lunedì 29 aprile 2013

I due marò non rischiano la pena di morte. Punto.


In Italia si continua a straparlare di un pericolo di pena capitale per i marò inesistente. Eppure l'India da settimane ce la sta mettendo tutta per spiegarci come stanno davvero le cose. Proviamo a spiegare nel modo più asciutto possibile cosa vuole comunicarci New Delhi.

Matteo Miavaldi da China Files
Venerdì 26 aprile, dopo aver rimandato per ben due volte l'udienza in meno di una settimana, la Corte suprema indiana si è finalmente pronunciata su uno dei diversi grovigli burocratici che caratterizzano il caso Enrica Lexie, conosciuto meglio in Italia come l'affare dei Due Marò.
La Corte ha stabilito che, come da indicazioni del governo centrale di New Delhi, le nuove indagini sull'incidente del febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala saranno affidate alla National Investigation Agency (Nia) e non, come richiesto dalle autorità italiane, al Central Bureau of Investigation (Cbi).
La notizia, nel tragitto dall'India all'Italia, si è come di consueto colorata di una serie di accezioni tragicheche, esaminando con cura le indiscrezioni filtrate sulla stampa indiana, rientrano in quella che i Wu Ming hanno efficacemente descritto alcuni mesi fa come la “narrazione tossica” propinata all'ignaro pubblico italiano.

FRIULI VENEZIA GIULIA: UN VOTO ALL’INSEGNA DEL BIPOLARISMO



elezioni-regionali
di Marco Nicolai

Il primo dato da sottolineare nelle elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia, svoltesi il 21 e 22 aprile, è stato il forte calo dell’affluenza rispetto alle ultime tornate. L’astensione quasi al 50% costituisce un vero e proprio record per un territorio che si era sempre distinto per una più o meno costante partecipazione dei cittadini agli appuntamenti elettorali (basti ricordare il 72,33% di affluenza alle regionali del 2008 e il 77,19 % alle elezioni nazionali di appena due mesi e mezzo fa, per quel che concerne la Camera dei Deputati). Certo, il mancato accorpamento delle elezioni nazionali a quelle amministrative può aver pesato in tal senso, tenendo conto, oltretutto, del quadro di stallo politico-istituzionale in cui si sono svolte queste ultime. Ma il dato ci parla anche di una complessiva sfiducia verso la classe politica regionale (da cui non si sottrae neppure il M5S che passa, per quanto concerne i voti di lista, dal 27% circa delle politiche di febbraio al 13,7% attuale), in una regione dove ormai da tempo le ricette neoliberiste, portate aventi sia dal centrosinistra che dal centrodestra e concretizzatesi in razionalizzazioni e privatizzazioni dei servizi, scelte impopolari e nocive sul versante ambientale, nonché progressive, indisturbate delocalizzazioni delle fabbriche verso il più conveniente e vicino “Est Europa”, non hanno fatto che peggiorare le condizioni di vita della popolazione, acuire l’impoverimento dei lavoratori e accelerare la “proletarizzazione” di quella piccola e media borghesia che aveva costituito nell’immaginario nazionale il “miracolo” del produttivo nord-est.

La coerenza è l’optional del PD



Letta&Letta

Piccola antologia di quando Letta, Bersani, D’Alema e company giuravano che mai e poi mai con Berlusconi. A futura memoria
«Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013).
«I contrasti aspri tra le forze politiche rendono non idoneo un governissimo con forze politiche tradizionali» (Enrico Letta, 29 marzo 2013).

