giovedì 30 agosto 2012

Il fascista sbagliato


Bersani attacca frontalmente Grillo così come Berlusconi rispolverava il termine "comunista" contro i suoi avversari. Un modo per mimetizzare lo spostamento a destra ed evitare di parlare di contenuti
Daniela Preziosi

Speravamo di esserci liberati dei «comunisti» di Berlusconi, quei nemici inesistenti (sfortunatamente) che il Cavaliere si era inventato come un Don Chisciotte all'incontrario per non affrontare le critiche (vere) degli oppositori. E invece è di nuovo allarme, allarme rosso compagni, ci sono i «fascisti». Ne ha scovato uno Bersani, non fra i suoi alleati in Sicilia; non fra iCiarrapichi e i La Russa che stanno nella maggioranza di Monti e cioè anche sua; non fra i finiani con i quali Bersani vagheggia un patto chiamandolo persino «costituzionale»; e nemmeno attorno a lui, in parlamento, dove si votano senza uno straccio di dibattito nel paese provvedimenti che mai sono stati nei programmi politici e che cambiano il corso delle nostre vite, come il pareggio del bilancio nella Costituzione.

Per Bersani il fascista nazionale è Beppe Grillo.

La sinistra non può che stare con il popolo siriano


Intervista a Gilbert Achcar, intellettuale e militante marxista, profondo conoscitore del mondo arabo e dei suoi movimenti. "Le forze islamiche subiranno dei contraccolpi anche se ora sono maggioritarie"
Pubblichiamo di seguito un’intervista con Gilbert Achcar, docente presso la Scuola di studi orientali e africani dell’Università di Londra (Soas). L’intervista è stata realizzata in arabo da Oudai al-Zoubi per il quotidiano Al-Quds Al-Arabi che l’ha pubblicata il 25 agosto. La traduzione in francese è di Jihane Al Ali per conto del sito A l’Encontre. Nella presentazione Al-Quds Al-Arabi precisa : «Considerando che tutti coloro che si dichiarano di sinistra non possono che essere al fianco del popolo siriano nella lotta contro la tirannia, Gilbert Achcar sostiene che ormai la resistenza popolare è l’unica via che porta alla vittoria della rivoluzione siriana» (Redazione di A l’Encontre).
Alcuni militanti di sinistra temono l’islamizzazione della rivoluzione e questo li ha spinti a volte a lottare contro di essa o comunque a non sostenerla. Qual è il suo parere, in quanto marxista, sulla posizione da adottare di fronte alla rivoluzione siriana?
Gilbert Achcar: È normale che tutti coloro che credono nella democrazia – e la democrazia presuppone evidentemente la laicità – temono l’emergere di una forza religiosa che prende come fonte per la legislazione i testi sacri invece della volontà del popolo. Tutti temiamo che la grande sollevazione araba, su cui abbiamo riposto molte speranze, si trasformi in regressione reazionaria. C’è già un precedente storico: la rivoluzione iraniana che è iniziata come rivoluzione democratica ed è sfociata in uno Stato integralista. Questa paura è dunque naturale per chi crede nella democrazia.

Se sei nero non ti faccio votare


Evitare che elettori privi di carta d'identità possano partecipare al voto. Obiettivo: le comunità black e latinos. E' una delle mosse dei Repubblicani per le prossime presidenziali in una campagna sempre più lanciata verso destra
Cinzia Arruzza
Vi ricordate la grande frode elettorale in Florida che nel 2000 portò alla "vittoria" di George W. Bush contro Al Gore? Difficile da credere che nel grande paese culla della democrazia e della libertà
il presidente che avrebbe impegnato la propria nazione in due guerre tanto sanguinose quanto fallimentari, che avrebbe attaccato in maniera decisiva privacy e diritti costituzionali, e che avrebbe dato un’ulteriore impulso alle politiche neoliberiste, era stato eletto grazie a una delle più grandi truffe elettorali della storia. Forse risulterebbe meno difficile da credere, se si tenesse conto del fatto che le frodi elettorali sono all’ordine del giorno in un paese in cui, quando va bene, vota solo la metà della popolazione. Ed è per questo che gruppi di privati cittadini hanno pensato bene di mettersi insieme e di organizzare delle pattuglie di osservatori, incaricati di sorvegliare che il voto alle elezioni presidenziali del 6 novembre di quest’anno si svolgano nel rispetto delle regole.

