mercoledì 28 novembre 2012

Ilva, il risveglio amaro


Gli operai si accorgono che i Riva li hanno sempre presi in giro. Ma nessuno sa come uscire da una situazione in cui la difesa del lavoro non può avvenire a scapito della salute e dell'ambiente
Francesco Maresca
Nel corso della vita dello stabilimento siderurgico di Taranto se ne sono viste di tutti i colori. Quello che è accaduto negli ultimi cinque mesi è sconcertante. A distanza di 4 mesi, dopo vari tentativi di costringere Riva a fermare gli impianti per metterli a norma, la Procura e il Gip hanno sequestrato le merci e i semi-lavorati destinati ad altri stabilimenti del gruppo, perché frutto di illecito. Questo ha determinato la fermata degli impianti: tubifici, laminatoi, coils e zincatura, con la conseguente messa in libertà di 5.000 operai. I sette arresti sono Emilio Riva e l’altro figlio, vice presidente dell’Ilva, Fabio (Nicola Riva è già agli arresti domiciliari dal 26 luglio u.s.); altri arresti sono scattati per Girolamo Archinà che fu beccato mentre passava, in un’area di servizio, una busta con 10.000 €uro a Lorenzo Liberti, ex consulente della  procura. Questi arresti sono frutto di un’altra inchiesta chiamata “Environment Sold Out” (ambiente svenduto). Fino a ora erano stati coinvolti solo i Riva e loro collaboratori più stretti. Con questa seconda inchiesta sono stati coinvolti un po' tutti, dai politici locali ai sindacalisti di cui ancora non si conoscono tutti i nomi; e poi, tecnici e vari personaggi delle amministrazioni locale e regionale.

"Si parte e si torna insieme"


La testimonianza dal carcere di una delle studenti arrestate il 14 novembre. Botte, soprusi, paura ma una constatazione: "Non ci hanno nemmeno scalfito"
«Si parte e si torna insieme» di Natascia Grbic (dal blog di Francesco Raparelli su Huffington Post)

Ci ho messo un po' a decidere di buttare giù queste righe. Ripercorrere con la mente certi momenti non è facile, soprattutto se sei stato vittima di quello che uno a volte anche astrattamente chiama "repressione dello Stato". Mi sono detta però, che certe cose non devono passare sotto silenzio anzi, bisogna urlarle al mondo intero. Questo è per tutti quelli che il 14 novembre sono scesi in piazza e non hanno avuto paura. È per tutti quelli che l'hanno avuta. È per tutti quelli che l'hanno ancora, ma sono determinati a sconfiggerla e riprendersi le strade. È per tutte le detenute e i detenuti, che oltre a essere privati della libertà, "vivono" in condizioni pessime e degradanti, ma mi hanno mostrato cos'è la solidarietà. È per la mia famiglia che non ha mai smesso di sostenermi. È per i miei compagni e le mie compagne che in quel momento ho sentito ancora più vicino. È solo grazie a voi che non sono crollata.

Medioriente sotto la lente


La recensione su il manifesto del libro di Michele Giorgio, "Nel Baratro", a cura di Giampaolo Calchi Novati
Giampaolo Calchi Novati
(da il manifesto del 28/11/2012)
Raccogliere i propri articoli apparsi nel tempo su un quotidiano può essere un atto di albagia o un azzardo. O le due cose insieme. Secondo un luogo comune che non di rado contagia i redattori e direttori di giornale, un quotidiano il giorno dopo è buono solo per incartare la verdura. E anni dopo?
Michele Giorgio pubblica un’antologia di suoi scritti apparsi sul manifesto fra il settembre del 2000 e il settembre del 2012 (Nel baratro. I Palestinesi, l’occupazione israeliana, il Muro, il sequestro Arrigoni, Edizioni Alegre, pp. 286, euro 14). Gli articoli non hanno un inquadramento perché i fatti, e i contesti in cui i fatti si collocano, parlano da sé.

