martedì 28 febbraio 2012

Vade retro Occupy London


La polizia sgombra l'accampamento in corso dal 15 ottobre grazie al permesso della Cattedrale di Saint Paul. I manifestanti cristiani si dicono scandalizzati
La polizia londinese ha sgombrato il campo che Occupy London aveva installato, dal 15 ottobre scorso, di fronte a St Paul's Cathedral. L'operazione, scattata subito dopo la mezzanotte, è stata in gran parte pacifica, ma una ventina di dimostranti si sono opposti allo sgombro e sono stati arrestati. La scorsa settimana l'Alta Corte non aveva accolto la richiesta del movimento degli indignati britannici di ricorso contro la decisione di sgombro. L'amministrazione comunale si è detta «rammaricata» del fatto che si sia dovuti arrivare all'azione di forza per poter applicare l'ordine di sgombro ritenuto «legittimo e legale» dall'Alta Corte.
Dal canto loro gli attivisti del movimento denunciano la Cattedrale di St. Paul di aver dato il permesso per lo sgombero che ha richiesto centinaia di poliziotti per alcune decine di tende. Verso la mezzanotte cinque fari hanno illuminato l'area e poi hanno iniziato la rimozione degli occupanti. Tra questi anche Jonathan Bartley, direttore del think tank cristiano Ekklesia, secondo cui la "tragedia di questa giornata è che mentre dei cristiani pregavano sugli scalini della Cattedrale quest'ultima ha dato il permesso per un'azione violenta di rimozione".
Alle 4 di notte era tutto finito.

Come si continua?


Al movimento No Tav arrivano offerte di dialogo da tutte le parti ma con l'obiettivo di ottenere la resa. Il rischio è quello dell'isolamento e dello scontro isolato con lo Stato. Servirebbe uno sforzo collettivo, in tutta Italia
Salvatore Cannavò
In serata è finito il blocco della Tangenziale di Torino, forse l'azione più incisiva della giornata insieme al blocco dell'A32. E' stata una giornata di iniziative prese di istinto sull'onda della rabbia per quanto accaduto a Luca Abbà - caduto dal traliccio durante l'intervento della polizia per espropriare i terreni su cui va costruita l'Alta velocltà - ma anche per aver dovuto subire l'ennesima pressione subito dopo la grande manifestazione di sabato scorso. Però nel dibattito di queste ore si percepisce anche l'esigenza di guardare più avanti.«Dobbiamo continuare a resistere ma dobbiamo organizzarci meglio dice, ad esempio, Alberto Perino, forse il leader No Tav più riconosciuto, durante l'assemblea al presidio di Chianocco). «Non è possibile - ha spiegato in assemblea trasmessa in diretta streaming sul web - avere dei momenti in cui siamo 300 persone e altri in cui siamo in 20. Bisogna cercare di organizzarci e esserci in numero sufficiente nell'arco delle 24 ore». Perino ha specificato che questa «è l'occupazione più lunga che abbiamo mai fatto». Poi il leader No Tav ha sottolineato che il movimento sta organizzando altri metodi di lotta «che qui ovviamente non diciamo. Faremo delle azioni improvvise che renderanno la vita difficile a chi vuole considerarci un parco giochi o degli indiani da spremere». Queste persone, ha concluso «non hanno capito niente di noi o della Val di Susa».
Le dichiarazioni di Perino giungono dopo che per tutta la giornata si sono sentite le profferte di dialogo da parte dei vertici istituzionali a partire dal ministro dell'Interno, Cancellieri (a cui risponde nel merito il Legal Team No tav, nel testo che pubblichiamo qui sotto).

