinché, in aderenza al Suo ruolo di garante della Costituzione, non permetta che siano riproposte leggi che violano l’esito dei referendum popolari.




FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L'ACQUA





Chi libererà davvero la Libia?


Il regime di Gheddafi è stato ormai sconfitto e la Nato è riuscita a condizionare una delle rivoluzioni arabe. Ora si apre una nuova fase e resta aperto il problema di un rapporto con forze veramente del cambiamento e non semplici esecutori delle politiche occidentali

Piero Maestri
La caduta di Tripoli rappresenta la fine del regime di Gheddafi. Anche se nei prossimi giorni continueranno i colpi di coda e ci potranno essere ancora violenze e morti, sul piano politico l’autoritaria famiglia (in senso proprio e politico) al potere da 42 anni è arrivata al capolinea e non avrà più voce in capitolo nelle vicende libiche.
La crisi del regime era iniziata già nello scorso febbraio con le prime manifestazioni popolari a Bengasi e altre città, non solamente dell’est libico. Una crisi che aveva fatto pensare ad una rapida evoluzione politica, simile a quanto accaduto in Tunisia ed Egitto; una speranza che non aveva fatto i conti con le capacità militari del regime libico e con la struttura di milizie e di sicurezza messa in piedi in questi decenni, che ha permesso una reazione militare pesantissima del regime, le cui forze militari sono arrivate fino ai confini di Bengasi e hanno bloccato la rivolta armata, come in precedenza avevano colpito la protesta popolare. Il quadro è cambiato con l’intervento militare della Nato – “autorizzata” dalla solita ambigua e illegittima risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, del quale ormai è il solo braccio armato riconosciuto – che ha reso possibile la sconfitta militare del regime.
La caduta di Gheddafi è un evento senza alcun dubbio positivo, perché toglie di mezzo un dittatore sanguinario, che negli ultimi dieci anni era diventato anche un allievo modello delle ricette di Fmi e Banca mondiale, nonché partner economico-politico importante dei governi europei alla ricerca di liquidità per le loro economie in difficoltà e di un agente sul suolo d’Africa che fermasse le/i migranti prima di arrivare in Europa (delegandogli pratiche violente e campi di concentramento per i quali Gheddafi andrebbe processato insieme ai suoi mandanti europei...).
Le modalità della caduta del raìs libico pongono molte domande e rendono necessaria unariflessione politica da parte delle forze internazionaliste, in particolare quelle che fin dall’inizio della “primavera araba” hanno salutato con favore una rivoluzione regionale - che riteniamo ancora in corso - da sostenere e diffondere.
È indubbio, qualsiasi sia il giudizio sulle forze di opposizione libiche, che il principale contributo alla caduta del regime libico sia venuto dall’intervento militare della Nato. Un intervento che in qualche modo ha appreso la lezione dei precedenti iracheno e afgano: bombardamenti dal cielo (determinanti ma in proporzione inferiori a quelli sull’Iraq e sulla stessa Jugoslavia nel 1999) – con il solito carico di “effetti collaterali” dimenticati e nascosti; nessuna truppa di terra, a parte i consiglieri delle forze speciali che hanno operato come addestratori delle forze di opposizioni e come supporto alle missioni aeree; una pressione parallela sulla forze lealiste – colpite pesantemente e allo stesso tempo in misura inferiore a quanto accaduto in Iraq, e vedremo poi il motivo – e sugli stessi rivoltosi, ai quali è stato dato il massimo supporto militare cercando al contempo di controllarli e di inserire uomini di fiducia dell’occidente ai vertici.