martedì 28 agosto 2012

Alcoa, tre miliardi dallo Stato e ora fugge in Arabia


Quella dell’Alcoa è una classica storia di profitti privati e perdite pubbliche. Una storia di aiuti di Stato e di Stato incapace, di privatizzazioni che alla fine presentano il conto. Come nel caso dell’Ilva. Anche lo stabilimento di Portovesme, in Sardegna e quello di Fusina in Veneto, vengono dalle partecipazioni pubbliche.
Salvatore Cannavò
(Da Il Fatto quotidiano)
Quella dell’Alcoa è una classica storia di profitti privati e perdite pubbliche. Una storia di aiuti di Stato e di Stato incapace, di privatizzazioni che alla fine presentano il conto. Come nel caso dell’Ilva. Anche lo stabilimento di Portovesme, in Sardegna e quello di Fusina in Veneto, vengono dalle partecipazioni pubbliche. Si chiamavano Alumix e appartenevano all’Efim, struttura nata per guidare le industrie meccaniche, poi diventato un carrozzone con perdite miliardarie. E così, con la sua liquidazione nel 1995 la produzione di alluminio passa alla multinazionale statunitense, l’Aluminum Company of America, Alcoa, terzo gruppo mondiale, un colosso da 61mila dipendenti nel 2011, 25 miliardi di dollari di fatturato, 614 milioni di utili nel 2011 contro i 262 del 2010.

Vietato parlare di Mafia in Sicilia


Vietato rivelare intrecci tra cosche, affari e politica. Altrimenti ti querelano e a farlo stavolta è una giunta comunale preoccupata per la rispettabilità del paese. E' ciò che sta accadendo ad Antonio Mazzeo, autore del libro "I Padrini del Ponte", per un'inchiesta sulla cittadina di Falcone, nel messinese.
Checchino Antonini
Vietato parlare di mafia in Sicilia, fare nomi e cognomi, rivelare intrecci tra cosche, affari e politica. Altrimenti ti querelano e a farlo potrebbe essere una giunta comunale preoccupata per la rispettabilità del paese. Come se fosse la denuncia delle infiltrazioni e non le mafie a infangare la qualità della vita. Ad Antonio Mazzeo sta accadendo questo per un'inchiesta sulla cittadina di Falcone, nel messinese, uscita sull'ultimo numero di "I Siciliani/giovani", la rivista erede del giornale di Pippo Fava, diretta da Riccardo Orioles. E la vicenda sembra il sequel dell'anatema del nuovo sindaco di Trapani, pochi mesi fa, che ammonì tutti a non parlare di corda in casa degli impiccati, a non parlare di mafia.
Mazzeo, free-lance impegnato sul fronte antimafia e su quello antimilitarista, autore tra l'altro del libro“I Padrini del Ponte" per le edizioni Alegre, sarebbe colpevole di aver definito Falcone «un paradiso mancato»: “Nel cuore di una delle zone nevralgiche della nuova mafia, una tranquilla cittadina di provincia che tanto tranquilla non è

Perchè Assange ha scelto l'Ecuador


Assange ha le trascrizioni di diverse conversazioni in varie cancellerie del globo, in cui si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedire ai loro governi di far passare piani economici keynesiani applicando invece i dettami del FMI. E' forse per questo che ha scelto di rifugiarsi nell'ambasciata dell'unico paese che si è rifiutato di pagare il debito.
Sergio Di Cori Modigliani
da stampalibera.com
Oggi parliamo di geo-politica e di libera informazione in rete.
Tutto ciò che sta accadendo oggi, tecnicamente (nel senso di “politicamente”) è iniziato il 12 dicembre del 2008. Secondo altri, invece, sarebbe iniziato nel settembre di quell’anno. Ma ci volevano almeno quattro anni prima che l’onda d’urto arrivasse in Europa e in Usa.
Forse è meglio cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio cominciare dalla fine.
Con qualche specifica domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.
Mi riferisco qui alla questione di Jules Assange, wikileaks, e la Repubblica di Ecuador. Perché il caso esplode, oggi?
Perché, Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero britannico perde la testa e si fa prendere a schiaffi davanti al mondo intero da un certo signor Patino, ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta alla super elite planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo, mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al mondo intero?
Perché l’Ecuador? Perché, adesso?