lunedì 26 novembre 2012

Rossanda lascia il manifesto


Una lettera molto breve,, lapidaria, con cui la fondatrice del giornale comunista comunica che non collaborerà più.
L'addio di Marco D'Eramo era stato nascosto in poche righe nella pagina delle lettere. Quello di Rossana Rossanda, al momento, lo leggiamo sul sito di Micromega da cui lo prendiamo. La crisi del manifesto sembra essere verticale e storica. Ci torneremo nei prossimi giorni. Intanto crediamo sia utile conoscere il tenore di queste posizioni e soprattutto la lettera di addio della fondatrice del quotidiano "comunista".
LA LETTERA DI ROSSANDA

Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info.
Rossana Rossanda

A proposito delle primarie


Un grande fenomeno di gestione dell'esistente in cui non va disprezzata la partecipazione di massa. Il problema è quale alternativa c'è in giro: l'unica sembra essere la democrazia dei movimenti
Salvatore Cannavò
Cosa dicono le primarie del centrosinistra o del Pd allargato? Più cose, diverse tra loro, alcune scontate, altre meno. La prima, scontata, e su cui non vogliamo dilungarci, è che sul piano dei contenuti le primarie sono praticamente nulle. Chi si ricorda il contenuto programmatico su cui vinse Prodi nel 2005, Veltroni nel 2007 o Bersani, segretario del Pd, nel 2009? Nessuno. Il contenuto programmatico delle primarie è il profilo dei candidati, il senso che restituiscono e la percezione del presente, e del futuro, che rimandano. In questo caso, si tratta di un esercizio funzionale al governo prossimo venturo, una forma del tutto interna alla politica tradizionale, con contenuti che, sostanzialmente, si assomigliano. Nessuno dei candidati, insomma, realizzerebbe una rottura di sistema. Se così fosse, del resto, le primarie non si terrebbero e la dinamica politica e sociale parlerebbe un altro linguaggio.

domenica 25 novembre 2012

Gaza, nel baratro


Recensione del libro "Nel baratro" uscita su Nena news Agency. Una selezione di articoli dal 2000 al 2012 che raccontano l'escalation dell'oppressione e della violenza contro i palestinesi ma anche gli errori che essi hanno compiuto.
Cinzia Nachira
Roma, 24 novembre 2012, Nena News - Nel Baratro è il titolo della raccolta di articoli di Michele Giorgio, giornalista e scrittore che conosce molto bene il Medio Oriente e in particolare la Palestina. Questa raccolta è anche una scelta coraggiosa perché dei molti articoli dedicati dall'autore alle vicende che hanno coinvolto per decenni il popolo palestinese, egli predilige quelli che ha scritto negli ultimi dodici anni. Non a caso questo è il periodo più difficile, controverso e drammatico della storia della Palestina e del suo popolo.

sabato 24 novembre 2012

La mappa efficace


La cartina che spiega l'evoluzione della situazione palestinese è ancora presa di mira per dissolverne il significato e ribadire la propaganda israeliana. In realtà, dimostra le ragioni di un popolo che si batte ancora per il proprio destino
Qualche giorno fa il sito “Il Post” pubblicava un articolo di Giovanni Fontana (“La mappa bugiarda su Israele e Palestina”) che contestava la correttezza politica e storica della famosa mappa della perdita di terra palestinese dal 1946 ad oggi.
L’analisi di Fontana è insidiosa perché fa finta di schierarsi con la “verità” e quindi dalla parte delle ragioni dei palestinesi per poi mettere nero su bianco una serie di affermazioni prese pari pari dall’ideologia sionista e contribuire così alla disinformazione e alla confusione riguardo il “conflitto israelo-palestinese”.
Un conflitto politico allo stesso tempo semplice da capire (si tratta della resistenza di un popolo alla sua progressiva esclusione dalla terra dove ha sempre vissuto e all’impossibilità di autodeterminazione e indipendenza) e che racchiude definizioni complesse e coppie concetti di non immediata comprensione e con significati ambigui: nazione/popolo, ebrei/israeliani, arabi/palestinesi, arabi/musulmani ecc.
Ma in fondo spiegare questo conflitto “è la semplicità, che è difficile a farsi”.

