giovedì 29 settembre 2011

"Il 1° ottobre a Roma contro il debito e per la democrazia"


"Il 1° ottobre a Roma contro il debito e per la democrazia"

di Giorgio Cremaschi
 
Il 1° ottobre, nell’assemblea autoconvocata a Roma al teatro Ambra Jovinelli, si prova a costruire uno spazio politico che oggi in Italia non c’è.
Questo spazio è quello di chi non solo vuole rovesciare il governo Berlusconi, giunto ai punti estremi della sua abiezione morale, politica e anche economica.
Far cadere Berlusconi è condizione necessaria, ma non sufficiente, per affrontare la crisi italiana dal lato della libertà, della giustizia e dell’uguaglianza. Per riconquistare la nostra democrazia costituzionale, occorre anche scontrarsi con l’altro avversario che oggi abbiamo di fronte. Questo avversario è quello del governo unico delle banche e della finanza che, attraverso i diktat della Banca Europea e del Fondo monetario internazionale, sta imponendo in tutta Europa la distruzione dello stato sociale e della partecipazione democratica. I parlamenti dei paesi più in crisi e più soggetti a speculazione, i maiali secondo il malevolo acronimo britannico P.i.i.g.s. (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), sono ormai soggetti a un commissariamento fallimentare che impone ad essi decisioni che non possono discutere. La schiavitù del debito diventa così la schiavitù della democrazia e i cittadini perdono il diritto a decidere sulle ragioni stesse che hanno fondato le libertà costituzionali: chi paga, quanto paga, perché paga.

La soluzione è la bancarotta

Le voci su un possibile default controllato della Grecia hanno rassicurato i mercati invece di scatenare il panico. Del resto sono le leggi base dell'economia a indicare la via d'uscita più sensata per i paesi in crisi con i pagamenti.

David McWilliams
da Irish Indipendent
Avete notato qualcosa di strano sui mercati finanziari, negli ultimi due giorni? Le borse europee si sono compattate dopo le voci di un possibile fallimento "protetto" della Grecia. Tuttavia secondo la posizione ufficiale del governo irlandese e dell'Europa qualsiasi forma di default sarebbe un terribile disastro e scatenerebbe un'incontrollabile fuga di capitali e una sorta di "carneficina" finanziaria.
Ma allora come mai negli ultimi due giorni i mercati hanno inviato segnali in totale contrasto con questa teoria? Gli ultimi movimenti dei mercati finanziari suggeriscono che il default calmerebbe le acque e gli investitori. L'idea che la Grecia non abbia denaro e debba dunque essere dichiarata insolvente sembra infatti assolutamente sensata. Ostacolare i processi fondamentali del capitalismo (dove gli investitori pagano per i loro errori), significa invece destabilizzare un intero sistema.

mercoledì 28 settembre 2011

Ecco il corteo del 15 ottobre

Definito il percorso, da Piazza della Repubblica a San Giovanni passando per il centro. Libertà sulle modalità di conclusione. Anche Alex Zanotelli all'assemblea del 1 ottobre

Checchino Antonini
Quindici ottobre: la chiamata è ufficiale. Oggi stesso verrà diramato l’invito a convergere su Roma nella giornata internazionale indetta dagli indignados spagnoli del 15-M (dalla data di maggio in cui sono spuntate le tende alla Puerta del Sol). Rispetto alla riunione della scorsa settimana, il Coordinamento che s’è assunto un ruolo di servizio per quanti risponderanno alla chiamata ha trovato la quadra per il percorso: dall’Esedra a San Giovanni ma passando per Via Nazionale oPiazza Venezia, ossia senza evitare il centro della Capitale con tutto ciò che di simbolico e concreto significhi per la possibilità che si apra uno spazio politico pubblico che viene evocato da tempo. Ma che ancora non c’è, sebbene l’indignazione italiana abbia spesso trovato voce nell’emersione delle nuove soggettivazioni dei movimenti sociali (donne, studenti, precari) senza sedimentare pratiche e immaginari. Unica significativa eccezione: l’esperienza dei comitati referendari dell’acqua che sabato prossimo daranno vita alla loro assemblea nazionale a Bari.