Giuramento di sangue



Enrico Letta
Enrico Letta
di Francesco Locantore
Questa mattina si sono sovrapposti due fatti che segneranno il clima politico della prossima fase. Il giuramento del nuovo governo, presieduto da Enrico Letta e una sparatoria davanti a palazzo Chigi, nel pieno centro di Roma, proprio davanti al palazzo del governo.
I primi commenti su quello che viene chiamato “attentato” (ma a chi?) colpevolizzano chi in questi giorni si è opposto all’inciucio politico istituzionale tra centrodestra e centrosinistra. La destra fascista di Alemanno, La Russa e Gasparri non ha tardato ad ascrivere l’episodio al clima di intolleranza contro il ceto politico che è stato montato in questo ultimo periodo in particolare dal Movimento 5 Stelle. Il presidente del Senato Pietro Grasso è stato chiaro sulle implicazioni politiche: occorre “mantenere la calma e avviare un periodo di coesione sociale”.
Mentre i giornalisti si buttano sulla vicenda ansiosi di capire se si tratta del gesto di un disperato o di un folle (o di un folle disperato?), ci sembra invece utile capire a chi giova un gesto del genere e quali funesti sviluppi annuncia?

giovedì 25 aprile 2013

No al governissimo sindacale


di Giorgio Cremaschi (da www.rete28aprile.it)
ASSEMBLEA NAZIONALE DELEGATI FIOM CGIL
Il direttivo nazionale della CGIL ha dato via libera, con la sola opposizione della rete 28 aprile, alla stipula del patto sulla rappresentanza.

Che bello, diranno gli ingenui, finalmente c’è la democrazia sindacale. Beh, non è proprio così.
L’accordo che si prefigura si basa sullo scambio tra diritto alla rappresentanza e esigibilità degli accordi. Che vuol dire in concreto? Facciamo un esempio.
Nel 2010, alla Fiat di Pomigliano, Sergio Marchionne impose una accordo gravemente lesivo delle condizioni e delle libertà dei lavoratori. Quel patto fu accettato dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali, delle rsu e dei lavoratori con un referendum. La FIOM comunque rifiutò quello che definì giustamente un ricatto, non accettò il pronunciamento maggioritario e si mise a contestare l’accordo per via sindacale e legale; e per questo fu esclusa dalla rappresentanza sindacale in Fiat e i suoi iscritti discriminati sul lavoro.

mercoledì 24 aprile 2013

Napolitano e Enrico Letta, il nuovo “ticket” della borghesia


di Andrea Martini

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Mentre stavamo per pubblicare l’articolo che segue, giunge la notizia dell’incarico di presidente del consiglio a Enrico Letta, che ha accettato seppure con la rituale “riserva”. Letta tenterà dunque di formare il governo di “larghe intese”, che Napolitano ha indicato e che la borghesia vuole, pur definendolo “governo di servizio al paese”. Naturalmente il quarantasettenne Letta rappresenta il massimo di “innovazione” che il sistema politico può offrire, pur essendo un politico già lungamente navigato, più volte ministro negli ultimi quindici anni, ex popolare, vice di Bersani nella guida del PD, ma nipote del braccio destro di Silvio Berlusconi, ha il massimo di caratteristiche per garantire l’affidabilità sociale del suo governo e del suo programma e la coesione tra tanti partiti litiganti e rissosi fino a ieri. Il fatto che nel suo discorso di ringraziamento per l’incarico abbia dato la priorità alla sofferenza popolare e all’emergenza lavoro, come sappiamo, non vuol dire nulla. Fiato all’economia può essere dato in tanti modi, spesso socialmente antitetici e i libri che ha scritto parlano soprattutto di liberalizzazioni piuttosto che di salari e di investimenti sociali. L’altra priorità indicata sulla “riforma della politica” anch’essa sarà con tutta certezza affrontata con una stretta efficientistica e decisionista. Dunque, l’incarico conferito a Enrico Letta ci sembra non solo non smentire ma perfino rafforzare quanto scritto qua sotto.