"Niente premi, sto con i lavoratori"


Ken Loach scrive al Festival del Cinema di Torino: avete esternalizzato e sacrificato i dipendenti delle cooperative, quindi non accetto il vostro riconoscimento
Ken Loach
È con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film.
I festival hanno l’importante funzione di promuovere la cinematografia europea e mondiale e Torino ha un’eccellente reputazione, avendo contribuito in modo evidente a stimolare l’amore e la passione per il cinema.

Tuttavia, c’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile.

Produttività, il lavoro che peggiora


Cosa dice, come funziona e che effetti avrà l'accordo siglato a palazzo Chigi tra le imprese e i sindacati Cisl, Uil e Ugl
Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano
Dopo la firma dell’accordo sulla produttività tra le parti sociali, l’attesa si sposta ora sul Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm) che ne regolerà l’applicazione. Mentre la vicenda divide anche le primarie del centrosinistra, con Renzi che applaude i sindacati firmatari e Bersani che difende le ragioni della Cgil, cerchiamo di capire meglio i problemi di applicazione dell’accordo.
1. Qual è la posta in gioco?
I fondi stanziati dal governo ammontano a 2,1 miliardi, destinati a detassare al 10% gli aumenti salariali legati alla produttività dell’azienda e, quindi, siglati a livello territoriale o aziendale. Si favorisce la cosiddetta contrattazione di secondo livello a scapito del contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl).

martedì 20 novembre 2012

La miglior difesa è il massacro


Basta con l'ipocrisia israeliana e degli alleati europei. Basta con la guerra israeliana al popolo palestinese. Non c'è pace senza giustizia
Piero Maestri
«È tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico. Ed agisca di conseguenza: smetta di fornire elettricità e far passare cibo. Dichiari ufficialmente che siamo in uno stato di guerra e agisca di conseguenza». Parole dello scrittore «pacifista» Abraham Yeoshua, lo stesso che nel condannare la «seconda Intifada» palestinese commentava che l'errore dei palestinesi stessi era quello di volere «la pace e la giustizia», il che è ovviamente una colpa!
Su una cosa ha però ragione: Israele è in guerra contro Gaza, è in guerra contro la popolazione di Gaza. E non solo o non tanto perché da qualche giorno ha ripreso i bombardamenti mirati e indiscriminati contro la Striscia, ma perché dopo la farsa del «ritiro unilaterale» del 2005, Israele ha mantenuto la Striscia sotto un vero e proprio assedio. E' l'altra forma dell'occupazione che continua.

La repressione di Putin


Un appello alla solidarietà internazionale da parte degli oppositori del governo russo, imprigionati, a volte torturati, dopo le grandi manifestazioni del 2011 e di inizio 2012
Oggi, noi, rappresentanti delle organizzazioni della sinistra russa, inviamo ai nostri compagni in tutto il mondo un appello alla solidarietà. Questo appello e la vostra risposta sono per noi molto importanti. Proprio ora siamo di fronte non solamente ad un esempio di quello che viene chiamato «sistema giudiziario» russo o ad un altro caso di vita spezzata dall'incontro con l'apparato repressivo dello stato. Oggi le autorità russe hanno lanciato contro di noi una campagna di repressione senza precedenti nella storia recente della Russia, una campagna che ha come obiettivo la distruzione della sinistra come forza politica organizzata.

Gli arresti recenti, le minacce, i pestaggi, gli aggressivi attacchi giornalistici e i tentativi di dichiarare illegali i gruppi della sinistra sono tutti aspetti della nuova strategia generale delle autorità -molto più crudele e meno prevedibile di quelle degli anni recenti.