lunedì 22 agosto 2011

Processo al capitalismo


Quello che sta accadendo sui mercati finanziari non è semplicemente colpa di Berlusconi, Merkel-Sarkozy o Obama ma la presa d'atto di una crisi globale di cui non si vede via d'uscita. Con la riduzione dei margini di profitto scatta la distruzione di capitale
Salvatore Cannavò
Un giorno la colpa è di Berlusconi, un altro di Obama, poi di Merkel e Sarkozy. La picchiata delle borse occidentali sembra dover trovare spiegazione solo nell’inconcludenza della politica dei governi. Che, effettivamente esiste, e vedremo perché, ma che da sola non spiega il disastro in corso. In realtà quello che i “mercati” stanno compiendoè un vero e proprio processo al capitalismo mondiale incamminatosi ormai da cinque anni sulla strada della stagnazione, se non della recessione, e che grazie a politiche pubbliche rivolte solo al salvataggio delle banche e della finanza, sta stravolgendo anche gli Stati.
Quello cui stiamo assistendo non è altro che un processo coordinato e potente di “distruzione di capitale” (Marx) evidentemente in eccesso rispetto alle capacità produttive e di realizzazione di profitto presenti attualmente sul pianeta. La caduta costante del saggio di profitto che si è realizzata negli ultimi venti anni (vedi Vladimiro Giacché in “Il capitalismo e la crisi”, DeriveApprodi e anche Bertorello-Corradi in “Capitalismo tossico”, Edizioni Alegre) sta in qualche modo a dimostrarlo. Un processo di portata gigantesca di cui le borse costituiscono la misura più corretta. I corsi azionari si sgonfiano perché le previsioni economiche sono fosche e perché quei titoli incorporavano attese di profitto che non si realizzeranno. La caduta del titolo Fiat è esemplare: quando Marchionne ripete che il mercato mondiale dell’auto è “in sovrapproduzione” sta pronosticando la fine di qualche costruttore,

domenica 21 agosto 2011

Londra: perché qui? Perché adesso?


Perché dunque sono sempre le stesse zone che s’infiammano, quali sono le cause? È puramente accidentale? O ci sarà un rapporto con la razza, la classe sociale, la povertà istituzionalizzata e il carattere sinistro della vita quotidiana?

Tari Ali
Perché dunque sono sempre le stesse zone che s’infiammano, quali sono le cause? È puramente accidentale? O ci sarà un rapporto con la razza, la classe sociale, la povertà istituzionalizzata e il carattere sinistro della vita quotidiana?Presi nelle loro ideologie pietrificate, i politici della coalizione (compresi quelli del nuovo partito laburista, che potrebbe benissimo partecipare a un governo di unità nazionale se la recessione prosegue) non possono dirlo, perché i tre partiti [Conservatore, Liberal-democratico e Nuovo Laburista] sono ciascuno responsabile della crisi. Sono loro che hanno creato il guasto.Privilegiano i ricchi. Fanno sapere che i giudici e i magistrati dovranno dare l’esempio infliggendo pesanti pene di prigione ai rivoltosi armati di pistole ad aria compressa. Non rimettono mai seriamente in discussione il fatto che nessun poliziotto sia mai stato punito nonostante più di mille persone sono morte dal 1990 mentre erano detenute. Qualunque sia il partito o il colore della pelle del parlamentare, recita gli stessi cliché. Sì, lo sappiamo che la violenza nelle vie di Londra è deplorevole

mercoledì 17 agosto 2011

TUNISIA, I RAGAZZI DI MENZEL BOUZAIANE


Si levano voci insofferenti del disordine generalizzato. La parte piu’ politicizzata della popolazione se la prende con le forze contro-rivoluzionarie che fanno il possibile per dare l’impressione che é tutto allo sfascio e per far rimpiangere il regime di Ben Ali
FABIO MERONE
Tunisi, 17 agosto 2011, Nena News – Il Ramadan era iniziato nel segno del nervosismo e della paura della penuria. Chi é capace di leggere il volto del paese, di sentire gli umori delle famiglie, le preoccupazioni del popolo, aveva capito che uno strano nervosismo si stava diffondendo tra la gente. Il temuto aumento dei prezzi! Benché si potrebbe obiettare che ogni ramadan é preceduto dall’ansia dell’ aumento dei prezzi e della speculazione sui beni necessari, un dato é certo: quest’anno la Tunisia si trova a sfamare circa qualche centinaio di migliaio di libici in piu’. Oltre ai locali, residenti provvisori che sono fuggiti dal paese limitrofo in conflitto, non bisogna dimenticarsi che i ribelli dell’ovest, anch’essi si riforniscono attraverso lo strategico punto di frontiera di Dhihiba, che Gheddafi ha cecato di sottrarre loro con tutte le forze. Insomma fa caldo e le giornate sono lunghe, si fa una fatica in piu’ a digiunare, ma la penuria non c’é stata!