Elezioni del presidente: non è un golpe, ma…


di Antonio Moscato (da Movimento Operaio)

Ho sempre criticato gli eccessi verbali, le “frasi rivoluzionarie”,  che impediscono di descrivere efficacemente la realtà. Mi ha dato fastidio l’abuso del termine fascista per definire quasiasi regime autoritario, o per insultare un avversario politico. Non sono stato d’accordo quindi con Grillo quando ha definito un “golpe” l’elezione di Napolitano. È stata una scelta indecennte, ma rientra perfettamente nel quadro del “normale” funzionamento di una democrazia parlamentare in cui la grande maggioranza degli eletti sono abituati a ingannare e calpestare la volontà dei propri elettori, confidando sulla loro memoria corta, e sull’efficacia delle campagne di intossicazione condotte dai mass media.

lunedì 22 aprile 2013

La metamorfosi delle èlite


Primarie, web e quote rose modificano le forme di accesso ai posti di potere. Sono emersi volti e nomi nuovi ma non è nata una classe dirigente. Un interessante articolo su la "Lettura" del Corriere della sera, con una citazione dell'Elogio della politica profana di Bensaid.

Dario Di Vico da Il Corriere della sera
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati in Italia da una bassa circolazione delle élite. A determinare il fenomeno è stata innanzitutto, a monte, un’altrettanto scarsa mobilità sociale, che, dopo aver vissuto i lampi degli anni Settanta e Ottanta, è via via scemata, producendo vischiosità e carriere pilotate. Dai partiti, dalle associazioni di rappresentanza, dal familismo. A rendere arduo il ricambio ha contribuito in maniera potente la pratica della cooptazione dall’alto, che quasi mai si è rivelata sorprendente nelle sue scelte, anzi ha finito per seguire nove volte su dieci un rituale in cui il sorpasso meritocratico non era previsto, era considerato destabilizzante. L’ascesa verso l’alto era quindi scandita da cooptazioni successive e sapientemente limitate a un gradino alla volta. La novità sorprendente degli ultimi mesi, invece, è stata l’improvvisa riapertura della circolazione, o forse dovremmo dire più schiettamente che c’è stata una vera liberalizzazione delle élite che ci ha colto in contropiede e che ha investito il settore che appariva più restio al rimescolamento, la politica. E non invece quegli ambiti della società civile che pure programmaticamente avevano fatto della meritocrazia una bandiera da sventolare (forse solo a uffici chiusi).

Ci salverà un Rodotà?


Lo scontro tra le due figure presidenziali non esprime una diversa via d'uscita dalla crisi della democrazia rappresentativa. E la sinistra non può pensare di ricostruire sé stessa con nuovi assemblaggi o con leader miracolistici

Felice Mometti
Perché il presidenzialismo da "stato di eccezione" di Giorgio Napolitano sarebbe foriero di ulteriori strappi alla Costituzione, di aggravamento delle politiche di austerità e di riduzione ai minimi termini della democrazia parlamentare e invece il presidenzialismo "dolce", invocato nelle piazze e sui social network, di Stefano Rodotà sarebbe una svolta verso il ripristino di una corretta democrazia rappresentativa - epurata dalla casta - e il ristabilimento della divisione dei ruoli e dei poteri istituzionali tra parlamento, esecutivo e magistratura? Portando all'estremo questa immagine ne escono un Napolitano-Joker e un Rodotà-Batman. Una semplificazione della crisi politica-istituzionale dai tratti fumettistici.
L'illusione che la rigenerazione di un sistema politico passi attraverso le più alte cariche della Stato, dalla presidenza della Camera, del Senato e adesso della Repubblica ha mietuto molte vittime soprattutto a sinistra. Non è un caso.