Ballando il foxtrot


La manifestazione del 14 novembre, la composizione di classe, la richiesta di uno spazio sociale e politico al tempo con il ritmo del movimento. Che oscilla tra passo lento e veloce
Felice Mometti
Nel ritmo base del foxtrot ogni passo
lento occupa due battiti musicali
e ogni passo veloce un solo battito.

14 dicembre 2010 - 14 novembre 2012. Un sottile, ma robusto, filo lega queste due date. E' il riemergere di una composizione sociale e di classe che non si fa irrigimentare nello "stato di eccezione" imposto dal Governo e dai partiti che lo sostengono. Due anni fa molte analisi confinarono quella rivolta nell'ambito di un antiberlusconismo, certo poco educato e insofferente alle pantomime della politica istituzionale, che attraversava l'intera società. Ciò che invece muoveva coscienze, condizioni materiali, immaginari era non solo, ed oggi possiamo dire non tanto, la cacciata della maschera di Arcore - già entrata in una rabbiosa agonia - ma l'apparizione, la messa in forma, di soggetti e contenuti che debordavano i tradizionali confini di una sinistra più o meno radicale. Una politicità, connaturata negli avvenimenti e nei comportamenti, alla ricerca di linguaggi e strumenti che facessero bruciare le tappe, senza rallentamenti dovuti alle macerie del passato. Obiettivamente era molto difficile arrivare in orario a quell'appuntamento, nonostante le premesse. Gli orologi non erano sincronizzati e segnavano ancora ore diverse.

giovedì 15 novembre 2012

La rivolta si fa europea


Gli studenti portano l'Italia in Europa. Grande corteo a Roma e in altre città italiane al pari delle piazze europee. "Tutti insieme famo paura" lo slogan più gettonato. Ora serve dare continuità alla protesta
imq
In Europa esplode la rivolta contro l'austerità e le politiche di rigore. E' l'Europa del sud, in particolare, a mobilitarsi con grandi manifestazioni a Madrid, Lisbona, Atene e poi Parigi e, per la prima volta, l'Italia. La novità più rilevante è forse questa: a Roma, Milano, Torino, Padova e poi in tantissime città più piccole, decine di migliaia di studenti e di lavoratori hanno manifestato contro il governo Monti (e Profumo). La preoccupazione della “Troika” è stata finora quella di evitare il contagio monetario tra i diversi paesi ma ieri si è avuto un evidente contagio sociale.
La primogenitura della protesta spetta ancora alla Spagna. A Madrid e Barcellona si sono tenute le manifestazioni più importanti. La polizia è intervenuta con la mano pesante, sparando anche proiettili di gomma. Gli arresti sono stati almeno 70 e moltissimi i feriti. Ma ampia adesione allo sciopero anche a Lisbona, Atene e nella stessa Parigi.
La novità di ieri è stata però Roma, e l'Italia in generale, che si è unita al coro europeo anche per la scelta della Cgil di indire lo sciopero generale sia pure di 4 ore. Scelta al ribasso ma comunque in grado di fare da detonatore a una rabbia latente (e i Cobas hanno avuto l'accortezza di proclamare il proprio sciopero nella stessa giornata). Rabbia latente e giovane perché a Roma la differenza tra il corteo della Cgil e quello studentesco è stata stella, quasi dieci a uno.

La Cgil, ovviamente, utilizzerà la giornata per riprendere il filo del rapporto con Cisl e Uil e imporre al governo le proprie priorità. Ma anche per dare linfa sociale alla corsa delle primarie.
Sul fronte dei movimenti sociali, invece, quello che segnerà la differenza è la giornata studentesca.
50 mila persone a Roma non si vedevano dal movimento studentesco dell'Onda. Ragazzi e ragazze delle scuole medie che, al grido di “Tutti insieme famo paura”, cioè facciamo paura, hanno reso evidente lo scarto che esiste tra la politica ufficiale e un settore nevralgico della società. Non a caso, un politico che ha molto fiuto, come Beppe Grillo, ha consigliato ai poliziotti, al “soldato blu”, di “togliersi il casco e abbracciare la protesta”.

