giovedì 31 marzo 2011

Il capitalismo uccide. No al nucleare!

Il capitalismo uccide. No al nucleare!

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La furia dello Tsunami ha fatto emergere in tutta la sua drammaticità una verità inconfutabile: il nucleare può distruggere l'uomo. La storia sembra ripetersi. Il Giappone che con Hiroshima e Nagasaki aveva già vissuto in prima persona la furia distruttrice del nucleare, oggi si trova di nuovo a vivere quell'incubo. Stavolta però non per le conseguenze di uno scontro bellico, ma per aver scelto la strada dello sviluppo ad ogni costo. Queste le conseguenze di un sistema economico che ha imposto di costruire su un territorio altamente sismico, ben 53 centrali nucleari.
Ovviamente non c'è solo il Giappone a ricorrere all'energia nucleare. In Francia le centrali sono 59, negli Usa 104, 31 in Russia, 23 nel Regno Unito e 17 in Germania. Senza dimenticare lo sblocco di ben 8,3 Miliardi di Dollari da parte di Obama, nel Febbraio del 2010, per costruire due nuove centrali a Burke, in Georgia. D'altronde il Presidente Usa, da tempo non fa mistero di pensare di liberarsi dalla dipendenza da petrolio puntando sull'atomo. In questo il Governo Berlusconi si dimostra molto Obamiano. Così di fronte all'evidente disastro di Fukushima, il Governo pensa soltanto a rassicurare la lobby nostrana dell'atomo: Alstom, Ansaldo, Areva, Enel, Suez, Techint, Finmeccanica, Confindustria oltre a Cisl e Uil. “Il Governo proseguirà per la sua strada” ha tuonato il Ministro Prestigiacomo. Senza accorgersi che anche in Europa iniziano a sorgere forti ripensamenti, dovuti alla pressione di una opinione pubblica sempre più preoccupata e terrorizzata. In Francia è iniziato un controllo straordinario di tutte le centrali, in Germania hanno spento sette impianti, in Russia il premier Putin deve dichiarare a denti stretti la necessità di rivedere le prospettive dell'energia nucleare.
La domanda da farsi è quindi, a chi conviene il business dell'atomo?

Per rispondersi basta sfatare alcuni luoghi comuni. In primis il nucleare non riduce la dipendenza da petrolio. La Francia, 78% di energia prodotta col nucleare, è uno dei paesi col consumo di petrolio pro-capite più alti d'Europa. Inoltre va ricordato il problema uranio. Le riserve di uranio sono in esaurimento e inoltre l'85% dei giacimenti è in mano a sette compagnie. Ci si vuole quindi metter in mano alle lobby dell'uranio che, una volta consolidato il rilancio del nucleare, decideranno a loro piacimento i prezzi?
Altra argomentazione, sostenuta dai nuclearisti, è quella secondo cui il nucleare fa diminuire le emissioni di Co2. Falso. Solo il processo di fissione del reattore non produce emissioni, invece presenti in tutte le altre fasi a partire dall'estrazione dell'uranio. Inoltre sulle scorie radioattive ancora non si è trovata un soluzione sicura per la salute e l'ambiente. La custodia e i depositi di scorie hanno costi altissimi, insostenibili per un economia in crisi come la nostra. Non a caso si aggira il problema affidandosi ai traffici illegali di rifiuti nucleari nei paesi del Terzo mondo.
Inoltre sul reale fabbisogno energetico dell'Italia non si continua a dire la verità. Da noi il problema del mal funzionamento della rete elettrica deriva dalle privatizzazioni e dagli interessi delle compagnie. In Italia abbiamo installati 98.625 MW a fronte di un picco di domanda di 55.292. Sarebbe utile sapere dove finisce il resto dell'energia prodotta. Infine è assolutamente falsa la divisione tra nucleare civile e militare. Tutti i paesi che hanno costruito la bomba atomica, hanno iniziato costruendo reattori. L'espansione della tecnologia nucleare si è sempre abbinata alla proliferazione militare.
Così come è falso che il nucleare comporterebbe un abbassamento dei costi dell'energia: dal 2004 in Italia l'energia elettrica è venduta quotidianamente con un sistema borsistico che attraverso il meccanismo del prezzo marginale premia i profitti. In parole povere ogni produttore di energia elettrica stabilisce un prezzo di vendita e in base al fabbisogno energetico si paga a tutti il prezzo dell'offerta più costosa tra quelle accettate. Basta che anche uno solo tra i produttori, anche se irrilevante per Kwh prodotti, stabilisca un prezzo altissimo e quello diviene il prezzo di riferimento.
Se anche una parte dell'energia venisse prodotta a costi più contenuti, il prezzo resterebbe quello della produzione più costosa tra quelle utilizzate, aumentando semplicemente i profitti delle aziende nucleari!
L'alto costo dell'energia in Italia (+39% rispetto al resto della UE) è dunque colpa dei profitti che vengono realizzati sulla nostra pelle, regali ingiustificati all'industria dell'energia!
Tutto questo finora in Italia ha trovato una forte resistenza. Il movimento anti-nuclearista negli anni ottanta ha saputo parlare alla maggioranza del paese, riuscendo a vincere il referendum nel 1987. Oggi si vuole rimettere in discussione quella vittoria.
Noi invece vogliamo rimettere in discussione questo sistema! A partire dalla vittoria dei referendum su acqua e nucleare!