lunedì 26 settembre 2011

ANCHE HEBRON APPROVA ABU MAZEN



La "capitale" della Cisgiordania meridionale, roccaforte storica dell'islamismo, applaude al presidente. Ma i suoi abitanti ora chiedono che dal discorso all'Onu si passi ai fatti sul terreno. VIDEO delle celebrazioni di venerdi' sera

GIORGIA GRIFONI
Hebron (Cisgiordania), 24 settembre 2011, Nena News (foto di Giorgia Grifoni)-  “Grazie per essere qui. Grazie, perché state con la Palestina”. Sorride un ragazzo distogliendo lo sguardo dal maxischermo, e porge una sciarpa della Palestina ai due stranieri che seguono il discorso di Abu Mazen alle Nazioni Unite dal centro della città di Hebron. Almeno duemila persone si sono radunate ieri per assistere a quello che da molti è considerato un momento storico per il popolo palestinese. Voci scettiche hanno preceduto la dichiarazione del presidente dell’ANP: “Chissà se mancherà di coraggio come al solito – s’interroga Badia, 38 anni- ed eviterà di parlare di alcune questioni fondamentali come fa quando si trova davanti a una superpotenza”. Le questioni fondamentali sono molte: dal diritto al ritorno dei rifugiati, alla colonizzazione selvaggia della Cisgiordania da parte di Israele, senza dimenticare il destino di Gerusalemme est e l’occupazione militare dei territori palestinesi. E invece Abu Mazen ha detto tutto in faccia al mondo. Ha dichiarato che “l’occupazione è in corsa contro il tempo per ridisegnare i confini del nostro territorio e imporre un fatto compiuto sul terreno che mina il potenziale realistico per l’esistenza dello stato di Palestina”. Ha dato la colpa a Israele per la violenza dei coloni in Cisgiordania, e per tutte le incursioni, le limitazioni, gli arresti e gli assassinii che l’esercito compie nelle aree sotto il controllo dell’Autorità palestinese. Parole che a Hebron suonano più familiari che altrove; parole che sono state calorosamente applaudite dalla folla. “Abu Mazen!Abu Mazen!” hanno urlato i giovani alla fine del discorso del loro presidente. Poi hanno aspettato la dichiarazione di un altro statista, quella di Benjamin Netanyahu, e verso lo schermo sono volate decine di scarpe. Il massimo della violenza a cui ieri la città ha assistito.

sabato 24 settembre 2011

Ci incontriamo il 1° ottobre a Roma.


Appello

Ci incontriamo il 1° ottobre a Roma


Per andare al blog dei commenti e delle proposte



(Per adesioni: appello.dobbiamofermarli@gmail.com)

E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso. Dagli operai di Pomigliano e Mirafiori agli studenti, ai precari della conoscenza, a coloro che lottano per la casa, alla mobilitazione delle donne, al popolo dell’acqua bene comune, ai movimenti civili e democratici contro la corruzione e il berlusconismo, una vasta e convinta mobilitazione ha cominciato a cambiare le cose. E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi. La schiacciante vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo e ha mostrato che la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico, ha raggiunto la maggioranza del Paese.
A questo punto la risposta del palazzo è stata di chiusura totale. Mentre si aggrava e si attorciglia su se stessa la crisi della destra e del suo governo, il centrosinistra non propone reali alternative e così le risposte date ai movimenti sono tutte di segno negativo e restauratore. In Val Susa un’occupazione militare senza precedenti, sostenuta da gran parte del centrodestra come del centrosinistra, ha risposto alle legittime rivendicazioni democratiche delle popolazioni. Le principali confederazioni sindacali e la Confindustria hanno sottoscritto un accordo che riduce drasticamente i diritti e le libertà dei lavoratori, colpisce il contratto nazionale, rappresenta un’esplicita sconfessione delle lotte di questi mesi e in particolare di quelle della Fiom e dei sindacati di base. Infine le cosiddette “parti sociali” chiedono un patto per la crescita, che riproponga la stangata del 1992. Si riducono sempre di più gli spazi democratici e così la devastante manovra economica decisa dal governo sull’onda della speculazione internazionale, è stata imposta e votata come uno stato di necessità.
Siamo quindi di fronte a un passaggio drammatico della vita sociale e politica del nostro Paese. Le grandi domande e le grandi speranze delle lotte e dei movimenti di questi ultimi tempi rischiano di infrangersi non solo per il permanere del governo della destra, ma anche di fronte al muro del potere economico e finanziario che, magari cambiando cavallo e affidando al centrosinistra la difesa dei suoi interessi, intende far pagare a noi tutti i costi della crisi.