Scuola Diaz, il film


Esce il 13 aprile al cinema il film di Daniele Vicari, secondo al festival di Berlino che racconta la "vergogna di Stato" del G8 2001
Il trailer del film:

L'articolo di Repubblica e il trailer del film che narra quello che accadde alla scuola Diaz. Vai anche al libro di Alegre
ROMA - Tra le memorie più forti dell'ultimo festival di Berlino 1 resterà la proiezione di Diaz - Don't clean up this blood. Nella sala affollata - molti i giovani di oggi e di allora, quelli che nella sciagurata notte del 21 luglio 2001 si erano trovati un posto per dormire nella palestra della scuola - il pubblico segue il film in silenzio, con una partecipazione tesa, intensa, palpabile. È cinema, è finzione ma le immagini della brutalità dell'irruzione di trecento militari con il casco e il manganello che si accaniscono senza pietà su decine di giovani impreparati, insonnoliti, inermi, li insultano, devastano zaini, borse, sacchi a pelo, colpiscono qualunque oggetto lasciando scie di sangue sulle pareti, sugli attrezzi, sui termosifoni, suscitano comunque sgomento, rabbia, impotenza per una ferocia insensata, inspiegabile. Alla fine un applauso lungo, commosso, lacrime tra il pubblico e sul palco su cui salgono il regista Daniele Vicari, il produttore Domenico Procacci, alcuni testimoni. Non a caso il pubblico della sezione Panorama sceglie Diaz, e lo premia, come secondo film preferito. Su 53 titoli in programma, non è poca cosa.

No Tav, la drammatica resistenza di Luca


Luca Abbà, leader dei No Tav, non è in pericolo di vita ma le sue condizioni restano gravi. Il ministro Cancellieri invita al "dialogo", intanto la polizia spara gli idranti sui blocchi dei NoTav
Le notizie del 28 febbraio

CONDIZIONI ABBÀ STABILI, TRATTAMENTI ANCORA INTENSIVI - Sono stabili le condizioni di Luca Abbà, il leader No Tav folgorato e caduto da un traliccio, ieri mattina in Val Susa mentre erano in corso le operazioni per l'ampliamento del cantiere della linea ferroviaria Torino-Lione. «L'obiettivo - ha detto stamani Maurizio Berardino, direttore del pronto soccorso dell'ospedale Cto di Torino, dove Abbà è ricoverato - era che il quadro clinico non cambiasse molto e così è stato». Abbà viene però tuttora sottoposto a trattamenti medici intensivi. «La situazione delle ustioni - ha aggiunto Berardino - è stabile. Non vi sono edemi e neppure problemi agli arti. È stata disposta una risonanza magnetica a 48 ore dall'evento, dopo di che avremo un quadro più chiaro della situazione». Lo staff medico del Cto non esclude di sottoporre Abbà a dialisi, a scopo esclusivamente terapeutico. «Tuttavia - ha riferito Berardino - per ora il rene del paziente non presenta alcun segno di affaticamento». Per valutare gli eventuali danni permanenti, sarà necessario attendere un anno, mentre per le conseguenze immediate della folgorazione sarà necessario attendere ancora qualche giorno. «Se il quadro clinico rimarrà quello attuale - ha concluso Berardino - contiamo di svegliare Abbà, che è tuttora sedato, ragionevolmente nel fine settimana».

lunedì 27 febbraio 2012

IL CONFLITTO NON SI ARRESTA!


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Quello che sta accadendo in questi giorni in Grecia è l'esempio più significativo delle politiche dell'Unione europea e della gestione della crisi da parte del sistema capitalista: l'imposizione di misure draconiane contro lavoratrici e lavoratori, pensionate/i, giovani disoccupate/i e precari/e; il commissariamento della «democrazia» formale e il passaggio dei poteri a esecutivi «tecnici» chiamati ad applicare decisioni dall'alto; la repressione e l'indifferenza nei confronti di una mobilitazione di massa di donne e uomini che si rifiutano di pagare una crisi provocata da altri.
Un esempio che parla a tutti gli altri paesi europei, e che ci riguarda da vicino: anche in Italia infatti il governo «tecnico» Monti-Napolitano ha fatto approvare da un Parlamento addomesticato e servile misure che colpisco salari e pensioni, che sostengono i profitti privati contro l'interesse e il bene pubblico, e si appresta a portare il colpo definitivo alle garanzie contrattuali per lavoratrici e lavoratori, attraverso la cancellazione di fatto dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e la costruzione di un mercato del lavoro di serie B nel quale inserire giovani e meno giovani avviati/ri-avviati al lavoro.
Non manca nemmeno in Italia l'arroganza del potere, con le dichiarazioni di Monti e vari ministri contro il posto fisso e con la derisione di chi ha meno; e non mancano i provvedimenti repressivi contro il conflitto sociale - l'esempio più eclatante è quello degli arresti contro i manifestanti NoTav che vuole colpire il movimento che più di tutti oggi denncia e smaschera il sostegno della politica alle imprese e ai profitti privati attraverso l'impiego di denaro pubblico per grandi opere inutili e costosissime ed evidenzia l'incompatibilità di queste opere e della loro gestione con la democrazia e la partecipazione popolare.