Una crisi senza classe


Il capitalismo si dibatte in assenza di vie d'uscita e sembra riprodurre la figura del "cane morto" di cui parlava Marx. Una soluzione alla crisi spetta solo alla sinistra


Piero Bevilacqua
da il manifesto
Almeno due fenomeni, distinti fra loro, ma fortemente correlati, sgomentano oggi chiunque osservi la turbolenta scena dell'economia e della finanza. Una scena che ormai fa del presentedisordine mondiale il nostro pasto mediatico quotidiano. Il primo riguarda lo stolido e pervicace conformismo con cui banche centrali, governi, partiti, economisti, continuano a trovare «soluzioni alla crisi» riproponendo le usurate ricette che hanno l'hanno generato, e ora resa potenzialmente catastrofica. La seconda riguarda la rapidità con cui la violenza di alcuni potentati finanziari internazionali si trasforma in uno stato di necessità, accettato dai gruppi dirigenti dei vari Paesi come una inaggirabile calamità naturale. La minaccia di declassamento del debito viene vissuta come l'arrivo di un ciclone a cui si può rispondere solo chiedendo ai cittadini di rinserrarsi nelle proprie case. La cultura che non vede altra strada alle difficoltà presenti se non il vecchio e battuto sentiero, è la medesima che, in poco tempo, ha trasformato in senso comune l'impensabile. Uno Stato oggi può perdere la propria sovranità, come ad esempio accade alla Grecia (e accade in parte anche a noi) non per l'invasione di un esercito straniero, ma per il proprio debito pubblico. La ricchezza, il patrimonio artistico, la cultura, il territorio, il frutto di millenni di storia di un popolo può essere saccheggiato e spartito da predoni in giacca e cravatta che siedono dietro una scrivania a migliaia di km di distanza. È una novità storica di devastante violenza, eppure la stampa e gli esperti, con tono impassibile, fanno già l'elenco dei beni da privatizzare, dalle isole al Partenone. Quel che pochi considerano è che quel debito è frutto della medesima politica (e della medesima etica truffaldina) che oggi si erge a inflessibile rigore di razionalità economica. Il debito greco ha ricevuto - come ha ricordato Paolo Berdini su questo giornale - una potente spinta con le grandi opere delle Olimpiadi di Atene del 2004, con 20 miliardi di euro rimasti sul groppone dello Stato. Tutto questo secondo meccanismi ben collaudati, quelli appunto delle grandi opere - tavola imbandita per banche e grandi imprese di costruzione - che lasciano poi alla mano pubblica l'obbligo di accollarsi l'onere delle perdite private. La Tav in Val di Susa e il Ponte di Messina sono perfetti archetipi di queste strategie, che dopo i banchetti di banche e imprese sono destinate a lasciare stremate le finanze pubbliche

domenica 14 agosto 2011

La manovra contro il lavoro


Approfittando dell'accordo del 28 giugno, il governo rilancia l'attacco all'articolo 18. La Fiom chiede lo sciopero generale, la Cgil probabilmente sarà costretta a farlo
Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano
Nonostante da Confindustria e sindacati fosse venuto l’invito a non intromettersi il governo ha deciso di entrare a gamba tesa nelle relazioni sindacali fino a lambire lo Statuto dei lavoratori. Lo ha fatto con l’incentivo alla contrattazione aziendale e territoriale (nella manovra verrà defiscalizzato il salario aggiuntivo erogato dalle aziende) con le quali si potranno stabilire deroghe rispetto ai contratti nazionali su “mansioni, classificazione e inquadramento del personale, disciplina dell'orario di lavoro, modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro” ma anche su “recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio”. L’articolo 18, che secondo Sacconi “non è stato toccato” si potrà così in parte aggirare anche se resta da vedere la possibilità di disapplicare con contratti aziendali una legge generale.

sabato 13 agosto 2011

ALAA ASWANI: MILITARI PROTEGGANO RIVOLUZIONE


Il grande scrittore egiziano, protagonista della sollevazione anti-Mubarak, accusa i generali al potere di considerare il processo all'ex presidente non il primo ma l'ultimo atto della rivoluzione.
Roma, 13 agosto 2011, Nena NewsE’ giusto tirare le somme della «rivoluzione del 25 gennaio» a sei mesi dalla caduta del raìs Hosni Mubarak? Alaa al Aswani pensa di sì. Scrittore di punta, intellettuale impegnato in politica che, anche con i suoi romanzi, ha svolto un ruolo di primo piano nella denuncia del regime di Mubarak, Aswani non risparmia critiche al Consiglio supremo delle Forze Armate che guida la transizione egiziana dallo scorso 11 febbraio. «Non sono soddisfatto, le cose dovrebbero andare in modo molto diverso», dice scuotendo la testa. Laureato in odontoiatria a Chigaco, Aswani dieci anni fa ha deciso di seguire le orme del padre scrittore, Abbas al Aswani, scrivendo un romanzo, «Palazzo Yacoubian» (2002) – che racconta la brulicante vita di un edificio del centro del Cairo in cui gli abitanti affrontano la corruzione e la brutalità del regime – diventato in poco tempo un best seller in tutto il mondo. La sua capacità di catturare la vita dell’Egitto in tutte le sue diversità, dalla società alla politica, ha portato molti a paragonarlo al Premio Nobel per la letteratura Neguib Mahfouz. Abbiamo incontrato Alaa al Aswani nel suo studio di Garden city, al Cairo.