Tutto era più che prevedibile, nonché scontato.
Intendiamoci: era scontato in tutto il continente americano, in Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi scandinavi. In Europa e a Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni fa.
Perché l’Europa –e soprattutto l’Italia- è al 100% eurocentrica, vive sotto un costante bombardamento mediatico semi-dittatoriale, non ha la minima idea di ciò che accade nel resto del mondo, ma (quel che più conta) pensa ancora come nel 1812, ovvero: “se crolla l’Europa crolla il mondo intero; se crolla l’euro e l’Europa si disintegra scompare la civiltà nel mondo” e ragiona ancora in termini coloniali.
Ma il mondo non funziona più così.

domenica 19 agosto 2012

Contro Monti, a partire dalle piazze


Il manifesto pubblica un dibattito sulle possibili convergenze a sinistra in opposizione al governo con l'occhio puntato anche alle prossime elezioni. E alle scadenze di movimento dell'autunno. Gli articoli di Piero Maestri, Paolo Ferrero, Marco Revelli
L'alternativa riparta dalle piazze
di Piero Maestri (da il manifesto)

Abbiamo letto con interesse gli interventi di Marco Revelli e Paolo Ferrero pubblicati nei giorni scorsi da «il manifesto». Interesse per le analisi che fanno del governo Monti e per la proposta di ricerca della costruzione di un'alternativa politica a sinistra.
Condividiamo il giudizio sul governo Monti - e le sue politiche - come «costituente». a nostro avviso questo governo rappresenta un punto di non ritorno e un'ipoteca pesantissima per il futuro principalmente per due motivi: da una parte per il contenuto delle politiche liberiste del governo Monti-Napolitano, che hanno segnato l'ennesimo episodio di quella «lotta di classe dall'alto» di cui parla Luciano Gallino, colpendo con forza i diritti e i poteri di lavoratrici e lavoratori (siano essi pubblici o privati, precari o in via di precarizzazione), pensionate/i, disoccupate/i e giovani generazioni; dall'altra parte per il fatto che queste politiche sono state approvate con la complicità esplicita e plaudente del PD e quella implicita delle confederazioni sindacali - Cgil compresa (a parte il tentativo Fiom di resistere a questa deriva).

Taranto, le prospettive del movimento


Un'altra giornata molto positiva, il 17 agosto, ribadisce ancora l'unità tra cittadini e operai. Ma ora occorre avere un progetto sull'Ilva, a partire dall'esproprio, e conquistare il consenso degli operai della fabbrica
Francesco Maresca*
Non c’è stata la solita guerra dei numeri. E, credo che, veramente non importa il numero che ha partecipato al presidio di piazza Immacolata (una volta si chiamava Giordano Bruno l’eretico). Certo un po’ di eresia c’è in quello che succede a Taranto. Partito, quasi per caso, il movimento è cresciuto nel giro di tre settimane, grazie alla stupidità dei soliti burocrati sindacali. La piazza, arroventata da un sole che non dà tregua, si è riempita poco a poco. Si è sentito subito l’entusiasmo della presenza prevalentemente di giovani, anche se non mancava una buona presenza di persone più avanti negli anni.
Gli operai riconosciuti come portavoce rilasciavano interviste a nome del “Comitato di cittadini e lavoratori liberi e pensanti”, che in un primo momento poteva sembrare un nome proveniente da un’altra epoca. Volutamente o meno, il nome è il prodotto di uno stato d’animo degli operai che hanno lanciato questo comitato. Il tappo che gli apparati sindacali, i partiti maggiori, le istituzioni tutte, hanno messo su qualsiasi iniziativa di associazioni ambientaliste, gruppi di cittadini e via discorrendo.

venerdì 17 agosto 2012

Sudafrica, una tragica conferma


Il massacro dei minatori segnala quanto il paese non sia cambiato nelle sue strutture sociali e il ruolo di gestione capitalistica dell'Anc e anche del sindacato Cosatu
Antonio Moscato
Il massacro di Marikana ha sorpreso quasi tutti i commentatori. Come è possibile, nel paese di Nelson Mandela, e mentre Mandela è ancora vivo?
Sorvolano in genere sul fatto che la grande vittoria di Nelson Mandela, se apparve un simbolo straordinario della possibilità di cambiare le cose, non toccò sostanzialmente la ripartizione della ricchezza e non intaccò la struttura dell’apparato statale.