La Grecia si salva ma è molto arrabbiata


Sbloccati a poche ore dal default i 130 miliardi di aiuti per Atene. Presidenza Ue: "E' un nuovo inizio". Ma i movimenti antiliberisti protesteranno a Bruxelles il 7 aprile


E' stato raggiunto l'accordo all'Eurogruppo sui nuovi aiuti alla Grecia. La riunione di Bruxelles fra i ministri europei delle Finanze, l'Fmi e la Bce durata oltre 14 ore ha dunque sbloccato i 130 miliardi di aiuti promessi ad Atene. A frenare la trattativa la difficoltà di accordo con i privati detentori del debito greco che dovranno accettare una ulteriore riduzione del valore nominale dei titoli in loro possesso. "E' un nuovo inizio per la Grecia", ha detto il ministro danese all'Economia Margrethe Vestager, presidente di turno del Consiglio, al suo arrivo alla riunione dell'Ecofin.

L'altra faccia della medaglia
Di Checchino Antonini

La Grecia del 2012 come la Spagna del '36? Se lo chiedono i movimenti antiliberisti. Appuntamento a Bruxelles il 7 aprile per cominciare a parlare di «una grande, unitaria, combattiva protesta di massa, una giornata europea di solidarietà col popolo greco e contro le politiche di austerità, privatizzazione e smantellamento dei servizi pubblici. E, soprattutto, per la cancellazione del debito greco».

La proposta è appena giunta da Atene ed è firmata dal Comitato ellenico contro il debito (www.contra-xreos.ge) convinto che l'indebitamento sia stato il grimaldello col quale la Troika -Bce, Fmi e Commissione europea - sia riuscita da dieci anni a trasformare la Grecia in un «laboratorio di politiche barbare e inumane, antidemiocratiche e antisociali».

No Tav, manifestante fulminato da un traliccio


Luca Abbaà, tra i leader dei No Tav e tra coloro a cui dovrebbe essere espropriato il terreno, è grave al Cto di Torino, folgorato da un traliccio mentre cercava di impedire l'allargamento del cantiere
Checchino Antonini
Lo aveva detto Manganelli, superpagato manager della polizia. Aveva detto che stava per scapparci il morto e i suoi sono quasi riusciti a trasformarlo profeta in patria. Luca Abbà, uno degli attivisti più noti e proprietario di uno dei terreni da espropiare, è gravissimo al Cto di Torino. E’ un contadino dell’Alta Valle. Difendeva la terra che gli dà da vivere.
E’ stato intorno alle 8: la polizia in assetto antisommossa è uscita dalle reti ed ha circondato la Baita Clarea intimando ai No Tav di andarsene. Volevano prendersi la Baita e occupare l'intera zona per avviare i lavori del tunnel geognostico propedeutico al temuto tunnel ferroviario. Sui siti mainstrem si dà la notizia con noncuranza: “E' iniziato questa mattina all'alba l'allargamento del cantiere della Tav a Chiomonte. Sulla base di un'ordinanza del prefetto che ha disposto la procedura d'urgenza per l'allargamento del cantiere operai e forze e dell'ordine hanno iniziato ad ampliare il perimetro delle recinzioni verso i terreni dei privati. L'intera area del cantiere è da gennaio sito nazionale di interesse strategico”. L’“incidente” è un inciso in mezzo all’articolo.