Prima festa nazionale della nuova rivista Letteraria

Si svolgerà dal 19 al 21 agosto a Caldarola, in provincia di Macerata. Nel programma eventi con Carlo Lucarelli, Wu Ming 2, Stefano Tassinari, Simona Vinci e tanti altri.
Le "Edizioni Alegre" di Roma, in collaborazione con la cooperativa "L'Officina" di Belforte del Chienti (MC), "Leggere 54" di San Benedetto del Tronto (AP), l'Associazione "In-divenire" di San Benedetto del Tronto (AP), l'Associazione "Altidona Belvedere" di Altidona (FM), l'Associazione "L'Altritalia" di Montegranaro (FM) e l'"Associazione Culturale C & S Multiservice" di San Ginesio (MC) vi invitano alla prima festa nazionale della nuova rivista "LETTERARIA" in programma nel centro storico di Caldarola (MC) venerdì 19, sabato 20 e domenica 21 agosto 2011.
VENERDI' 19 AGOSTOore 18,30 - c/o Le Scuderie di Palazzo Pallotta: inaugurazione della mostra di pittura di Stefania De Salvador "CAMPI APERTI" (la mostra resterà aperta tutti i giorni fino a domenica 28 agosto).ore 20: Piazzetta di fronte al Teatro Comunale, apertura dello stand gastronomico, con cena a prezzi popolari.

Quello spazio da attraversare



Sulla stampa prevale il commento distaccato e sociologico, spesso fuorviante. Ma il movimento inglese individua una forma della politica con cui fare i conti
Felice Mometti
Che siano i vecchi testi dei Clash -London’s burning e London calling - gli strumenti più utili per capire quello che sta accadendo a Londra ? Potrebbe sembrare una provocazione ma poi, pensandoci bene, non tanto. Se dovessimo rifarci solo ai commentatori dei media mainstream dovremmo concludere che siamo di fronte a saccheggi e incendi ad opera di fantomatiche gang criminali che hanno approfittato in modo strumentale di un “grave errore” della polizia. Uno schema interpretativo che si ripete stancamente dal 2005 con le ” notti dei fuochi” delle banlieues francesi, passando per la rivolta giovanile e studentesca greca del 2008, per approdare a Londra in questi giorni, solo per citare alcuni esempi. Quel che non si capisce, o si fa finta di non capire, è che pur nelle evidenti diversità queste forme di ribellione hanno dei tratti comuni. Partiamo dalle differenze.

Politica e rivolta



Il movimento che ha incendiato Londra troppo sbrigativamente è stato derubricato a criminalità giovanile. Ma esistono punti in comune con Atene, Parigi, Madrid. E la crisi continua a fare da sottofondo
Antonio Ardolino
A Londra sembra tornata la calma. La notte scorsa i 16.000 agenti radunati nella sola capitale hanno gestito quello che è stato un vero e proprio coprifuoco non proclamato. Gli scontri, però, si sono diffusi ad alcune città del nord, fiamme e barricate a Manchester, Liverpool, Birmingham, West Bromwich. E’ evidente ormai che i fatti stanno andando ben oltre la causa scatenante, cioè l’uccisione da parte di un poliziotto di Mark Duggan, di 29 anni, nella giornata di giovedì. La sua famiglia e gli amici avevano organizzato una veglia nella serata di sabato per chiedere risposte e chiarezza. Nessuno credeva alle prime versioni della polizia, che parlava di armi in pugno e uno sparo da parte di Duggan (versione poi smentita dalla stessa polizia nelle giornate successive). Alla veglia si erano radunate 150 persone all’esterno della stazione di polizia di Tottenham, quartiere a nord della città di Londra. Per la gran parte tutto è stato pacifico fino a che qualcosa ha fatto da scintilla.