domenica 21 aprile 2013

Ri-costruire, non ricomporre una sinistra che non c'è più


Ri-costruire, non ricomporre una sinistra che non c'è più

Piero Maestri Gigi Malabarba Tatiana Montella
In questi giorni si moltiplicano gli appelli per riaggregare una sinistra frammentata. Noi pensiamo invece che non servano astratti "fronti" ma nuovi spazi di politicizzazione, e sperimentazioni sociali da cui possano nascere nuove soggettività politiche.
Piero Maestri Gigi Malabarba Tatiana Montella
La sinistra di classe, anticapitalista e non, si trova di fronte al fallimento ereditato dagli errori degli ultimi decenni. Quello che sta accadendo è un sommovimento enorme, evidenziato dal voto dello scorso febbraio, ma che affonda nella storia più o meno recente. La scomparsa dalla scena politica di dirigenti come Achille Occhetto o Fausto Bertinotti si rivela oggi, solo come l'avvisaglia di una crisi più profonda. E' la sinistra italiana, in quanto tale, che arriva all'ultimo redde rationem. Lo scontro tra Bersani e Renzi ne è l'indicatore e tentativi come quello del ministro Fabrizio Barca, dicono che rimescolamenti e “ripartenze” sono ancora in programma.

Elezione del presidente, un’occasione sprecata


di Antonio Moscato
bersani_napolitanoNon ho commentato lo squallido spettacolo del voto per il presidente della repubblica, un po’ perché non riesco ad appassionarmi alla questione: con questa repubblica, nessuno, neanche il migliore dei candidati potrebbe cambiare davvero le cose. D’altra parte ci si è appassionati per un nome o per l’altro, senza che si sia mai discusso dei compiti, dei programmi. Quando i 160 deputati e senatori del M5S hanno scoperto finalmente la possibilità di far politica e di incidere sulle contraddizioni del PD, lo hanno fatto proponendo al PD dei candidati accettabili: hanno scelto (sia pure in modo non limpidissimo, dato che hanno evitato di comunicare i voti raccolti da ciascuno) quasi tutte persone per bene, ma senza la minima caratterizzazione di classe.

La morte della sinistra e la neo-monarchia



E’ un cambio d’epoca quello avvenuto in Parlamento. Il Pd è imploso sulle sue mille contraddizioni e la democrazia rappresentativa abdica a favore di un nuovo sovrano. In campo resta solo Grillo con cui bisognerà fare i conti fino in fondo
Non capita spesso di vedere in azione il suicidio in diretta di un partito. Il Pd ci ha offerto questa opportunità che potrà produrre un’ulteriore involuzione del sistema politico italiano. In parte lo ha già fatto. Ma è da questa strada che passa l’avvio di una discussione sul senso e la natura di una moderna sinistra.

Elezioni del presidente: il peggio non è mai morto


di Antonio Moscato (da Movimento Operaio)
Incredibile e scandaloso. Il gioco al massacro che appariva incomprensibile alla maggior parte degli esseri normali, ha una spiegazione. Era impossibile far ingoiare con altri mezzi le “larghe intese”, cioè riportare al governo Silvio Berlusconi, la Santanché, il grottesco Gasparri, quindi si è dovuto mobilitare personalmente Giorgio Napolitano, fautore da sempre di quell’unità nazionale che ha prima logorato poi distrutto la sinistra, alleandola a quelli che un tempo erano i suoi nemici e cancellandone l’identità. Così potranno fare tutti insieme le famose “riforme” che distruggeranno gli ultimi residui di democrazia formale.
Mi pare difficile che questa orribile soluzione venga bocciata, tenuto conto che si mobiliterà in suo favore tutta la destra, e soprattutto che nessuno della cosiddetta sinistra ha osato rifiutarla apertamente. Persino Vendola, mentre formalmente annunciava il suo voto ancora per Rodotà, ha ribadito la sua stima per Giorgio Napolitano, senza avere il coraggio di dire che non la merita, che non è al di sopra delle parti, ma è l’esponente di una fazione che conduce una guerra feroce contro ogni residuo dei diritti dei lavoratori.