domenica 26 febbraio 2012

Acqua pubblica, il rimborso elettorale torna nelle tasche dei cittadini


Il comitato referendario restituisce una parte dei soldi della campagna finanziata con le donazioni dei cittadini. Carsetti, Forum: “Con quello che resta finanziamo le campagne per l’attuazione dell’esito, ancora disatteso, dei referendum”

Le manifestazioni per sostenere il referendum del 12 e 13 giugno scorso

Il rimborso elettorale? Torna nelle tasche dei cittadini. Parola del Comitato Referendario “2 Sì per l’Acqua Bene Comune”. Dopo aver stravinto il referendum per l’acqua pubblica a giugno dello scorso anno, il Comitato comincerà da domani a restituire i soldi ricevuti per la raccolta fondi. “Tra campagna raccolta firme e campagna elettorale abbiamo raccolto in totale circa 450mila euro”, spiega Paolo Carsetti del Forum Italiano dei movimenti per l’acqua. “E ora li restituiamo a chi ha creduto in questa battaglia”. Perché la loro, spiega, è stata una “campagna di autofinanziamento partecipativo in cui abbiamo chiesto ai cittadini un prestito”. Se da un lato il Movimento 5 Stelle i rimborsi elettorali non li accetta proprio (o finanzia progetti con gli emolumenti degli eletti), il Comitato qui aveva chiesto di finanziare una battaglia, scommettendo sulla vittoria: “E in caso di vittoria avremmo restituito quanto avevano versato”.

La scelta di Marchionne


Intervista di grande impatto quella dell'ad Fiat al Corriere della Sera in cui si annuncia la possibile chiusura di due stabilimenti in Italia. E si mette all'indice la coppia Camusso-Landini
Salvatore Cannavò

Si deve sentire molto sicuro Sergio Marchionne se decide di affrontare un'intervista molto diretta e puntigliosa con Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera - intervista di grido, molto ampia, in apertura del giornale - ma soprattutto se decide di calcare il tono arrogante con cui si rivolge, indirettamente, al sindacato, ai lavoratori e alla politica italiana. L'atteggiamento è netto: se Fiat non avrà quello che cerca chiuderà due stabilimenti in Italia e, in ogni caso, la partita per la sopravvivenza si gioca sulla capacità di "esportare negli Stati Uniti". L'intervista è lunga, complessa (quando si sofferma minuziosamente sui bilanci del gruppo, sulle passività e sui programmi di investimento) ma alla fine ne resta nella memoria il messaggio più duro e crudo, la possibile chiusura degli impianti. Non è sicuro ma dipende, come è ovvio, dalla garanzie di competitività che l'Italia e l'Europa, compresa la valutazione dell'euro, sapranno dare. Però l'avvertimento è lanciato e costituirà un macigno all'interno delle vicende del gruppo. E non sembra un caso che l'intervista esca con tale evidenza proprio il giorno dopo la sentenza di Melfi che condanna, ancora una volta, la Fiat per comportamento antisindacale.

Sognando la Spagna

La riforma del lavoro varata dal governo Rajoy è così dura da spingere anche il Psoe a rivolgersi alla Costituzione. Ma resta un riferimento per il governo italiano.
Mariano Rajoy ha varato quello che le opposizioni hanno definito «il decretazo»: la riforma del mercato del lavoro introdotta formalmente per fare fronte al tasso di disoccupazione record pari al 22,9 per cento, cioè 5,3 milioni di persone. Flessibilità del lavoro e maggiori possibilità per i giovani sono le parole chiave usate dal governo per spiegare questa riforma «già entrata in vigore», come ha confermato Rajoy l'altro giorno a Palazzo Chigi, nella conferenza stampa che ha tenuto insieme al presidente del consiglio italiano, Mario Monti il quale si è detto molto "impressionato" dalle misure prese dal governo di Madrid. Misure che forse costituiscono i veri desideri del governo italiano. Il "decretazo", infatti, rende meno oneroso per le imprese il licenziamento senza giusta causa dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato (gli indennizzi sono pari al salario di 33 giorni di lavoro su ogni anno lavorato, e non più di 45).