Solo che al momento dalla polizia sono venute soprattutto le botte. Fredde e determinate quelle di Roma a fronte di un corteo tutto sommato tranquillo come dimostra lo stesso video della Polizia di Stato.La giornata era iniziata tranquillamente a parte le provocazioni di Casa Pound e del Blocco studentesco, sostanzialmente ignorate. Sino a Piazza Venezia tutto è andato per il meglio. Poi il corteo si è diviso in due e una parte, dinanzi al cordone di polizia a presidio dei "palazzi del potere" ha deciso di girare verso il lungotevere. Ma all’altezza di Ponte Sisto le forze di polizia hanno girato i blindati che precedevano il corteo e poi hanno iniziato a caricare. La fuga non ha impedito alla polizia di fermare molti manifestanti identificandone oltre un centinaio. Tra loro diversi attivisti universitari.
Anche per questo alle 17,30 è stata convocata l’assemblea alla Sapienza: “Il corteo è stato attaccato dalla polizia in modo vergognoso”, hanno detto gli studenti che per il 15 novembre si sono dati appuntamento alle 12 alla facoltà di Lettere della Sapienza per una conferenza stampa.

mercoledì 14 novembre 2012

Torna il movimento, ed ecco le violenze della polizia


Il corteo studentesco del 14 n, in occasione dello sciopero europeo anti austerity, è stato un enorme successo, puntualmente represso dalla violenza della celere. Nell'articolo il video che mostra le cariche della polizia.
Checchino Antonini
E' finita con una caccia all'uomo per le stradine di Trastevere, sul lungotevere, sul ponte di Porta Portese. Sembrava il 77, dice chi c'era anche allora, quel giorno di maggio che ammazzarono Giorgiana Masi, proprio lì, a Ponte Garibaldi. Come allora uomini in borghese con le auto civetta che catturano persone con la sola colpa di essere liceali o universitari al tempo del governo tecnico. Una cinquantina di fermati, molti rilasciati quasi subito ma a tutti hanno sequestrato macchine fotografiche, videocamere e anche gli smartphone. Dodici arresti e la cifra è provvisoria. Una retata esemplare di ragazzi pescati nel mucchio dopo che una carica violentissima aveva impedito a un corteo di studenti, tantissimi, di proseguire nell'intenzione di assediare Montecitorio il luogo in cui si consuma il furto del loro futuro e quello dei loro padri. Dopo aver negoziato il percorso metro per metro, dalla Sapienza fino a piazza Esedra, dove si sono congiunti docenti dei Cobas e studenti di Atenei in rivolta, di centri sociali e liceali che sfilano scuola per scuola, giù per via Cavour gridando "Questa non è/l'Italia che vogliamo" o "Noi-non-moriremo-precari", sono arrivati fino ai Fori Imperiali trovando altri studenti partiti da Piramide. Lasciati i Cobas a Piazza Venezia erano arrivati alla Bocca della Verità. Due fiumi piena: il Tevere e loro, direzioni opposte.

martedì 13 novembre 2012

Ri-Pubblica, democrazia reale


Occupato il vecchi cinema America a Trastevera. La coalizione romana per l'Acqua pubblica prova a crescere e a parlare a tutta la città
Checchino Antonini
Il contrario delle primarie è la democrazia partecipata. La distanza è abissale. Da un lato c'è la partecipazione alla consacrazione di un leader che poi deciderà per tutti, nell'ambito di una contrazione della democrazia che va sotto il nome di bipolarismo. Dall'altro c'è la presenza fisica in uno spazio di persone che si interrogano sul proprio destino e provano a determinarlo non sporadicamente.
Il contrario di libero mercato sono i beni comuni.
Così come tra bipolarismo e liberismo c'è un legame fortissimo (che la carta d'intenti delle primarie rende intellegibile quando stabilisce nel fiscal compact il cielo delle stelle fisse entro cui si muove l'azione di governo)