martedì 16 aprile 2013

Servizi pubblici, ora l’attacco viene dal Wto



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Anche nel mezzo della crisi, le politiche di liberalizzazione non si fermano. Sotto tiro al Wto sono ora i servizi pubblici – insieme a quelli privati – con un progetto di accordo che va fermato subito
Non è bastato aver vinto il referendum sull’acqua pubblica, e aspettare ancora che i cambiamenti conseguenti vengano introdotti nella legislazione nazionale, come succederebbe in ogni democrazia che voglia dirsi tale. Ora arriva una nuova minaccia contro l’accesso a un diritto essenziale come quello all’acqua, ma anche alla salute, all’istruzione, all’energia o alla comunicazione. Il mostro già ucciso una volta, che ora resuscita e si riaffacci alla finestra, come in un film dell’orrore, si chiama Gats: l’Accordo sul commercio nei servizi dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto).
I paesi ricchi in cui hanno sede imprese multinazionali forti in questo settore, a cominciare dall’Europa, hanno tentato di ampliare l’ambito dei negoziati di liberalizzazione commerciale del Wto ad attività come il servizio idrico, quello sanitario, l’istruzione, le comunicazioni, l’energia.

di Franco Turigliatto

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Alcuni giorni fa i metalmeccanici torinesi sono tornati numerosi in piazza (in molte migliaia) rispondendo all’appello della Fiom: “Rompere il silenzio, no ai licenziamenti”. La riuscita della manifestazione non era scontata perché la grande maggioranza dei partecipanti non si rivede giornalmente in fabbrica ma sono in cassa integrazione. Infatti lo sciopero non era generale dei metalmeccanici, coinvolgeva solo alcune aziende in difficoltà, dove ancora si lavora parzialmente. La gran parte dei partecipanti era di aziende che in questa fase sono del tutto inattive e i tanti striscioni di fabbrica erano lì a dimostrare il precipitare della crisi.
I dati della provincia di Torino sono drammatici: su 406 aziende in difficoltà prese in esame nel 2008, al momento dell’inizio della grande crisi, il 31,7% ha chiuso con una perdita del 25% degli addetti, cioè circa 12.000 posti di lavoro. E sta per piovere sul bagnato perché tra pochi mesi scadrà la cassa integrazione per altri 3.000 lavoratori che rischiano quindi di essere licenziati.

Chávez ha vinto ancora.


di Antonio Moscato

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Da qualche giorno circolavano voci su una spettacolare rimonta del candidato dell’opposizione, Henrique Capriles, rispetto a Nicolas Maduro, l’erede designato da Chávez, che all’inizio della campagna elettorale sembrava in vantaggio di oltre dieci punti.

La rimonta c’è stata, ma insufficiente. Maduro ha vinto lo stesso, sia pur con uno stacco di poco più di 200.000 voti (7.505.338 contro 7.270.403). Da un certo punto di vista, un buon successo (tra l’altro invidiabile per moltissimi leader europei, in elezioni limpidissime sotto controllo internazionale), ed è comprensibile che i voti per il candidato bolivariano siano un po’ meno degli 8.191.132 ottenuti il 7 ottobre 2012 da Chávez, dato che il carisma di Maduro non è minimamente comparabile a quello di Chávez. Tuttavia preoccupa che il candidato dell’opposizione abbia aumentato ulteriormente i suoi voti in così poco tempo (nell’ottobre scorso erano già cresciuti, ma si erano fermati a 6.591.333). È evidente che uno scarto così piccolo, che rivela un paese profondamente spaccato in due, potrà incoraggiare le tendenze estremiste che hanno sostenuto Capriles, lasciandogli fare il gioco del moderato quasi progressista, ma si preparano ad approfittare di ogni difficoltà economica e di ogni possibile errore del governo.