sabato 25 febbraio 2012

15 ottobre, le condanne a chi non c'entra


Lorenzo e Giuseppe condannati a quattro e cinque anni per "resistenza aggravata" e colpevoli di avere in borsa una mascherina anti-lacrimogeni. Le condanne alla vigilia della manifestazione in Val di Susa.
Checchino Antonini
Contro di loro non ci sarebbero prove ma si sono visti appioppare le condanne più pesanti, cinque e quattro anni, tra quelle inflitte, finora, per gli scontri del 15 ottobre. Quel giorno Giuseppe e Lorenzo, diciannovenni, avevano deciso di unirsi ai trecentomila indignati che manifestavano contro le politiche di austerità della Bce. La prima manifestazione della loro vita. Di loro la procura possiede solo le immagini girate da un ragazzino dal terrazzo di casa sua, in via Carlo Botta, dietro via Merulana. Lui e la madre erano stati in finestra per ore, preoccupati per la sorte della macchina parcheggiata sotto casa. E' la voce della donna a urlare che quei ragazzi, immortalati a mani alzate mentre si lasciano arrestare docilmente, non c'entrano nulla con gli scontri. «Non sono loro che dovete prendere, questi stavano buoni. Non sono loro che dovete prendere». Spontaneamente, madre e figlio, porteranno il video in questura e confermeranno quelle parole: da almeno un quarto d'ora - fa fede la videocamera - erano seduti su quel gradino. Credevano di aver trovato un angolo tranquillo da cui cercare un varco per prendere una metreo, raggiungere la macchina e tornare nella provincia romana. Giuseppe è uno studente di istituto tecnico, Lorenzo giardiniere, precario. Famiglie modeste ma che li seguono molto. Nessuno dei due è un attivista in senso stretto. A trascinarli in piazza, la propria condizione materiale e il tam della rete sulla nascente indignazione italiana.

F-35 contro democrazia


Prima ancora di volare gli F35 bombardano la democrazia e il welfare. Sabato 25 la giornata di mobilitazione per tagliare le ali al debito
Checchino Antonini
Il numero decisivo pare sia il 90. 90 gli F35 che l’Italia potrebbe acquistare. 90 i giorni di preavviso scritto grazie al quale, invece, si potrebbe sottrarre al programma e destinare quei soldi a destinazioni certamente più degne. Penali, no, allo stato attuale non sono previste. Un mensile, Altraeconomia, ha fatto cadere definitivamente la foglia di fico contabile che fungeva da alibi per i supporter del faraonico progetto. Il più grande della storia dell’aereonautica. Primo fra tutti l’ammiraglio-ministro Di Paola, presente a tutte le fasi di avanzamento del progetto e che ha appena confermato l’acquisto di “solo” 90 dei 131 aerei da 120 milioni l’uno. Prezzo destinato a lievitare. Un fissazione bipartizan che, dal primo governo Prodi porta fino a Monti passando per D’Alema e Berlusconi. Ma, come spiega un corposo dossier messo in rete dalla campagna “Taglia le ali alle armi” (www.disarmo.org) dei diecimila posti di lavoro promessi solo 4 anni fa non ce n’è più traccia: restano la prospettiva di 200 posti nel picco della produzione, 800 nell’indotto, un peso di svariate decine di miliardi (10 per l’acquisto e una trentina per gestirli) sul debito pubblico e un nome, Lockheed, che richiama stagioni altrettanto cupe della politica nazionale. Perché la marca degli F35, caccia d’attacco monposto, supersonici e quasi invisibili ai radar, è la stessa dello scandalo che travolse un presidente della Repubblica e un paio di ministri a metà degli anni ’70. Prima di diventare una delle armi più micidiali mai costruite dall’uomo, F35 è già una storia di micidiali panzane e di un flop industriale senza precedenti. Tutta acqua al mulino di chi, sabato 25 febbraio, darà vita alle 54 iniziative in altrettante città della giornata di mobilitazione contro gli F35. Una protesta che potrebbe montare sebbene la fase politica sia tra le meno in fermento della storia e il parlamento in carica sia il più belligerante che si ricordi e il governo si appresti a perseverare in un progetto dispendioso all’ombra di una finta riforma delle forze armate. Un gioco di prestigio, secondo la Rete Disarmo, funzionale al famigerato Nuovo modello di difesa. Si tratta solo di un riequilibrio delle voci in bilancio, quello che si risparmierà sulle spese per il personale verrà dilapidato in armamenti a tutto vantaggio dell’apparato militare industriale. Secondo dati della Nato, la spesa militare italiana resterà intorno all’1,4% del Pil e non sotto l’1 come cerca di far credere via XX Settembre. Di Paola procede a tappe forzate evitando come la peste un confronto in Parlamento e senza mai chiarire i numeri forniti palesemente errati anche secondo gli addetti ai lavori. La Rete Disarmo (Sbilanciamoci, Tavola della Pace e ControllArmi) da due anni sta raccogliendo firme, promuovendo mozioni negli enti locali e proverà a interpellare i parlamentari collegio per collegio.

