sabato 28 aprile 2012


16-19 maggio, Blockupy Frankfurt


Varie realtà studentesche lanciano la mobilitazione italiana verso Francoforte, quattro giorni di cortei, blocchi e assemblee tra tutti i movimenti europei contro l’austerity. Con l’obbiettivo di produrre un blocco effettivo dei lavori della BCE. Di seguito l'editoriale di Ateneinrivolta
Ateneinrivolta.org
Il 5 agosto scorso dal grattacielo della BCE a Francoforte partiva la lettera a firma Trichet e Draghi e rivolta al governo italiano con i famosi “consigli” in materia economica per uscire dalla crisi.
Il governo corrotto e incapace che la ricevette non fu giudicato in grado si applicare quelle imposizioni e in pochi mesi la cricca di Berlusconi è stata sostituita d’ufficio con il gotha del capitalismo italiano: tecnici e banchieri riuniti intorno alla figura di Monti non hanno sfigurato e il ricatto del debito è stato applicato in pieno anche in Italia. Tagli allo stato sociale ed ai diritti, attacchi alle fasce più deboli della popolazione, privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici, fino alla consacrazione massima dei punti della lettera minatoria, l’inserimento del pareggio di bilancio in costituzione: è questo il curriculum di un governo che crediamo sia ampiamente apprezzato nelle stanze del grattacielo che assedieremo dal 16 al 19 maggio.
Per quelle giornate, i movimenti tedeschi hanno lanciato una chiamata internazionale per una mobilitazione contro la Banca Centrale Europea che come collettivi studenteschi accogliamo entusiasticamente. Da tutte le università d’Italia, dai nostri luoghi di studio e lavoro, insieme a tutti i movimenti che dall’Italia numerosi stanno raccogliendo l’invito tedesco, partiremo per 4 giorni di assemblee, blocchi e manifestazioni sotto i palazzi del potere economico europeo.

Appunti diseguali su "né di destra, né di sinistra"


Nel pieno dell'attenzione su Grillo, riproponiamo l'articolo di Wu Ming1 già pubblicato da Nuova rivista letteraria e rivisto poi nel formato per Wumingfoundation
Wu Ming 1
[Riprendiamo da Giap la versione leggermente diversa, dell'articolo di WM1 apparso sull'ultimo numero diNuova Rivista Letteraria con il titolo "Il senso della non-appartenenza". Grazie a Tuco, Giuliano Santoro, Don Cave, Uomoinpolvere, i compagni della rivista "Plebe" di Foggia, Valerio Evangelisti, Nadie Enparticular e non pochi altri.]
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Ho preso questi appunti nel corso del tumultuoso, convulso 2011, anno di insurrezioni, detronizzazioni, disvelamenti e nuove confusioni. Per la precisione, sono note scritte nel periodo aprile-settembre 2011.
Alla bruta materia di queste frasi annotate live, nel pieno degli eventi, non ho saputo imporre alcuna struttura solida e coerente. La numerazione di paragrafi e capoversi è il residuo di un tentativo in tal senso, sostanzialmente fallito.

1. CHI DICHIARA COSA?

1.a. Negli ultimi tempi si sente sempre più spesso la frase: «Non siamo di destra né di sinistra». Talvolta, l’ordine dei fattori è invertito: «Non siamo di sinistra né di destra».
Non è certo una frase nuova, l’abbiamo udita tante volte. Eppure, tendendo l’orecchio, possiamo registrare una prima, piccola novità: il soggetto plurale ricorre più spesso di quello singolare. Il noi sta scalzando l’io. Fino a qualche anno fa, questa “dichiarazione di non-appartenenza” era il più delle volte a titolo personale. Oggi, invece, è sempre più sovente l’enunciazione di soggetti collettivi.