La dichiarazione comune: un forte segnale e una proposta di lavoro


di Franco Turigliatto

Torino
La dichiarazione comune per costituire una coalizione anticapitalista (non un appello, ma “una proposta di lotta”) per un movimento politico anticapitalista e libertario, avanzata da numerosi militanti sindacali, sociali e politici, costituisce un rilevante avvenimento politico e una forte indicazione di lavoro per coloro che vogliono contrastare le politiche di austerità e le scelte della borghesia italiana ed europea. Essa costituisce il tentativo di muovere i primi passi per contrastare la totale frammentazione delle forze, esigenza percepita e richiesta da tantissime/i militanti, e dare vita a una iniziativa unitaria capace di nuova efficacia sociale. Per questo ho aderito e credo che in tante e tanti ci si debba impegnare in questo progetto di lavoro.

giovedì 11 aprile 2013

Alba Dorata non è un fenomeno solo greco


L'esplosione della destra neofascista in Grecia, somiglia a quelle degli anni Trenta, durante una crisi economica e sociale simile a quella attuale. Per impedire che la storia si ripeta arriva dalla Grecia un "Manifesto antifascista europeo".

Yorgos Mitralias

Una cosa che gli europei hanno avuto il tempo di capire è che né la crisi, né le tragedie sociali che l'accompagnano sono specificamente greche. E purtroppo, tutto ciò indica già un'altra cosa che gli europei avranno tutto il tempo di capire, ovverosia che il partito neonazista Alba Dorata non è appannaggio esclusivo dei greci. Senza dubbio, tale affermazione sarà accolta da alcuni con molto scetticismo: “Da noi, né le nostre tradizioni, né la nostra cultura, né il nostro temperamento permetterebbero mai tali fenomeni”. È esattamente ciò che tutti i greci – anche i più accorti di sinistra – dicevano solo nove mesi fa quando uno o due “folli” di fervente immaginazione li avvertivano che la peste nera stava per invadere la loro società. Del resto, niente di nuovo. È come se la storia – quella tra le due guerre – si ripetesse: chi avrebbe potuto immaginare che “le tradizioni”, “la cultura” o “il temperamento” degli italiani o dei tedeschi avrebbero permesso la nascita e l'ascesa al potere del fascismo e del nazismo?

La Thatcher è morta. Tina no



Mirror
Il regista Ken Loach sulla mostre di Margaret Thatcher

«Margaret Thatcher è stata il primo ministro più controverso e distruttivo dei tempi moderni», ha sostenuto Ken Loach. «La disoccupazione di massa, la chiusura di fabbriche, le comunità distrutte: questa è la sua eredità. Era una combattente e il suo nemico era la classe operaia inglese. Le sue vittorie sono state aiutate dai capi politici corrotti del Partito laburista e di molti sindacati. È a causa di politiche avviate da lei che siamo in questo casino oggi». Loach ha avuto parole pesanti anche per Tony Blair: «Se la Thatcher era la suonatrice di organetto, lui era la scimmia». E ha ricordato l’amicizia tra il dittatore cileno Augusto Pinochet e la Thatcher, la quale «ha chiamato Nelson Mandela terrorista». Come dovremmo onorarla dunque, si è chiesto il regista. «Privatizziamo il suo funerale. Lo mettiamo sul mercato e accettiamo l’offerta più economica. È quello che avrebbe voluto».