lunedì 12 novembre 2012

Quel che resta del Social forum


Si è chiuso l'appuntamento "Firenze 10+10", decennale del primo Social forum europeo e nuova occasione di incontro internazionale. Il peso della sinistra moderata, un po' di solite facce ma anche un calendario di mobilitazione interessante
Piero Maestri
L'applauso ai volontari che hanno lavorato in queste settimane per la riuscita dell'evento - in particolare per le/gli interpreti di Babel e Coati - ha chiuso l'assemblea finale di «Firenze 10+10». Oltre 2000 persone sono passate per la Fortezza da Basso in questi 4 giorni - 800 sono quelle/i che vi hanno dormito, soprattutto giovani.
Decine di workshop, spesso partecipati da qualche decina di persone, ma non per questo meno interessanti, anzi talvolta più «produttivi» delle assemblee numerose, perché diretti alla costruzione di nuove reti o al consolidamento di quelle esistenti su molti temi: finalmente riparte un movimento europeo sull'acqua; si consolida intorno all'ICAN (International Citizen Audit Network) una rete continentale contro il pagamento del debito; si affaccia la rete degli economisti progressisti che propongono politiche alternative alla crisi. E ancora, si rilancia la rete dei migranti e, importante «novità», ha un grande successo l'incontro delle donne contro il debito e l'austerità.
L'assemblea finale registra il discreto successo di questo appuntamento, ma anche i suoi - forse altrettanto grandi - limiti politici.
«Firenze 10+10» si chiude con un «documento finale» necessariamente scarno e che si limita a dichiarare la volontà di iniziative e mobilitazioni comuni, indicandone alcune su cui le reti dovranno impegnarsi.
A partire dalla valorizzazione dello «sciopero generale europeo» del 14 novembre (anche se purtroppo non è davvero tale...) e dalla condivisione di una mobilitazione nelle giornate del 22/23 marzo in occasione del vertice europeo a Bruxelles (con modalità ancora da definire - se con manifestazione europea o con appuntamenti nelle varie città europee), si «offrono» ai movimenti europei una serie di giornate e appuntamenti che possano vedere la convergenza e la mobilitazione comune delle diverse realtà europee (e non solo): il 18 dicembre giornata per la libertà di circolazione delle/dei migranti; dal 23 al 27 gennaio 2013 le giornate contro le banche e la finanziarizzazione della vita e dei beni comuni (volute con forza dalle reti contro il debito, tra le quali un ruolo importante lo ha giocato anche la Campagna italiana per una nuova finanza pubblica di cui fanno parte Rivolta il Debito, ReCommon, Attac e Smonta il debito); un 8 marzo contro il debito e le politiche di austerità- che colpiscono in particolare le donne e rafforzano il patriarcato; in maggio ancora Blockupy Frankfurt; tra maggio e giugno l'Alter Summit ad Atene e infine in giugno ilcontrovertice G8 in Gran Bretagna. E in mezzo il Forum Sociale Mondiale a Tunisi dal 23 al 26 marzo.

Sembrerebbe davvero poco - e allo stesso tempo una previsione di troppi appuntamenti che rischiano di non avere seguito - dopo tutte quelle ore di discussione e approfondimenti, e per certi versi non rappresenta la qualità e la radicalità delle stesse discussioni.
Un documento simile è evidentemente il frutto di un compromesso - anche se a molte/i potrebbe non piacere questo concetto, e preferiscono utilizzare quello del «consenso».
Ma questo consenso è stato in qualche modo «imposto» dai soggetti più moderati e talvolta più grandi e organizzati - in particolare i sindacati legati alla Ces (con la Cgil in prima fila) e le forze politiche e associazioni legate alla sinistra europea e alle «socialdemocrazie».