La rigenerazione necessaria


La discussione sul "soggetto politico nuovo" si anima e si intreccia con i risultati del voto in Francia. Alcune note sull'assemblea di Firenze a partire da un articolo di Luca Casarini
Salvatore Cannavò
In un articolo di Luca Casarini sul manifesto del 25 aprile c'è una frase importante: "In questa fase la grande questione è come organizzare fuori dalla finalità elettorale un blocco sociale capace di leggere la crisi e affrontarla da sinistra senza cadere nel populismo. Invece la vicenda elettorale viene utilizzata come motore per organizzare un soggetto sociale e politico "nuovo". Ciò che accade in Francia e che si ripeterà probabilmente in Italia ci dimostra che il problema non si aggira: è fuori e prima delle elezioni che il soggetto politico e sociale deve prendere forma, organizzarsi attraverso processi che hanno al centro la capacità di esercitare una forza attraverso il conflitto, contro la governance della crisi". Si tratta, par di capire, di trovare un'autosussistenza per un nuovo blocco di forze, radicate ed efficaci socialmente, tale da fondarne senso e percorso al di là di qualsiasi speculazione elettorale. Dal mio punto di vista questa espressione si completa di un altro concetto: l'autosufficienza di questo progetto politico, - che oggi potrebbe prendere, in Italia e non solo, le forme di una vasta alleanza plurale di forze anche con natura diverse accomunate dalla critica al capitalismo e a questa democrazia e legate dalla assoluta indipendenza dalle attuali "governance" di destra e di sinistra - si fonda su una prospettiva tanto difficile quanto ineludibile: la costruzione di un'autorganizzazione di massa dei soggetti sociali, delle forze reali in vista di un confronto-scontro con gli apparati e le istituzioni dominanti per fondare un'altra democrazia e una diversa società sostenibile. Senza questo corollario, infatti, senza l'ambizione di inverare, nelle forme più moderne possibile, quanto scrisseMarx nel primo saluto dell'Associazione internazionale dei lavoratori - "l'emancipazione dei lavoratori è opera dei lavoratori stessi" - l'autosussistenza non avrebbe scelta tra divenire forma, sia pure intelligente, di "antipolitica" oppure auto-marginalizzazione. In qualche modo, occorre declinare, anche nelle forme moderne che la nuova struttura di classe e le nuove forme dell'accumulazione impongono, quel concetto dell'autodeterminazione delle figure proletarie per dare a questa prospettiva una forma comunque "politica" e non meramente "sociale" o addirittura "sindacale".

giovedì 26 aprile 2012


La Francia e le scelte dell'anticapitalismo


Mentre ci si avvia al secondo turno e pesa ancora lo "shock" Le Pen, a sinistra si discute di quale siano i compiti delle forze anticapitaliste. Una discussione che attraversa in primo luogo l'Npa
Mentre la Francia si prepara al secondo turno con François Hollande nella veste del candidato "presidenziale", Sarkozy in quella dell'inseguitore e con sullo sfondo il grande successo di Marine Le Pen, a sinistra si discute del futuro. La chiave del dibattito sta nel Front de Gauche che con il suo 11 per cento ha conquistato un ruolo centrale. Ma la formazione di Mélenchon deve fare i conti con la delusione che quel risultato ha prodotto e con la necessità di mettere a punto una strategia chiara in relazione al Partito socialista. Una discussione importante riguarda anche l'Npa, forte del 4% per cento nelle elezioni del 2007 e che esce indebolito da queste presidenziali. Il partito di Alain Krivine e Olivier Besancenot ha subito già delle perdite e una forte sua componente, la Gauche Anticapitaliste, annuncia di essere pronta ad andarsene nel Front de Gauche. La discussione riguarda ora quale strategia impostare per il futuro in relazione al nuovo quadro della sinistra. Qui di seguito, la dichiarazione, fatta a caldo, da Philippe Poutou, la sera dello scrutinio e un intervento critico verso la direzione del partito.

Dichiarazione post-elettorale di Philippe Poutou, candidato Npa

Grazie a quelle e quelli che mi hanno votato perché insieme abbiamo fatto un buon risultato in questa campagna, al di là della nostra percentuale, fare esistere delle risposte anticapitaliste: divieto dei licenziamenti, aumento dei salari di 300 euro, annullamento del debito, un'altra ripartizione delle ricchezze e la fuoriuscita dal nucleare in dieci anni.
In questa campagna, abbiamo cercato di mostrare l'assoluta necessità che i-le salariati-e e la popolazione contino sulle loro proprie forze per combattere i danni del capitalismo.