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

mercoledì 30 marzo 2011

2 aprile contro la guerra, al fianco delle rivolte

Un nuovo appello che nasce dall'incontro tra le varie associazioni e Emergency per manifestare sabato 2 aprile in tutte le città. A Roma, appuntamento in piazza San Giovanni

La scorsa settimana sono stati lanciati due appelli a manifestare il 2 aprile contro la guerra. Il primo sottoscritto da diverse associazioni, organizzazioni e partiti riunitisi sotto il cartello "Coordinamento 2 aprile" e il secondo su iniziativa di Emergency e del suo fondatore Gino Strada. Sabato mattina, presso la sede nazionale della Fiom, i due ambiti si sono riuniti per far convergere tutte le iniziative e dare luogo a un appello comune che pubblichiamo qui di seguito. Si è anche convenuto che il 2 aprile saranno organizzate iniziative in tutta Italia, là dove le realtà locali lo ritengono utile e possibile e che una manifestazione stanziale sarà organizzata da Emergency a Roma in piazza San Giovanni. L'intero coordinamento 2 aprile ha convenuto di contribuire alla riuscita di questo appuntamento.

NUOVO APPELLO COORDINAMENTO 2 APRILE

Le persone, le organizzazioni e le associazioni che in questi giorni hanno sentito la necessità, attraverso appelli, prese di posizioni e promozione di iniziative, di levare la propria voce

* CONTRO LA GUERRA E LA CULTURA DELLA GUERRA

* PER SOSTENERE LE RIVOLUZIONI E LE LOTTE PER LA LIBERTÀ E LA DEMOCRAZIA DEI POPOLI MEDITERRANEI E DEI PAESI ARABI

* PER L'ACCOGLIENZA E LA PROTEZIONE DEI PROFUGHI E DEI MIGRANTI

* CONTRO LE DITTATURE, I REGIMI, LE OCCUPAZIONI MILITARI, LE REPRESSIONI IN CORSO,

* PER IL DISARMO, UN'ECONOMIA ED UNA SOCIETÀ GIUSTA E SOSTENIBILE

CHIEDONO

LO STOP AI BOMBARDAMENTI E IL CESSATE IL FUOCO IN LIBIA
per fermare la guerra, la repressione ed aprire la strada a una soluzione politica coerentemente democratica.

IL 2 APRILE 2011 SARÀ UNA GRANDE GIORNATA DI MOBILITAZIONE E PARTECIPAZIONE ATTIVA A ROMA E IN TANTE PIAZZE D'ITALIA.
A partire da quella data ci impegniamo a dar vita ad un percorso diffuso sul territorio di mobilitazioni, iniziative, informazione, assemblee, incontri e solidarietà con i movimenti dei paesi arabi.

per adesioni: coordinamento2aprile@gmail.com

Prime adesioni:

Arci, Action, Associazione Ya Basta Italia, Associazione per il rinnovamento della sinistra, Associazione per la pace, A Sud, Attac Italia, AteneinRivolta, Comitato Fiorentino Fermiamo la guerra, Cobas, Democrazia Chilometro Zero, Emergency, ESC, FIOM–CGIL, Gruppo Abele, Horus Project, Lega diritti dei Popoli, Legambiente, Libera, Lunaria, Mediterranea, Rete@Sinistra, Rete della Conoscenza, Rete Romana Solidarietà al Popolo Palestinese, Rete Studenti Medi, Sinistra Euromediterranea, Stryke-Yomigro, UDU, Un ponte per

FedS, FGCI, GC, PCdL, PdCI, Prc, Sinistra Critica, SeL.