Dossier Taranto: dai fumi alla città pulita


La discussione sulla riconversione produttiva dell'Ilva, l'abbandono dell'acciaio in cambio di uno sviluppo ecosostenibile, il controllo operaio, il ruolo dei movimenti. Un collage di interventi per fare di Taranto la discussione chiave sul ruolo del capitalismo e su come sconfiggerlo
E' uno snodo cruciale della vicenda del capitalismo moderno, quello che sta accadendo a Taranto. Oltre la cronaca giudiziaria- ancora una volta, però, decisiva per mettere un'azienda "fuorilegge" con le spalle al muro, come accaduto a Marghera, con la Eternit, con l'Enel, etc. etc. etc. - la partita in corso chiama in causa scelte fondamentali. Il ruolo del "sapere operaio" nel contrastare le scelte dell'azienda e del governo; la politica industriale di un Paese e il soggetto che ne è titolare (controllo operaio sulla produzione); nazionalizzazione e controllo operaio e pubblico dei grandi mezzi di produzione di fronte all'evidente fallimento "sociale" dell'azienda, fatti salvi i profitti; il ruolo di una riconversione ambientale, la sua possibilità di essere sviluppo e futuro produttivo e occupazionale e quindi il ruolo che occupa la tutela dell'ambiente nei destini futuri dell'umanità. E' facile dirsi ecologisti, infatti, ma la salvaguardia del pianeta passa anche per scelte di fondo su cosa, come e quanto produrre: slogan quanto mai pertinente a Taranto.
Questa discussione è appena iniziata e i soggetti in campo oscillano ancora per posizioni pregresse più che per un dibattito esauriente su tutti questi nodi. Per questo ci limitiamo a sollevare le domande, auspicando di avere risposte soprattutto da chi si batte in prima linea - pensiamo al Comitato Cittadini Operai Taranto (Cittadini liberi e pensanti), ai settori sindacali più consapevoli, ma anche ai comitati ambientalisti più preparati - provando a tenere alta l'attenzione. Su questo sito, rinviamo innanzitutto agli articoli di Ciccio Maresca, militante di Sinistra Critica e per decenni operaio dell'Ilva iscritto alla Fiom che tra i primi ha fatto riferimento ai metodi di risanamento dell'Ilva.
Accanti ai suoi articoli indichiamo anche:

lunedì 13 agosto 2012

Che succede a Taranto


Ancora un intervento della magistratura per il blocco della produzione. L'Ilva non prende impegni la mano pubblica non glieli chiede. Cronaca delle assemblee, e del dibattito, che si tiene in città
Francesco Maresca*
Nei giorni successivi al 2 agosto, a Taranto è accaduto di tutto. Ci sono state assemblee di operai e cittadini, con 250/300 persone, contando anche il Comitato “cittadini e lavoratori liberi e pensanti” e altre organizzazioni. C’è stata anche una riunione politica e organizzativa, di una trentina di persone del Comitato, che ha messo a punto alcuni punti di programma , come per es. andare nei vari quartieri a fare assemblee; fare una settimana di mobilitazione in fabbrica con volantini e megafoni. La posizione sull’Ilva rimane ambigua, del tipo “chiusura programmata”. Cosa si vuole dire con questa posizione non si capisce. Se si vuole che l’azienda chiuda definitivamente; oppure che bisogna programmare una chiusura per fare i lavori di bonifica. Si potrebbe propendere per la prima versione vista la posizione che la segue: “Lo Stato deve fare investimenti per cambiare il modello di sviluppo di Taranto”.