di Salvatore Cannavò (da ilfattoquotidiano.it)
Quello che colpisce di più nella morte di Margaret Thatcher è la quantità di commenti, giudizi, spesso sferzanti, girati in rete, e poi sui giornali, alla notizia della sua morte. In Gran Bretagna hanno brindato, i minatori hanno festeggiato. Anche in Italia abbiamo potuto leggere soddisfazioni postume, goliardiche o meno, tutte molto sentite. Il commento più efficace è certamente quello di Ken Loach – “Privatizziamo il suo funerale, lei avrebbe voluto così” – in cui all’invettiva caustica si mescola la nostalgia per un tempo perduto.Tante soddisfazioni sono in realtà la manifestazione di un’impotenza e rivelano il gusto amaro di una sconfitta, subita alla fine degli anni 70, da chi aspirava a ideali di uguaglianza e solidarietà. Quella che è morta l’altro giorno era una vecchia signora di 87 anni, innocua e oscura che non ha cancellato quell’altra signora, ben più solida, di ferro appunto, che tra il 1979 e la fine degli anni 80 smantellò antiche conquiste sociali inglesi, piegò ferocemente i ribelli irlandesi, contribuì alla grande svolta liberale e moderata dell’economia globale.
Se, a distanza di trent’anni, Thatcher suscita ancora tanti sentimenti, è però dovuto al fatto che la sua impronta politica e sociale è ancora viva e permea gran parte delle scelte economiche, almeno in Europa. Il lungo corso liberista che anima la costruzione dell’Ue, che ha prodotto la crisi economica attuale e che, paradossalmente, ispira le politiche che quella crisi dovrebbero risolvere – vedi la Grecia – è ancora quello avviato da lei e da Ronald Reagan. Nonostante il fatto che quella corrente abbia prodotto dei veri e propri sfaceli, ancora oggi troviamo fior di commentatori che non solo rivendicano l’eredità della “lady di ferro” ma si disperano per il fatto che ci siano ancora forze di sinistra moderata che non fanno proprie tutte le idee di Margaret Thatcher.
Uno dei capifila è certamente Antonio Polito, opinionista del Corriere della Sera, già senatore della Margherita e fondatore del quotidiano Il Riformista con cui cercava di portare la “sinistra” italiana sulla retta via. Il suo ricordo della ex premier inglese trasuda di entusiasmo e ammirazione, segno di un desiderio profondo di vedere una simile leader anche in Italia. Possibilmente schierata a sinistra. Quandola Gran Bretagna conobbe l’era di Tony Blair, che della Thatcher aveva importato le idee-forza innestandole nell’”old Labour” inglese, la sinistra ha affrontato una discussione epocale sui propri confini e sulla propria natura. Nacque l’era della “terza via” e, per chi se lo ricorda, dell’”ulivo mondiale” naturale prosecuzione, a sinistra, del tempo del liberismo thatcheriano.
Quella fase ha incubato un’era di prosperità, sostengono i suoi fautori. Un’analisi più concreta, e meno ideologica, sembra invece indicare il contrario. Tra la metà degli anni 90 e la metà dei 2000, il capitalismo globalizzato ha visto allentare, grazie alle destre e alle sinistre liberali, qualsiasi freno alla propria esuberante, e distruttiva, espansione. La storica contrapposizione tra la libertà degli “spiriti animali” e la necessità di contenerli con politiche pubbliche che favorissero uguaglianza e solidarietà, è, con il tempo, venuta meno. Tutta la politica si è fatta liberale e liberista e gli elettori hanno iniziato a non capire più la differenza tra il governo delle socialdemocrazie e quello dei conservatori. Tutti i commentatori interessati, quelli che nel corso degli ultimi venti anni hanno costantemente redarguito la sinistra per il proprio conservatorismo – in realtà, sperando che la sinistra si facesse, come poi è accaduto, moderna destra – hanno tifato per la mutazione genetica. Che è avvenuta. La crescita dei populismi europei si spiega anche per questo. E la vittoria del Movimento Cinque stelle in Italia – che al populismo, però, non può essere associato – nasce proprio quando quella distinzione è venuta meno.
A pensarci bene, siamo ancora nel tempo di Margaret Thatcher. Le politiche pubbliche risentono ancora dei suoi attacchi all’egualitarismo e della sua esaltazione dell’individualismo. Come anche i programmi dei partiti. Quando esistono, le politiche sociali riproducono solo un approccio compassionevole e l’idea che “non ci sia un’alternativa” (la famigerata Tina, “There is no alternative”) domina il discorso politico. Questo tempo non è finito con la sua morte. Lei riposerà in pace. Tutti gli altri devono ancora trovare una valida alternativa al suo pugno di ferro.
Salvatore Cannavò

Napolitano rivendica il suo ruolo sciagurato


di Antonio Moscato (dal sito Movimento Operaio)

Chiaromonte
Qualcuno poteva pensare che fosse una esagerazione il periodico martellamento del mio sito contro Giorgio Napolitano, considerato il principale ispiratore delle più sciagurate politiche che negli ultimi trent’anni hanno cancellato quel poco che c’era di buono (e non era tanto) nel vecchio partito comunista e nei suoi eredi.