Con i migranti e contro la guerra

Mentre si fa la guerra per "proteggere" le popolazioni nordafricane qui in Italia le si respinge o rinchiude in campi di detenzione. I paradossi di un'Europa e della cultura democratica

di Sinistra Critica Bari

In questi giorni stiamo vivendo in pieno il paradosso dell’Italia, dell’Europa, della cultura "democratica" individualistica ed economicista a là Locke, a là Hobbes: pronti a bombardare per proteggere i popoli arabi dalla dittature, che loro stessi hanno prima favorito e contribuito a consolidare e che ora disconoscono, per schierarsi a favore di chi si rivolta contro i regimi e per la democrazia.

Ma le persone che si rivoltano e rivendicano libertà e democrazia, una volta arrivati da questa parte del Mediterraneo sono considerati clandestini, illegali, destinati ad essere rinchiusi in tendopoli precarie, pronti ad essere identificati per decidere nel frattempo che fare di loro: espellerli per rispedirli da dove sono arrivati oppure riconoscergli lo status temporaneo di profugo, magari per qualche mese o anno… renderli funzionali alle esigenze dell'economia di mercato dell’occidente “democratico”.

Sarà il destino o semplicemente la ricerca infinita del capitale a perseguire profitto ovunque, ma la tendopoli di Manduria, in provincia di Taranto, è stata allestita proprio a qualche centinaia di metri da uno dei tanti cantieri sparsi nel Salento delle Tecnova; azienda spagnola del fotovoltaico con sede a Brindisi destinataria dei fondi per lo sviluppo della “green economy” in Puglia; dove solo qualche giorno fa alcune centinaia di lavoratori, tutti migranti hanno deciso di ribellarsi all’installazione di pannelli solari, senza tutele né salario, e di denunciare le loro condizioni di lavoro: 12 ore al giorno, anche di notte, per guadagnare 400-500 euro al mese, quando va bene. Molti di loro da novembre non ricevono lo stipendio, hanno dovuto pagare 300 euro per essere assunti per un mese e, solo se non protestano, hanno il “diritto” ad un contratto a tempo: di tre mesi in tre mesi.

In pochi chilometri quadrati si mescolano le contraddizioni politiche di un’Europa, le cui istituzioni ormai sono ridotte alle dipendenze e complici di un sistema economico, che non riesce più a nascondere le proprie ambiguità se non facendo ricorso alla guerra, all’incitazione degli istinti xenofobi e razzisti, per poi servirsi degli stessi migranti quando gli fa comodo sia per giustificare una guerra di riposizionamento geo-politico, affermando strumentalmente che vuole “proteggerli”, sia per sfruttarli sulla “propria” terra, favorendo la rincorsa al ribasso dei diritti e delle tutele sul lavoro.

Proprio per queste ragioni, oggi più che mai, di fronte all’incapacità dei governi di gestire queste contraddizioni c’è bisogno di combattere contemporaneamente sia l’instabilità della cittadinanza che quella del lavoro, ponendo fine allo “status” di clandestino e riconoscendo a tutti la libertà di circolazione, affinché scompaia una volta per tutte il permesso di soggiorno a tempo vincolato al contratto di lavoro. Solo così alla reale cittadinanza si unisce la rottura col meccanismo che consente lo sfruttamento di manodopera a basso costo, da utilizzare come merce, ad uso e consumo di chi estorce lavoro altrui per arricchirsi sempre più.

A poco servono gli “appelli all’Europa” a “non lasciare sola l’Italia di fronte all’emergenza” da parte del governo italiano. L’idea di “Europa fortezza” che deve respingere i migranti nei loro paesi di provenienza, ed accogliere eventualmente solo i profughi, va demolita. Gli accordi di Shengen e di Dublino vanno aboliti immediatamente.

Una mobilitazione contro la guerra e per cacciare i dittatori necessita, da un lato, di un'organizzazione efficace al sostegno concreto ed effettivo per il proseguo delle lotte rivoluzionarie e democratiche arabe. Questo significa fare i conti con un'idea di “pacifismo astratto” che in questi anni ha confuso la sinistra e che, nei fatti, non corrisponde adeguatamente al necessario sostegno di cui le rivolte arabe hanno bisogno.

Nel contempo, schierarsi accanto alle popolazioni del nord Africa necessita anche di una battaglia contro la precarietà della cittadinanza dei migranti imposta dall’Europa, per il riconoscimento del permesso di soggiorno per tutti, non temporaneo e ad intermittenza.