"Questa crisi durerà uno o due decenni"




Intervista a Eric Toussaint, presidente del Cadtm, il comitato per l'annullamento del debito al terzo mondo che oggi opera molto attivamente anche in Europa


da comedonchichiotte.org “I direttori delle banche centrali ci hanno detto che la crisi era sotto controllo, ma mentivano. Questa crisi durerà uno o due decenni”, ha affermato Éric Toussaint. La previsione può sembrare azzardata, ma fu lui lo scorso anno fa ad affermare a questo giornale che nel Vecchio Continente era presente una “situazione esplosiva” e che la profondità delle trasformazioni economiche sarebbe stata pari alla grandezza di queste esplosioni. Anche se sono comparsi gli “indignati” in Spagna e in Grecia, le vacanze estive hanno svolto la funzione di valvola di sicurezza, e grazie a questa la mobilitazione in Europa non ha raggiunto il livello di quella del dicembre 2001 in Argentina.

IL 15 OTTOBRE SARÀ UNA GIORNATA EUROPEA E INTERNAZIONALE DI MOBILITAZIONE



13/09/2011
APPELLO UNITARIO DEL COORDINAMENTO 15 OTTOBRE PER LA MOBILITAZIONE NAZIONALE A ROMA
“gli esseri umani prima dei profitti,non siamo merce nelle mani di politici e banchieri,chi pretende di governarci non ci rappresenta,l’alternativa c’è ed è nelle nostre mani,
democrazia reale ora!”

Commissione Europea, governi europei, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale,  multinazionali e poteri forti ci presentano come dogmi intoccabili il pagamento del debito, il pareggio del bilancio pubblico, gli interessi dei mercati finanziari, le privatizzazioni, i tagli alla spesa, la precarizzazione del lavoro e della vita.
Sono ricette inique e sbagliate, utili a difendere rendite e privilegi, e renderci tutti più schiavi.
Distruggono il lavoro e i suoi diritti, i sindacati, il contratto nazionale, le pensioni, l’istruzione, la cultura, i beni comuni, il territorio, la società e le comunità, tutti i diritti garantiti dalla nostra Costituzione. Opprimono il presente di una popolazione sempre più impoverita, negano il futuro ai giovani.
Non è vero che siano scelte obbligate. Noi le rifiutiamo. Qualunque schieramento politico le voglia imporre, avrà come unico effetto un’ulteriore devastazione sociale, ambientale, democratica. Ci sono altre strade, e quelle vogliamo percorrere, riprendendoci pienamente il nostro potere di cittadinanza che è fondamento di qualunque democrazia reale.
Non vogliamo fare un passo di più verso il baratro in cui l’Europa e l’Italia si stanno dirigendo e che la manovra del Governo, così come le politiche economiche europee, continuano ad avvicinare.
Vogliamo una vera alternativa di sistema. Si deve uscire dalla crisi con il cambiamento e l’innovazione. Le risorse ci sono.
Si deve investire sulla riconversione ecologica, la giustizia sociale, l’altra economia, sui saperi, la cultura, il territorio, la partecipazione. Si deve redistribuire radicalmente la ricchezza. Vogliamo ripartire dal risultato dei referendum del 12 e 13 giugno, per restituire alle comunità i beni comuni ed il loro diritto alla partecipazione. Si devono recuperare risorse dal taglio delle spese militari. Si deve smettere di fare le guerre e bisogna accogliere i migranti.
Le alternative vanno conquistate, insieme. In Europa, in Italia, nel Mediterraneo, nel mondo. In tanti e tante, diversi e diverse, uniti. E’ il solo modo per vincere.
Il Coordinamento 15 ottobre, luogo di convergenza organizzativa dei soggetti sociali impegnati, invita tutti e tutte a preparare la mobilitazione e a essere in piazza a Roma, riempiendo la manifestazione con i propri appelli, con i propri contenuti, con le proprie lotte e proposte.
PER LA NOSTRA DIGNITÀ E PER CAMBIARE DAVVERO