In effetti cliccando sul nome Napolitano nella colonnina a destra in alto sul sito, di articoli polemici col presidente se ne trovano più di trenta. Ma non mi sbagliavo.
Il primo, Napolitano: non è viltà!, era dei primi tempi del sito, nell’ottobre 2009, e del predidente diceva che non era possibile considerarlo “al di sopra delle parti”, perché era un uomo di parte da decenni. Era il principale leader dell’ala “migliorista” del PCI (quella che al presunto “tutto e subito” di ipotetici massimalisti, rispondeva di fatto con un “niente e mai”, si diceva maliziosamente nel PCI). Era l’ala nata all’ombra di Amendola, e a cui si richiamavano Chiaromonte (nella foto), Fassino, Macaluso, e tanti altri.
E alla memoria di Gerardo Chiaromonte non a caso Napolitano ha dedicato la sua nuova sortita contro il presunto estremismo di Bersani e a favore di un nuovo “compromesso storico” in cui al posto della DC di Moro ci dovrebbe essere il PDL di Berlusconi, Santanché e Brunetta… (e perché non il M5S? C’è una nuova conventio ad excludendum?)

domenica 7 aprile 2013

Ricominciare dopo il collasso


La crisi non si risolve con semplici interventi di sostegno alla domanda ma con soluzioni radicali. Le chiusure identitarie intralceranno qualsiasi processo di riaggregazione delle forze sociali incredibilmente numerose quanto disperse

Guido Viale da il manifesto
È da tempo che diversi economisti non asserviti al sistema sostengono che le politiche di austerità adottate prima dal governo Berlusconie poi da Monti avrebbero sortito gli stessi effetti di quelle imposte dalla cosiddetta Trojka alla Grecia. Ed è da più di un anno che Monti si vanta invece di aver evitato al nostro paese lo stesso destino grazie alle misure del suo governo, che però sono in gran parte le stesse imposte alla Grecia. Chi ha ragione?
La disoccupazione, la cassa integrazione e il precariato in continua crescita, i redditi da lavoro e i consumi in continua contrazione, le aziende che chiudono una dopo l'altra, il loro know-how che si disperde o emigra all'estero, i loro mercati che si dileguano, i principali gruppi industriali in disarmo, il welfare che si contrae sia a livello statale che municipale, la miseria che avanza, la scuola che avvizzisce, la ricerca che emigra, l'ambiente che si degrada, la burocrazia che si avvita su se stessa, l'ingorgo legislativo, la politica in stallo rendono evidente che l'Italia ha ormai toccato un punto di non ritorno.

Forse che, se domani venissero varate misure economiche di sostegno, come quelle invocate dagli economisti non di regime - una spesa pubblica più espansiva, un credito più abbondante, un ribasso dei tassi, un nuovo programma di lavori pubblici, un sostegno alla ricerca (tutte cose peraltro incompatibili con gli accordi imposti da Ue e Bce e sottoscritti dal governo Monti e da tutti i partiti che l'hanno sostenuto), allora la macchina produttiva riprenderebbe a funzionare come prima? Cioè, le fabbriche e i cantieri chiusi riaprirebbero, gli operai licenziati tornerebbero in azienda, i precari verrebbero stabilizzati, i disoccupati assunti, la scuola ricomincerebbe a funzionare, l'ambiente si risanerebbe, la burocrazia si sbloccherebbe e la politica rinsavirebbe? No, quello che si è dissolto è perso per sempre.