Il tutto deve basarsi su un lavoro organizzativo, paziente e certosino in cui si costruiscano relazioni, spazi di incontro, di solidarietà con i migranti arrivati qui, affinché in Italia la loro voglia di rivolta, già espressa e sperimentata, ci contagi, ci sproni affinchè anche da questa sponda del Mediterraneo si attui conflitto sociale!

Sinistra Critica

Pezzi di pace in Parlamento

Silvana Amati, Enrico Gasbarra, Giuseppe Giulietti, Paolo Nerozzi, Sabina Rossa, Vincenzo Vita. Sono i parlamentari Pd che non hanno votato la guerra e che scrivono le loro ragioni

Vogliamo spiegare il nostro punto di vista sulla questione libica e il perché non abbiamo partecipato al voto sulle risoluzioni di sostegno all'azione militare.
Respingere ogni forma di intervento militare significa essere non solo pacifisti, bensì guardare l’evoluzione delle relazioni internazionali in un'ottica diversa.
Oggi le regole del gioco sono cambiate, come è cambiato l'ordine internazionale, per cui l'uso della forza per scacciare un dittatore non sembra la soluzione adeguata, soprattutto in un contesto quale la Libia, la cui crisi può avere esiti imprevedibili.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che Gheddafi debba andare via e lasciare il popolo libico libero di autodeterminarsi.
Certo, non era agevole prendere posizione per un governo che pochi mesi prima aveva ospitato il Raìs in una tenda nel centro di Villa Doria Pamphilj e steso tappeti rossi al dittatore. Dal baciamano a Gheddafi siamo passati ai tornado in diretta sui telegiornali.
Avevamo l’obbligo, anzi, il dovere morale di intervenire attraverso un'azione diplomatica. Si imponeva un tavolo di confronto internazionale ancor prima di dover giungere ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Oggi è più che mai necessario riannodare i fili tra le istituzioni e il movimento pacifista e per questo proponiamo un confronto con tutti coloro che sono interessati a darci una mano a far sentire la voce della pace in Parlamento. E saremo certamente presenti alla manifestazione del prossimo 2 aprile.
Silvana Amati, Enrico Gasbarra, Giuseppe Giulietti, Paolo Nerozzi, Sabina Rossa, Vincenzo Vita

lunedì 28 marzo 2011

La rivolta dell'acqua può vincere



La campagna referendaria è stata lanciata di fatto con il successo della
manifestazione di sabato 26 marzo. Le ragioni di un referendum che per
la prima volta, dopo tanti anni, mette in discussione il profitto