lunedì 23 aprile 2012


Partita da Brindisi la missione militare Onu in Siria


Al via in Siria la missione di supervisione delle Nazioni Unite (UNSMIS) per il “rispetto del cessate il fuoco tra le parti”. Crescono intanto le pressioni a livello internazionale per un intervento più “duro” e deciso contro il regime siriano.
Antonio Mazzeo
Al via in Siria la missione di supervisione delle Nazioni Unite (UNSMIS) per il “rispetto del cessate il fuoco tra le parti”, autorizzata il 21 aprile scorso dal Consiglio di Sicurezza (risoluzione n. 2042). A Damasco è giunto il primo team ONU composto da trenta “osservatori militari non armati” che verranno poi dislocati in una decina di località del paese. Da qui a 90 giorni, il numero degli “osservatori” crescerà a 300 unità, compresi “consiglieri politici ed esperti nel campo dei diritti umani, dell’informazione e della sicurezza pubblica”.
È questa una missione ad altissimo rischio: un suo fallimento potrebbe avere la conseguenza di aprire la strada ad un intervento militare internazionale per spodestare il regime Assad. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, non ha voluto attendere il voto del Consiglio di Sicurezza per lanciare l’intera operazione. Messosi in contatto con il governo italiano, ha ottenuto che dal 15 al 17 aprile, cinque velivoli C-130J della 46^ Brigata Aerea di Pisa venissero impiegati per trasportare a Beirut una decina di autoveicoli blindati, “materiali e altri mezzi” stoccati presso il Centro Servizi Globale delle Nazioni Unite (UNGSC) ospitato presso il distaccamento di Brindisi dell’Aeronautica Militare. Tutto il materiale inviato è destinato agli “osservatori” ONU.

Negli Usa torna lo sciopero generale      


Dopo 66 anni, lanciato per il prossimo primo maggio da Occupy Wall Street, torna lo sciopero generale negli Stati Uniti, dove è vietato per legge. Stanno tuttavia circolando molti manuali, rivolti ai lavoratori stabili e precari, che illustrano i tanti modi per partecipare
Felice Mometti
Come andrà nessuno può dirlo. Nessuno è in grado di dirlo. Lo sciopero generale del 1° maggio indetto dal movimento Occupy americano è una novità assoluta per le forme che assumerà e per il modo in cui è stato costruito. Dopo 66 anni, dallo sciopero di Oakland del 1946, si parla di nuovo di sciopero generale. C'è voluto un movimento che ha terremotato lo scenario politico e sindacale statunitense, che da settembre ad oggi ha retto vari tentativi per isolarlo, reprimerlo, addomesticarlo. E i tentativi sono stati davvero molti e molto insidiosi. Dalla repressione su vasta scala operata in modo coordinato dai Dipartimenti di polizia di varie città - sostenuta nei fatti anche dall'Amministrazione Obama - con migliaia di arresti, sgomberi, minacce, sospensione di elementari libertà democratiche alla politica ammiccante di alcuni settori del Partito Democratico per cooptare il movimento all'interno dei luoghi istituzionali.

L'illusione della vittoria di Hollande

Hollande vince il primo turno beneficiando del fallimento di Sarkozy. Melenchon arriva ad un risultato a due cifre, seppur sotto le aspettative, il candidato dell'Npa è all'1,2%. Ma è la destra estrema ad avere il vero successo, e potrà essere contrastata solo da un'opposizione di sinistra ai socialisti.
Salvatore Cannavò
La soddisfazione per la vittoria di hollande al primo turno delle presidenziali francesi è la classica illusione in cui incappano le varie sinistre in cerca di gloria.
Hollande beneficia certamente del fallimento di Sarkozy - il presidente che prima di stringere la mano ai suoi elettori si toglie l'orologio - e quindi della fatidica "legge del pendolo" - dai fallimenti della destra beneficia la sinistra e viceversa - ma stavolta a incassare è la destra estrema. Più di quanto abbia mai fatto. E questo indica una dinamica chiara: la crisi delle politiche liberiste e socialiberiste regala consensi al populismo estremo, razzista e xenofobo. Si tratta di una prospettiva concreta per tutta l'Europa e lo stesso risultato del Front de Gauche ne fa le spese. Nonostante un risultato a "due cifre" la delusione di Melenchon è evidente e alla fine l'ex socialista non può far altro che gettarsi a corpo morto sul secondo turno di Hollande per co-intestarsi la vittoria. Il contrario di quanto farà Marine Le Pen che si propone già come opposizione in attesa che venga il proprio turno. E' forse la differenza principale tra destra e sinistra: la prima si candida a governare, la seconda resta ancella dei socialisti.
Un quadro dunque preoccupante in cui nel giro di dieci anni è stato bruciato un capitale per la sinistra anticapitalista. Visto il successo della campagna di Melenchon, quell'1,2 raccolto dal Npa non è da disprezzare. Ma certo per il partito anticapitalista si era data l'opportunità di ricostruire la sinistra e questa è andata perduta. Una seconda possibilità può venire dalla vittoria di Hollande che chiamerà alle sue responsabilità una sinistra di classe che voglia presidiare, in competizione con Le Pen, l'opposizione. Perché la prossima volta per la destra estrema potrebbe essere quella buona. E per frenare questa dinamica servirà una forte massa critica che resti all'opposizione dei socialisti. La partita che si apre è questa.