COORDINAMENTO 15 OTTOBRE

ABBAS ALL’ONU: ORA IL PASSO IN PIÙ


Il plauso di diversi intellettuali e attivisti palestinesi. Che ora chiedono risultati: "Rendere concrete quelle parole e ricreare unità all’interno della lotta popolare”. Più scettiche le organizzazioni progressiste israeliane: Abu Mazen ha dato il minimo, Netanyahu ha mentito.
EMMA MANCINI

Beit Sahour (Cisgiordania), 24 settembre 2011, Nena News (nella foto, palestinesi ieri nelle piazze della Cisgiordania, foto AFP/Abbas Momani)– Le piazze palestinesi sono in festa, caroselli per le strade, bandiere che sventolano e il nome di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) gridato nelle vie. Durante il discorso del presidente palestinese, il popolo è rimasto in attesa. Ora, c’è da fare il passo in più: rendere concrete quelle parole che hanno infiammato le piazze.
“Un buon discorso, di alto livello morale, etico e sociale – spiega a Nena News Nassar Ibrahim, scrittore e direttore dell’Alternative Information Center di Beit Sahour – Rimango scettico rispetto ai risultati, ma devo ammettere che Abbas ha saputo parlare con forza all’Assemblea Generale: li ha messi di fronte ai loro doveri, elencando le selvagge violazioni dei diritti umani e nazionali dei palestinesi. Ora però c’è una domanda da porsi: cosa dobbiamo fare per rendere quel discorso un fatto concreto? Parlo di ritrovare l’unità del popolo palestinese e della sua lotta. Dobbiamo fare quel discorso nostro”.

venerdì 23 settembre 2011

Il 15 ottobre una grande e pacifica manifestazione di popolo a Roma


Comunicato-stampa

Il 15 ottobre una grande e pacifica manifestazione di popolo a Roma
La crisi va pagata da chi l’ha provocata

Quando ieri Di Pietro, con incredibile leggerezza, ha affermato che se Berlusconi non se ne va “qui ci scappa il morto”, probabilmente pensava di immolare qualcuno dei suoi spingendolo a darsi fuoco, modello neo-bonzo, sotto Palazzo Chigi o Palazzo Grazioli. Ma oggi “Libero”, giornale-guida in ogni tipo di provocazioni, gira l’accusa di cercare il morto, pur di far cadere Berlusconi, agli organizzatori della manifestazione del 15 ottobre a Roma.
Sono farneticazioni interessate: pur nella assoluta ripugnanza generale verso il governo Berlusconi, in Italia non c’è proprio nessuno/a disposto a versare una sola goccia di sangue per contribuire a portare al governo i Bersani o i Casini, i Montezemolo o le Marcegaglia, sapendo che applicherebbero le stesse orrende politiche liberiste di Berlusconi e Tremonti, continuando a far pagare la crisi ai settori sociali più deboli e indifesi e non a chi l’ha provocata.
La giornata del 15 ottobre vedrà mobilitazioni in tutta Europa, nel Mediterraneo e in altre regioni del mondo contro la distruzione dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia attraverso le politiche anti-crisi dei governi finalizzate alla difesa dei profitti, dei settori forti della società, della speculazione finanziaria.
In Italia almeno un centinaio di organizzazioni, associazioni, sindacati, alleanze sociali, partiti, gruppi informali hanno costituito il Coordinamento 15 ottobre per mettersi al servizio della riuscita della manifestazione nazionale di Roma, che partirà alle 14 da Piazza della Repubblica. Il Coordinamento sta curando le caratteristiche , la logistica e l’organizzazione del corteo e ne definirà lo svolgimento. Il suo obiettivo è favorire la massima inclusione, convergenza, convivenza e cooperazione delle molteplici forze sociali, reti, organizzazioni ed energie individuali e collettive che vogliono impedire all’Italia e all’Europa di proseguire verso il baratro della distruzione sociale ed economica e che esigono un’altra economia, un’altra società, una democrazia vera, cominciando a far pagare la crisi a chi l’ha provocata.
Stiamo costruendo una manifestazione inclusiva, pacifica e plurale, di massa e di popolo, e invitiamo tutti/e a partecipare attivamente al corteo del 15 ottobre coinvolgendo le proprie comunità e strutture ed in particolare organizzando con treni, bus e auto private l’arrivo a Roma.