giovedì 11 agosto 2011

150 DEPUTATI E SENATORI CONTRO STATO PALESTINA


Mobilitati dall’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele, oltre 150 membri di Camera e Senato appartenenti a un po’ tutti i partiti si schierano contro il diritto dei palestinesi di vivere liberi dopo 44 anni sotto occupazione militare israeliana.
EMMA MANCINI*
Roma, 11 agosto 2011, Nena News – Lo Stato Palestinese è un pericolo per la pace. Firmato: i parlamentari italiani. Sono oltre 150, tra deputati e senatori, quelli che hanno sottoscritto la petizione lanciata dall’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele contro il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Un documento che mette tutti d’accordo: gli oltre 150 firmatari coprono l’intero arco politico, dal Pdl alla Lega, dal Partito Democratico ai Radicali. Nella lettera, promossa dal direttivo dell’associazione (i deputati Enrico Pianetta – Pdl, Fiamma Nirenstein – Pdl, Gianni Verdetti – Api e la senatrice Rossana Boldi – Lega Nord) i politici italiani chiedono a Onu e Paesi europei di respingere l’eventuale dichiarazione unilaterale dell’indipendenza dello Stato di Palestina che il presidente dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen dovrebbe fare il mese prossimo alle Nazioni Unite.
“Noi, parlamentari italiani, riaffermiamo con forza il nostro impegno per una risoluzione pacifica e negoziata del conflitto tra israeliani e palestinesi, fondata sul principio di due Stati per due popoli che convivano l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza. Una prematura dichiarazione unilaterale, invece, non solo minerebbe il processo di pace, ma costituirebbe un affronto permanente all’integrità delle Nazioni Unite, dei trattati esistenti e del diritto internazionale. Crediamo che l’unilateralismo violi la legalità internazionale e metta in discussione il principio delle trattative tra i popoli”.
Secondo l’associazione, una dichiarazione unilaterale metterebbe a rischio l’impegno internazionale per la pace e in particolare le risoluzioni 242, 338 e 1850 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e cancellerebbe con un colpo di spugna gli attuali accordi di pace tra Israele e Palestina: “Una dichiarazione unilaterale violerebbe gli accordi già esistenti tra israeliani e palestinesi, tra cui gli Accordi di Oslo II in cui si afferma che: ‘Nessuna parte può prendere iniziative che cambino lo status della Cisgiordania e della Striscia di Gaza in attesa del risultato dei Negoziati Permanenti’ (articolo 31)”.
Inoltre, secondo i parlamentari italiani, l’indipendenza della Palestina si tradurrebbe in un mutuo riconoscimento della legittimità di un partito come Hamas, considerato da Israele e dai Paesi occidentali come una «organizzazione terroristica»: “Se una dichiarazione unilaterale di indipendenza dello Stato palestinese all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dovesse essere approvata, ciò costituirebbe un riconoscimento di Hamas, oggi parte dell’esecutivo palestinese (in realtà non si è ancora formato un esecutivo di unità nazionale con al suo interno il movimento islamico. Ndr) e tuttavia un’organizzazione terroristica fuorilegge nell’ Unione Europea, Stati Uniti e Canada. Tutto ciò mentre Hamas continua a opporsi ai principi base stabiliti dalla comunità internazionale: il riconoscimento del diritto di Israele a esistere, la rinuncia del terrorismo e il rispetto dei precedenti accordi internazionali”.
Per la precisione, la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza fu redatta dopo la Guerra dei Sei Giorni nel 1967 e stabiliva, come condizioni per il raggiungimento di una pace giusta e duratura, il ritiro militare israeliano dai Territori Palestinesi Occupati e il reciproco riconoscimento dei due Stati. La 338, dell’ottobre 1973, emessa in risposta alla Guerra del Kippur, chiedeva l’immediato cessate il fuoco e l’avvio di negoziati tra le parti.
Infine, la risoluzione Onu n. 1850 del 16 dicembre 2008 chiedeva alle parti di “astenersi da ogni azione che possa minare la fiducia o pregiudicare i negoziati”. Di lì ad una settimana Israele avrebbe lanciato un attacco militare senza precedenti contro la Striscia di Gaza, l’Operazione Piombo Fuso: in 22 giorni di bombardamenti ininterrotti e di azioni via terra, cielo e mare, i palestinesi uccisi saranno 1366, tra cui 430 bambini.
Appare davvero poco chiaro come un riconoscimento d’indipendenza possa mettere a repentaglio risoluzioni Onu mai applicate e costantemente violate dallo Stato d’Israele: il ritiro militare dalla Cisgiordania e da Gaza non si è mai verificato, la colonizzazione prosegue selvaggia, la  costruzione del Muro va avanti nonostante le stesse Nazioni Unite e la Corte Suprema israeliana abbiano dichiarato la barriera illegale sia secondo il diritto internazionale che secondo la legge interna di Tel Aviv, Gaza vive bombardamenti quotidiani. Nena News
http://www.alternativenews.org/italiano/index.php/topics/news/3067-no-allo-stato-di-palestina-firmato-i-parlamentari-italiani