venerdì 24 febbraio 2012

Torino-Lione, sorpresa: la Savoia non ci crede più.

La Torino-Lione non è più un tabù: il progetto ha smesso di essere “intoccabile”, perlomeno in Francia, dove ambientalisti e partiti ormai contestano apertamente la super-linea ferroviaria contro cui si batte strenuamente la valle di Susa, ritenendola un salasso finanziario devastante per l’ambiente e soprattutto inutile, come confermato dai 400 docenti universitari che hanno sottoscritto l’appello rivolto a Mario Monti, promosso da Luca Mercalli e Sergio Ulgiati. Ora il “fronte critico” si allarga alla Savoia, dove ormai si oppongono al progetto sia le maggiori associazioni ecologiste, sia l’Ump, il partito di Sarkozy. Sigle come Fapna e Fne, cartelli ecologisti fino a ieri favorevoli al progetto, hanno cambiato idea: colpa delle «rilevanti carenze» del dossier, su temi come sostenibilità ambientale e redditività di una infrastruttura faraonica, destinata all’improbabile trasporto merci Italia-Francia, ormai in declino.

giovedì 23 febbraio 2012

"Il modello sociale europeo è superato"


Intervista di Mario Draghi al Wall Street Journal è l'indicazione politica centrale di quello che dovranno fare i vari paesi a cominciare dall'Italia
Il modello sociale europeo è tutto da riscrivere, e i Paesi con il bilancio in rosso non hanno altra strada che risanare i conti pubblici cercando di attutire l'impatto recessivo. Per farlo, la priorità sono le liberalizzazioni e la riforma del mercato del lavoro. È il senso dell'intervista d Mario Draghi al Wall Street Journal. Nel colloquio con il giornale newyorchese, l'ex governatore di Bankitalia parte dalla Grecia: "Se non avessi chiuso il pacchetto di aiuti, non ci sarebbe gioco" ha detto. Poi la ricetta proposta a tutta l'Europa: per attutire la recessione e dare fiducia la priorità sono le liberalizzazioni, e "al secondo posto c'è la riforma del mercato del lavoro". Di fatto dice Draghi, "il modello sociale europeo è già superato se guardiamo ai tassi di disoccupazione giovanile in alcuni Paesi".
Sul quadro macroeconomico dell'Eurozona, Draghi dice che "è difficile dire che la crisi sia finita". C'è maggiore stabilità sui mercati e molti governi stanno risanando le finanze pubbliche. "Ma la ripresa procede molto lentamente e resta soggetta a rischi al ribasso".