sabato 21 aprile 2012


E ora tocca agli Statali

Il ministro Patroni Griffi mette sul tavolo la prospettiva del licenziamento. Blanda la replica dei principali sindacati. L'Usb prepara una mobilitazione: prima assemblea nazionale il 18 maggio
Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano

Nei tavoli di confronto con il sindacato, l'eventualità era finora passata solo per allusioni ma ieri, con un'intervista sul quotidiano Avvenire, il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, è stato netto: il governo licenzierà anche gli statali. Arrivando fino a dove non era arrivato Brunetta. Le forme saranno mediate, ovviamente, ma la sostanza resta e tutto quanto dovrà avvenire già entro l'estate. Il ministro vuole varare la sua riforma entro metà maggio e del resto, la riforma del Lavoro, che è già all'esame del Parlamento, è stata fatta in modo da recepire, all'articolo 2, una legge delega. A quanto pare la riforma è già avanti nel suo punto più cruciale, quello del licenziamento del pubblico impiego. “Spero che capiscano tutti, anche i sindacati” dice il ministro al quotidiano cattolico. “Devono accettare il meccanismo di mobilità obbligatoria per due anni che già esiste ma che ancora non è stato attuato. Devo farlo perché le amministrazioni pubbliche vanno riorganizzate anche per attuare la spending review sulla spesa pubblica”. La procedura, in effetti, è già prevista nella norma attuale che prevede la messa in mobilità, per 24 mesi e all'85 per cento dello stipendio, del personale dichiarato in esubero. “Prima proveremo a vedere se quel personale, riqualificato, potrà essere utilizzato meglio in altri settori” spiega Patroni Griffi, “poi, solo se alla fine non si troveranno alternative, l’unica strada rimarrà quella del licenziamento”.