Salvatore Cannavò
da Il Fatto quotidiano
Il corteo del "popolo dell'acqua" ha aperto ufficialmente la campagna referendaria che
porterà al voto del 12 e il 13 giugno che, negli auspici del governo,dovrà garantire una
distanza di sicurezza dall'ottenimento dal quorum. Quel referendum è stato garantito da
oltre un milione e quattrocentomila firme che hanno passato il vaglio della Corte di
Cassazione e della Corte costituzionale (un analogo referendum presentato dall'Idv è
stato invece bocciato). E tutto questo è avvenuto senza alcun contributo decisivo di
apparati o forze organizzate, partiti o sindacati. A raccogliere le firme sono stati cittadini,
comitati locali, una partecipazione democratica che non si vedeva da tempo. Questo si
riflette anche sulle modalità della campagna, gli argomenti utilizzati, lo stile di
comunicazione, la modalità carsica del movimento. Che non ambisce a una disputa
ideologica ma vuole puntare soprattutto sui dati reali. Come spiega al Fatto quotidiano
Marco Bersani, uno dei promotori del referendum, "questa è una battaglia dei cittadini
contro i poteri forti" e muove quindi dal basso verso l'alto. A supportarla, del resto, ci sono
dati incontrovertibili.
Da quando l'acqua è stata messa a disposizione di Società per azioni, siano esse private,
pubbliche o miste privato-pubblico, il suo scopo è diventato, naturalmente, quello di
produrre degli utili e di creare dividendi per gli azionisti. "Ma gli effetti di questa logica -
spiega Bersani - sono tutti socialmente dannosi". Perché quegli utili possono essere
ricavati solo da quattro voci: "L'aumento delle tariffe, la riduzione del costo del lavoro, la
riduzione della qualità del servizio, l'aumento dei consumi di acqua.
I dati, tratti dal Convi.ri, il Comitato ministeriale di Vigilanza sulle Risorse idriche e dal
centro Civicum di Mediobanca, sono lapidari. Negli ultimi dieci anni le tariffe sono
aumentate del 68% mentre l'inflazione "solo" del 21 per cento, un rapporto quindi di uno a
tre. Per quanto riguarda invece il costo del lavoro, da quando esistono le Spa,
l'occupazione del settore si è ridotta del 15-20 per cento con un'impennata della
precarizzazione. "Si potrebbe sostenere - sottolinea Bersani - che si sia trattato di una
riduzione dei privilegi delle aziende pubbliche ma in questo caso il fenomeno si sarebbe
dovuto limitare ai primi anni di privatizzazione. Invece è continuato e non accenna a
fermarsi".
C'è un argomento fondamentale di cui i fautori delle privatizzazioni si fanno forti: lo Stato
non ha un soldo, la rete idrica italiana è allo stremo, i privati portano soldi, investimenti,
qualità, servizi migliori. Ai promotori del referendum, infatti, viene contestato in particolare il
secondo quesito, quello che abroga la norma secondo la quale le tariffe vengono
integrate per remunerare in forma adeguata il capitale investito. Insomma, profitti sicuri
garantiti dalle bollette dei cittadini. Bersani prende ancora i dati del Con.vi.ri: "Nel
decennio precedente alla legge Galli, cioè quello che va dal 1986 al 1995, gli
investimenti erano pari a 2 miliardi di euro l'anno. Nel decennio successivo, dopo
l'avvento di Spa e privati, che va dal 1996 al 2005, gli investimenti sono crollati a 700
milioni di euro. Tra l'altro il movimento referendario ha deciso anche di porsi il problema
del finanziamento degli investimenti idrici. Per ammodernare la rete servirebbero infatti 40
miliardi in venti anni, cioè 2 miliardi all'anno. E se almeno 1 miliardo potrebbero essere
recuperati dalla riduzione delle spese militari, viene anche avanzata l'ipotesi del "prestito
irredimibile", una somma versata dai cittadini allo Stato in cambio di un interesse del 6,5%
per un numero di anni da definire. Su questo punto si svolgerà un convegno ad aprile.
L'ultimo dato è quello che riguarda il consumo: l'Italia è tra i paesi che consumano piÀ
Ma allora, contestiamo noi, sono meglio i "carrozzoni pubblici", le Acea controllate da
giunte come quella di Alemanno che si è distinta per la parentopoli all'Ama o all'Atac? "In
realtà, risponde Bersani, indipendentemente dal capitale pubblico, chi controlla e gestisce
un'azienda idrica sono i privati che compongono il Cda al di là delle loro quote azionarie.
Chi ha deciso gli investimenti dell'Acea in Armenia, Albania, Perù, Santo Domingo,
Honduras? I cittadini romani non ne sanno nulla". E quindi il problema è anche quello di
migliorare la democrazia, controllare le decisioni, passare da organismi nominati a
organismi democraticamente eletti.
Nel referendum vuole esserci tutto questo. "E' una sfida decisiva perchè non solo dopo
due decenni si possono sanzionare le politiche liberiste ma soprattutto si può dare fiato a
una battaglia dei cittadini contro i poteri forti". Stavolta non c'è uno schieramento politico
ben definito. Certo, la legge da abrogare è stata approvata dal governo Berlusconi ma il
suo estensore, Andrea Ronchi, oggi è all'opposizione con Futuro e Libertà. Il Pd ha diversi
problemi visto che nelle "regioni rosse" la privatizzazione dell'acqua è stata pioneristica
ma gran parte di questo movimento è schierata con il centrosinistra. La Lega, invece, ha
più di un mal di pancia tanto che i referendari nella Lombardia del Carroccio hanno
raccolto la bellezza di 250 mila firme.
Aver fissato il voto così in là nel tempo, a metà giugno, è un chiaro tentativo di disinnesca ilr e
referendum che, ricordiamo, è valido solo se la metà più uno degli aventi diritto si reca alel
urne. Ma mai come stavolta c'è fiducia nel raggiungimento dell'obiettivo. "La nostra
campagna referendaria - conclude Bersani - si è svolta a freddo, senza alcun fatto
eccezionale che emozionasse o attirasse l'attenzione, senza l'appoggio di alcun grande
giornale e nonostante questo abbiamo raccolto 1,4 milioni di firme". Per cercare di far
crescere l'attenzione il movimento referendario sta per lanciare la campagna delle
"Bandiere dell'acqua appese ai balconi" (un lenzuolo azzurro con il simbolo dei 2Sì), un
modo per far crescere il passaparola. Si sono poi inventati una sottoscrizione originale: se
il quorum sarà raggiunto il Comitato beneficerà del rimborso elettorale e quindi i cittadini che
avranno sottoscritto si vedranno restituire i soldi.