Siria, anatomia di una rivoluzione


Mentre il conflitto si drammatizza, l'attenzione mediatica è tutta per gli aspetti militarizzati della sollevazione. A rimanere sconosciuta è la dinamica rivoluzionaria pacifica della rivolta, che resta centrale. Analisi delle sue radici e prospettiva di una "nuova Siria"
Leyla Vignal*
Un'ampia analisi sulla rivoluzione siriana, i suoi protagonisti e i pregiudizi della sinistra internazionale. Articolo pubblicatohttp://antoniomoscato.altervista.org/ e tradotto da Titti Pierini
In questo fine luglio 2012, lo scontro tra l’esercito del regime e il ramo militarizzato della sollevazione, che si presenta sotto l’etichetta di Esercito siriano libero (Esl), attira giustamente l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa. Dopo l’attentato di mercoledì 18 luglio, perpetrato al cuore dell’apparato di sicurezza a Damasco - e che è costato la vita a quattro alti dirigenti della Sicurezza del paese tra i quali Assef Chawakat, il cognato del presidente siriano – l’opposizione armata al regime sembra ormai in grado di scuotere il regime, persino nella sua roccaforte damascena. Mentre sto scrivendo, sembra avvicinarsi la fine del regime di Bashar al-Assad, senza che sia possibile individuarne né le modalità né la scadenza.
Tuttavia, l’attenzione riservata agli aspetti militarizzati della sollevazione, spiegabile per il loro impatto sul sviluppo di questa, ne nasconde la dinamica rivoluzionaria pacifica, che resta centrale. Essa si estende all’insieme del territorio siriano, malgrado variabili regionali importanti e considerevoli eccezioni. Basta fare qualche conto: partendo dalle 51 manifestazioni del venerdì 17 giugno 2011, si arriva a calcolarne 493 il venerdì 6 gennaio 2012, 939 il venerdì 1° giugno 2012.[1] Di più, la dinamica rivoluzionaria pacifica si protrae anche nelle regioni sottoposte alla più violenta repressione dell’esercito: il venerdì 13 giugno, ad esempio, si registravano ancora 30 manifestazioni nel governatorato di Homs.

domenica 5 agosto 2012

Accade a sinistra, pensando alle elezioni



La proposta di Ferrero per una coalizione "alternativa e di sinistra"; il ruolo dei vari pezzi della sinistra radicale; la mossa-suicidio di Vendola; il Pcl che già si prepara a correre solo. Una rassegna delle principali novità della settimana
Ferrero si gioca tutto: facciamo l’asse con Di Pietro
di Marco Palombi da Il Fatto quotidiano

Questa non è una crisi di scarsità, ma di redistribuzione e dunque l’unica via d’uscita è il comunismo, vale a dire una radicale redistribuzione della ricchezza e del lavoro con in più un intervento dello Stato, gestito ovviamente in modo democratico, che avvii la riconversione ambientale dell’economia. Paolo Ferrero, segretario del Prc, non abbandona il caro vecchio Marx (“siamo sempre lì: il superamento del lavoro salariato e la preservazione della natura”), seppure tirato a lucido con aggiornamenti keynesiani e una recente sensibilità ecologista. Eppure, è la domanda, come s’arriva dentro al palazzo d’Inverno nel 2012, anno dei bocconiani? Forse è il vecchio tatticismo elettorale bolscevico, ma la risposta di Ferrero è con “una coalizione dell’alternativa e della sinistra” che vada da Antonio Di Pietro (l’alternativa) ai movimenti per i beni comuni, al sindacato all’associazionismo fino ai vendoliani pentiti (la sinistra). Il punto d’arrivo è, al solito, chiudere la diaspora post-comunista: una lista unica, una sorta di Front de Gauche italiano (quello francese viaggia al 7% circa).

Una giornata finita meglio di come è cominciata


A Taranto grande giornata di mobilitazione per salvare l'Ilva e l'ambiente. E anche la contestazione ai sindacati è in realtà espressione di una nuova volontà di liberarsi del peso dei Riva e delle complicità sindacali. L'unica speranza è l'autorganizzazione degli operai e dei cittadini
Francesco Maresca*
Un flusso di operai che giungono dalla via Appia, la strada statale che costeggia l’Ilva. Arrivano e cercano un po’ di refrigerio. Il sole, nonostante sia ancora presto, comincia a picchiare. Il concentramento è sul Ponte S. Eligio, comunemente chiamato “Ponte di pietra”, che è l’altro ponte che collega la città antica dalla zona della ferrovia e dal Rione Tamburi (quello a ridosso del siderurgico). Il numero di operai è molto alto. E’ molto complicato stimare quanti siano. C’è poi l’altro concentramento di operai e di varie organizzazioni sindacali di base, dall’Arsenale Militare, che ha l’ingresso principale sulla strada centrale di Taranto. In questo corteo sono presenti un migliaio di persone, il corteo robusto si trova dall’altra parte.