In particolare è stato il circuito del «Alter Summit» (formato da sindacati confederali, gruppi della sinistra europea moderata, oltre a reti più radicali e interessanti) a mostrare i muscoli: una loro assemblea è stata tra le più partecipate, ma anche la più tradizionale, con interventi di personaggi politici (magari con messaggi letti in sala), sindacalisti e così via - come fosse un «forum» parallelo che volesse dare la linea a tutti, nella forma della passerella dove tutto era già visto e già deciso.
Una proposta di documento più ampio, che tenesse conto delle discussioni e delle convergenze raggiunte in ogni asse tematico è stato bloccato da queste forze moderate - che hanno appunto lavorato ad un consenso per sottrazione (per esempio cercando in tutti i modi di evitare una dichiarazione di non volontà di pagamento del «debito illegittimo»).

Come prevedibile la Cgil ha giocato un ruolo di primo piano - conseguente alla sua «doppiezza» che la fa presentare come soggetto di movimento in Europa mentre svolge un ruolo di freno allo sviluppo delle mobilitazioni contro l'austerità e il debito in Italia (la sua orgogliosa rivendicazione di sciopero generale ... di 4 ore, è stata accolta da diversi soggetti europei con ironia e scandalo).
Un ulteriore limite critico è la mancanza di un profondo ricambio di «leadership» di movimento, evidente in particolare tra gli italiani (troppe le facce già in primo piano 10 anni fa...), quando in questi ultimi anni si sono affacciate nuove esperienze come quelle dei diversi «indignad@s» e dei vari «Occupy», poco disponibili a farsi «rappresentare» da vecchi marpioni del «ceto politico di movimento».

Malgrado questi limiti, in qualche modo già prevedibili, l'appuntamento fiorentino non è stato tempo sprecato. Da una parte alcune giornate di iniziativa previste possono davvero favorire nuove convergenze o consolidarne altre già esistenti, alcune di esse anche con un carattere più di movimento e di rottura (pensiamo a Blockupy Frankfurt, che ripropone l'assedio alla Bce, o alle giornate contro le banche e la finanziarizzazione della vita e dei beni comuni).
D'altro canto i risultati delle discussioni dei singoli assi tematici non dovrebbero andare persi, ma potrebbero produrre nuove iniziative e maggiore capacità di scambio di esperienze e di lavoro comune per molti soggetti più interessati a un impegno dal basso e alla sviluppo di un vero movimento europeo e di una nuova radicalità.

Gli operai serbi piegano Marchionne


Allo stabilimento di Kragujevac strappati aumenti del 13 per cento. Resta in piedi la vertenza per l'orario di lavoro e tornare ai turni di otto ore
Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano
Quello che non riesce in Italia accade in Serbia. I lavoratori Fiat dello stabilimento di Kragujevac hanno vinto la loro vertenza e ottenuto un aumento salariale del 13%. La compattezza e la determinazione dei 2.500 operai serbi sembra aver avuto la meglio. Anche perché a Kragujevac si produce la 500L, modello di punta nelle strategie di Marchionne. L'intesa ha validità a partire da ottobre e riguarda anche il pagamento di una tredicesima mensilità e di un bonus una tantum in due rate per complessivi 36 mila dinari (350 euro circa).
IL BELLO, però, è che la vertenza operaia potrebbe continuare, perché raggiunta l'intesa sulla parte salariale resta lo scontro in materia di orario di lavoro.

giovedì 8 novembre 2012

Ma Obama è più debole


Il candidato democratico vince ma non è più la stella di quattro anni fa. E' cresciuta la disillusione e ora per il presidente Usa si annuncia una strada di coabitazione con la maggioranza repubblicana
Felice Mometti
Obama vince per poco, due punti percentuali, se si guardano i voti assoluti. Per molto di più se si contano i grandi elettori che concretamente eleggeranno il presidente. La Camera dei Rappresentanti è sempre dei Repubblicani e il Senato dei Democratici. Messa così sembra che non sia cambiato nulla. Ma non sempre i numeri forniscono le giuste chiavi interpretative, le elezioni di quattro anni fa sono molto più lontane di quanto dica il numero di anni. In mezzo è esplosa una crisi economica che ha fatto precipitare i redditi dei lavoratori americani a più di due decenni fa.