Piero Bernocchi
Portavoce nazionale COBAS

Libia, una rivoluzione popolare

Nonostante il ruolo degli Usa e il suo sostegno al Cnt, che non ha appoggi nel paese, la rivoluzione libica ha un seguito popolare. Una testimonianza diretta da Tripoli
Corrispondenza da Tripoli
da Europe Solidaire
Un recente editoriale del Socialist Worker (Who really won in Lybia/ Chi ha realmente vinto in Libia) sosteneva che nei fatti è stata la Nato, non il popolo libico, che ha vinto la rivoluzione in Libia. Da qui, da Tripoli, sembra che quello sia un giudizio affrettato. Ci sono alcuni punti della situazione sul terreno che andrebbero compresi:
1. Questa è stata un’autentica rivoluzione popolare. Tripoli non è stata liberata dai ribelli dall’esterno. Invece, il 20 agosto è partita una sollevazione popolare dall’interno, in vari quartieri della città. A mezzogiorno del 21, l’apparato di sicurezza dello Stato era stato completamente smantellato in vari quartieri e stava crollando in altri. Le prime brigate di ribelli raggiungevano la città alla sera del 21 scontrandosi con i rimanenti caposaldi.La forza motrice della rivoluzione, in tutti i momenti cruciali, è stata la partecipazione di massa, nelle sollevazioni iniziali di Bengasi e della città occidentale di Zintan, come attorno a Tripoli e nella città.Oggi le strade di Tripoli sono controllate da persone comuni. Ogni quartiere ha un comitato popolare, composto di abitanti armati che controllano i punti di entrata e uscita del proprio quartiere, controllano i veicoli e, in assenza delle forze di polizia, (che hanno appena iniziato a tornare), agiscono come autorità de facto a livello di strada.Come mi ha detto un amico libico «Ora è tutto sottosopra». Gli abitanti hanno aperto molti dei vecchi centri di potere della classe dominante, dagli uffici della sicurezza ai palazzi di Gheddafi. Si possono passare pomeriggi passeggiando nelle ville di Gheddafi o a setacciando documenti nei comandi dei servizi segreti. Gli abitanti hanno sequestrato alcune delle case e delle prigioni di Gheddafi e le hanno trasformate in una specie di musei. L’immensa piscina nella casa di Aisha Gheddafi, costruita con denaro appartenente di diritto ai comuni libici, è stata trasformata in una piscina pubblica. In alcuni quartieri, gli abitanti hanno espropriato alberghi e ristoranti, cacciando i proprietari filogheddafiani e gestendoli direttamente.