giovedì 2 agosto 2012

Orecchie a sVendola


Il leader di Sel stringe l'alleanza con Bersani e apre all'Udc. Lo aveva già fatto in una poco ricordata intervista del 2007, subito dopo la caduta del governo Prodi. La strategia "democratica" lo impone ma a sinistra è l'ennesima delusione. Comprensibile, dopo decenni di batoste
Salvatore Cannavò
«La questione del governo non riguarda solo la sinistra riformista, che rischia di farne una finalità ossessiva; riguarda anche noi, che rischiamo di amplificare le domande senza cercare le risposte. Ma il governo non deve diventare un feticcio, un idolo da adorare o da abbattere. Questo è per noi un passaggio particolarmente delicato: siamo condannati a governare, senza divenire subalterni a un governismo senza profilo. Come si fa? La ricetta non è il potere di interdizione, non sono i veti dei piccoli partiti, come si usava nella prima Repubblica e si usa nella seconda».
E poi:
«Dobbiamo essere consapevoli che nel centrodestra si è aperta una frattura. La leadership berlusconiana è in crisi; e l'Udc è stata la prima forza a denunciare questa crisi. La nostra coalizione resta alternativa al centrodestra, ma dobbiamo coglierne i punti di frattura. Dialogare. Interloquire, per costruire anticorpi civili e culturali e forme più avanzate di convivenza. C'è bisogno di offrire governabilità al Paese. E lo si può fare innalzando il livello della discussione pubblica»

"E' ora di una legge contro la tortura"


Lucia e Ilaria, Patrizia e Domenica scrivono ad Amnesty. Sono le sorelle di Uva e Cucchi, la madre di Aldrovandi e la figlia di Ferrulli. Chiedono di approvare finalmente una legge contro la tortura
Checchino Antonini
«Fino a che la legge sulla Tortura non esisterà, nel nostro Stato non si potrà certo dire che essa è stata commessa». Lucia e Ilaria, Patrizia e Domenica scrivono ad Amnesty. Sono le sorelle di Uva e Cucchi, la madre di Aldrovandi e la figlia di Ferrulli. Da tempo sono il nucleo di una sorta di famiglia allargata, accomunate dall'essersi imbattute in feroci “controlli di polizia" o in impasti di malasanità-malocarcere e malapolizia. Scaraventate sulla scena pubblica per intercettare le scarse chances di ottenere verità e giustizia, sotto pressione per anni per le lentezze della giustizia italiana e le “timidezze" dello Stato quando deve processare se stesso. Sotto choc perché i loro figli, padri, fratelli «non sono morti in guerra, non sono morti per incidenti stradali o sul lavoro, no! Sono morti in modo disumano perché sottoposti alla violenza di coloro che, soltanto essi, quella violenza potevano esercitare perché in nome dello Stato».

mercoledì 1 agosto 2012

Il vizietto di Draghi


Il presidente della Bce è accusato di far parte del G30 la potente lobby del sistema finanziario internazionale, pubblico e privato, alle cui riunioni a porte chiuse partecipa regolarmente. "Un conflitto di interessi" su cui dovrebbe esprimersi la Bce
Checchino Antonini
Il comitato di sorveglianza interna dell'Ue ha avviato un'indagine su Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (Bce) per conflitto di interessi. Lo annuncia la Reuters ma su un'altra agenzia, l'Afp, Gundi Gadesmann, la portavoce del mediatore europeo, smentisce e deplora la "drammatizzazione di questo caso" due giorni prima di un'importante riunione del Consiglio direttivo della BCE. "Nessuna indagine è stata aperta", ha assicurato.
L'accusa a Draghi giunge dall'Osservatorio dell'Europa industriale (Corporate Europe Observatory, Ceo), una campagna indipendente che monitorizza l'influenza dei poteri forti sulle decisioni di Strasburgo e Bruxelles. Draghi, secondo Ceo, non sarebbe totalmente indipendente a causa della sua appartenenza al G30, il forum internazionale che riunisce i leader di pubblico e privato del settore finanziario.