Nessuno crede, però, che quella ricollocazione in un settore già gravato da tagli e riduzioni consistenti possa essere trovata. Inoltre, il meccanismo si inserisce dentro una riforma complessiva del lavoro che vede, per la prima volta dopo 40 anni, la revisione dello stesso articolo 18 realizzando, come dice lo stesso ministro, “la maggior convergenza possibile con il settore privato”.
La risposta sindacale, contraria ai licenziamenti, non è stata particolarmente furibonda. Cgil, Cisl e Uil hanno messo le mani avanti rispetto alle dichiarazioni di Patroni Griffi ma senza mettere in discussione il tavolo di confronto. Il segretario della Funzione pubblica della Cgil punta il dito sulla continuità tra le proposte attuali e quelle di Tremonti chiedendo una maggiore progettualità e poi prendendola con il metodo dell'annuncio a mezzo stampa: “Se davvero questa riforma dovesse passare come una semplice delega al governo – dice Rossana Dettori - e la trattativa dovesse essere una formalità che rettifica le scelte che l'esecutivo comunica preventivamente alla stampa, ne trarremo le dovute conseguenze”. In ogni caso la Cgil annuncia una prima manifestazione sotto la sede del ministero già lunedì. La Cisl parla di un atteggiamento responsabile e leale ma chiede al ministro di avere al più presto le piante organiche dell'amministrazione statale. Dal canto suo l'Usb, il sindacato di base abbastanza forte nel pubblico impiego, si dice “non stupito” dell'uscita del governo visto che al tavolo di confronto questa ipotesi era stata già ventilata. Il problema, spiega l'Usb, “sono le politiche economiche imposte dalla Bce e dall'Unione europea che impongono di realizzare tagli tramite la “spending review” e questo mette sotto ricatto tutto il pubblico impiego perché non c'è amministrazione che non sia in difficoltà”. L'Usb propone una prima assemblea delle Rsu il 18 maggio e annuncia l'ipotesi di sciopero generale.
Sciopero che invece che sembra scomparire dalla prossima fase della Cgil che ieri ha tenuto il suo direttivo nazionale su articolo 18. Dopo una lunghissima giornata e una convulsa fase finale di emendamenti e sub-emendamenti da parte dell'area di maggioranza più critica nei confronti del tentativo di archiviare l'articolo 18 (Pensionati, Scuola, l'area Lavoro e Società) la segreteria ha ricevuto il mandato per costruire una piattaforma comune e una mobilitazione unitaria con Cisl e Uil sui temi del fisco e della crescita.
Comunicato Ansa:
DIRETTIVO APPROVA DOCUMENTO CON 90 SÌ, 35 I NO
Il comitato direttivo della Cgil ha approvato il documento finale sulla riforma del mercato del lavoro con 90 voti a favore, 35 contrari e 6 astenuti. Sull'articolo 18 nella sostanza il testo ribadisce il giudizio espresso dalla segreteria lo scorso 5 aprile dopo l'introduzione della possibilità del reintegro nei licenziamenti per motivi economici. Tra i voti contrari quelli di Gianni Rinaldini, Giorgio Cremaschi, Nicola Nicolosi. Assente il leader della Fiom, Maurizio Landini.

venerdì 20 aprile 2012


Grillo, i sondaggi, il guru

Il Movimento 5 Stelle è dato oltre il 7 per cento e Grillo spopola in tv. La novità e l'invettiva contro la politica paga e aggrega forze eterogenee dando vita alle prime contraddizioni. Ma il potere è saldamente nelle mani del "lider maximo"
Michele Smargiassi
di Michele Smargiassi - da la Repubblica
BOLOGNA - Che fare? Nulla. "Non dobbiamo fare proprio nulla. Faranno tutto gli altri, si disferanno da soli, e noi vinceremo". La strategia del ragno, predica Giovanni Favia. E Favia sa quel che dice, perché sul podio di terzo partito che alle politiche la Swg attribuisce al non-partito di Beppe Grillo, lui consigliere regionale ci sta già seduto sopra da due anni. Col 7%, doppiati i centristi, il MoVimento 5 Stelle è già il terzo polo in Emilia Romagna. "E possiamo fare molto di più. Anche tre volte tanto".
Basta non sbagliare le mosse. L'euforia è pericolosa, e scricchiolii già si avvertono: zuffe virtuali, scomuniche dall'alto, malumori dal basso. "Nervi saldi. È la grande occasione ma le occasioni si colgono, o si sprecano": Massimo Bugani, fotografo, felpa rossa da ragazzino, un anno fa festeggiava con le sfrappole lo sfondamento (tre consiglieri) a Bologna; ma ora va di frizione, "ci serve ancora tempo per essere pronti". Eppure sembra un piatto cotto e servito, la Lega che sprofonda (e cede ai grillini, pare, metà dei voti in fuga), la coalizione ABC che s'impastrocchia sul tema più impopolare, il finanziamento ai partiti. Centoquattro liste pronti a "surfare l'onda", come dice il capo. Ad Alessandria, 33 liste e 16 candidati sindaco, per il pentastellato Angelo Malerba potrebbe perfino scapparci il colpo grosso, il primo sindaco grillino; lui gongola, "se mi presento vuol dire che son pronto a governare", poi esita: "se non vedo non credo...". Ma c'è davvero nell'euforia una punta di paura se perfino l'oracolo genovese tuona contro il "rigor Montis" ma non invoca elezioni subito, e sugli scandali mette le mani avanti: "ora tocca alla Lega, dopo a Di Pietro, poi a noi". Paura di imboscate. Paura di cadere sul traguardo come Dorando Pietri.