Il "manifesto" di Marcegaglia



Pensioni, privatizzazioni, infrastrutture, mani private sul patrimonio pubblico: la peggiore politica berlusconiana ma senza Berlusconi. Ecco le proposte della presidente di Confindustria
imq
Prima uno strappo con il governo, poi l'avvio di una pacificazione con la Cgil, qualche intervista in più, infine il "manifesto degli imprenditori" per salvare l'Italia. L'attivismo della presidente di Confindustria assomiglia a quello di un leader politico e, al di là dei contenuti, va detto che è più chiaro e diretto dei messaggi che invia l'opposizione. Ora Confindustria propone "cinque punti" per avviare delle riforme strutturali e profonde. Si tratta del meglio delle politiche neoliberiste degli ultimi venti anni, le stesse che ci hanno portato fin qui, e che Marcegaglia vorrebbe rilanciare in Italia.
1. Riforma delle pensioni che «non deve penalizzare i giovani»
2. Vendere patrimonio pubblico per ridurre la spesa pubblica
3. Abbassare il debito e ridurre ingerenza del pubblico nell'economia
4. Piano di privatizzazioni e di liberalizzazioni serio.
5. Infrastrutture, cioè «levare i vincoli burocratici e di testa che impediscono a investimenti magari già finanziati da pubblico e privato".
In parte si tratta di proposte super-generiche - che vuole dire "abbassare il debito"? - ma in larga parte sono proposte che mirano a soddisfare i bisogni specifici degli industriali. Con la vendita del patrimonio pubblico, che in genere significa "svendita", si tratta di mettere le mani su qualche gioiellino ancora succulento; lo stesso dicasi per le liberalizzazioni e privatizzazioni cioè le mani su acqua pubblica, energia, trasporti redditizi etc. Infrastrutture, significa opere inutili come la Tav dall'impatto ambientale devastante ma dalla redditività certa mentre riforma delle pensioni tutti sanno cosa voglia dire: allungamento dell'età pensionabile, riduzione degli assegni con buona pace "dei giovani" che si troverebbero la strada tappata dai lavoratori più anziani cui non è permesso uscire dal mercato del lavoro. Un programma micidiale, dunque.
Come intende portarlo avanti Marcegaglia? Facendo direttamente politica? La sensazione è che, nonostante i toni, si cercherà di strappare tutto quello che è possibile all'attuale governo, debole, ricattato, diviso e che, quindi, è più disponibile a sottostare ai diktat. Ma più in profondita, Confindustria detta l'agenda per il governo che verrà così come hanno già fatto Bce e Commissione europea e, in parte, lo stesso Presidente della Repubblica. E' una morsa costante per creare le condizioni più favorevoli a un dopo Berlusconi con l'obiettivo di gettare il "bambino" - in questo caso l'ingombrante e, ormai, disgustoso, premier - e tenersi "l'acqua sporca", cioè le sue politiche peggiori. Vediamo chi sarà nel Pd il primo a rispondere di sì alle proposte di Marcegaglia

Il nuovo passo della Fiom



All'assemblea dei delegati per la piattaforma contrattuale scatta l'intesa tra Landini e Camusso. Resta divergenza sull'accordo del 28 giugno ma la Fiom ora propone la "clausola di raffreddamento" e rilancia il dialogo con le imprese. Scontro con la sinistra interna
Sa.Can.
La Fiom cerca un nuovo passo nella sua azione politica e sindacale e all'assemblea dei delegati di Cervia ha avviato un cambiamento delle posizioni interne. Scontato il dissenso con la Cgil sulla firma dell'accordo del 28 giugno, l'assemblea che si tiene a Cervia ha registrato una intesa nuova con Susanna Camusso sia sull'articolo 8 della manovra economica (quello che stravolge lo Statuto dei lavoratori) che sui contenuti stessi della piattaforma. Che è stata illustrata da Landini e sarà poi approvata dai delegati. Il punto di maggiore frizione con la sinistra interna di Cremaschi e Bellavita - che è intervenuto contro la relazione di Landini - riguarda la «clausola di raffreddamento», cioè l'iniziativa volta a favorire la partecipazione dei lavoratori alle scelte organizzative delle aziende. Landini propone infatti alle imprese di concordare preventivamente con il sindacato, e con le Rsu, le sue iniziative, prima di procedere a eventuali azioni di lotta. Dove le aziende si impegnano a discutere con i sindacati su organizzazione e prospettive, il sindacato si impegnerebbe alla sospensione, per un tempo determinato sufficiente alla discussione, di iniziative unilaterali e quindi, sostanzialmente, di scioperi. La proposta potrebbe arrivare a cambiare significativamente, nella votazione di venerdì 23 settembre, la geografia politica della Fiom, con la minoranza filo-Cgil capeggiata da Fausto Durante che potrebbe sostenere la linea di Landini e la ex Rete28 Aprile su posizioni contrarie o dissenzienti.

Palestina, lo stato delle cose




Le rivoluzioni arabe hanno fatto sentire il loro respiro anche in Palestina. La possibile dichiarazione di “indipendenza” e la nuova generazione della resistenza palestinese. Dal numero di Guerre&Paceappena pubblicato
Piero Maestri
La primavera delle rivoluzioni arabe è arrivata anche tra le/i palestinesi, sia nei territori occupati nel ’67, che in Israele e nella diaspora, in particolare grazie ad una nuova mobilitazione delle giovani generazioni.
Naturalmente il contesto palestinese è profondamente diverso da quello degli altri paesi della regione, per la presenza dell’occupazione israeliana e la mancanza di uno stato. Quello che invece rende paragonabili la condizione dei giovani palestinesi e degli altri paesi arabi sono la difficile situazione economica e i processi di espropriazione politica da parte delle autocrazie arabe, che nei territori occupati prendono la forma dell’Anp in Cisgiordania e del “governo” di Hamas nella Striscia di Gaza.
IL LAVORO NEGATOI dati economici e della vita di tutti i giorni sono in progressivo peggioramento.Una ricerca dell’Unrwa parla di un tasso di disoccupazione nella Striscia di Gaza pari al 46% (il più alto del mondo), mentre il livello degli stipendi è calato del 34,5 percento rispetto ai livelli del 2006; oltre 260mila persone su 1,5 milioni di abitanti, sono senza lavoro e vivono grazie agli aiuti umanitari. Allo stesso tempo dal 2007 il pubblico impiego è aumentato del 20%, beffarda ironia di un embargo che avrebbe voluto “colpire Hamas” (anche se ovviamente nessuno ci crede...), rilevata anche dal portavoce del Unrwa Chris Gunness che sostiene “se l’obiettivo del blocco israeliano era quello di indebolire l’amministrazione di Hamas, l’aumento degli impiegati pubblici suggerisce che quel obiettivo è stato mancato”.In Cisgiordania la disoccupazione nella seconda metà del 2010 è arrivata al 25%, rispetto al 23.6% dello stesso periodo del 2009 e anche i salari medi sono calati del 2.61%.Anche in questo caso ci si scontra con la tragica ironia del “boom economico” apparente palestinese, trascinato dall’aumento delle costruzioni e dall’apertura di bar e ristoranti a Ramallah e di una crescita del Pil basata sui fondi donati dall’estero piuttosto che su una crescita reale.Interessante – perché mette in luce una delle contraddizioni dell’occupazione - il dato sui lavoratori palestinesi nelle colonie israeliane della West Bank. Secondo l’Ufficio centrale palestinese di statistica, il 14,2% della forza lavoro palestinese è stata impiegata nelle colonie durante il 2010, in aumento rispetto al 13,9% del 2009 – si tratterebbe di 28mila lavoratori, di cui 18mila con permessi speciali, impiegati principalmente nelle zone industriali, mentre altri 10mila sarebbero impiegati senza permesso nelle zone agricole della Valle del Giordano. Da notare che il salario medio giornaliero è pari a 76,9 Nis (circa 15 Euro) in Cisgiordania e 46,2 (10 Euro) a Gaza, mentre un lavoratore palestinese nelle colonie guadagna mediamente 150 Nis al giorno (30 Euro). Differenze enormi esistono però tra il salario dei lavoratori con permesso e quello di chi non lo ha. Secondo i dati dell’associazione israeliana per i diritti dei lavoratori “Kav Laoved”, il salario medio giornaliero dei lavoratori nella Valle del Giordano oscilla tra 60 e 80 Nis, vicina alla media della Cisgiordania, subendo inoltre cattive condizioni di lavoro.
Ancora una volta i palestinesi svolgono il ruolo di manodopera a buon mercato per le colonie israeliane.