di Giorgio Cremaschi
[articolo pubblicato su "Liberazione" ]Prepariamoci
alla collera dei poveri, ha detto monsignor Bregantini, responsabile
della Commissione episcopale per il lavoro, in solidarietà con i
lavoratori della Fincantieri.
La collera dei poveri, di coloro che,
secondo l’Istat possono diventare un quarto dell’intera popolazione
italiana. La collera degli operai e dei ceti medi che si proletarizzano
che, sempre secondo l’Istat, sono oramai la maggioranza del Paese. La
collera di chi rischia di perdere tutto per sé e per i propri figli, e
che aumenta la propria rabbia e indignazione quando sente Berlusconi e
Tremonti dire che le cose non vanno male, che i ristoranti sono pieni,
che la povertà è un’invenzione mediatica.
Questa collera sta montando
in tutto il Paese e la Chiesa, con le sue vigili antenne, l’ha ben
compreso.
Contro questa collera si sono già avute le prime reazioni
scomposte. La più ridicola, ma anche la più inquietante, è quella del
sindaco di destra Castellammare di Stabia, il quale ha invocato
l’intervento dell’esercito per fermare gli operai. In realtà questo
aspirante pronipote di Bava Beccaris ha la coscienza sporca. Eletto nel
2010 sull’onda della crisi delle amministrazioni di centrosinistra, ha
sposato integralmente le promesse del Governo e dell’azienda. Quando i
vertici di Fincantieri, il ministro Scajola prima, il suo successore
Romani poi, promettevano luminoso futuro a un cantiere che si stava
spegnendo, il sindaco di Castellammare non aveva trovato di meglio che
polemizzare con la Fiom che non credeva a quelle false promesse. Per un
po’ gli operai di Castellammare hanno più creduto all’azienda, al
Governo, al sindaco, che alla Fiom. (...)
E’ in fondo normale, se uno ti dà una speranza per quanto vaga sei
portato a crederci, soprattutto se sei in una situazione disperata, se
vivi in una città ove la perdita del lavoro è la distruzione di
qualsiasi sicurezza e dignità sociale per te e per la tua famiglia. Per
un po’ la Fiom a Castellammare è stata contestata dai lavoratori.
Poi
la drammatica verità è emersa. I programmi, i piani, gli annunci
pubblicitari - dalle carceri galleggianti alle nuove navi multiruolo a
tante altre invenzioni -; poi tutti questi programmi si sono rivelati
aria fritta. Con chi se la dovevano prendere allora i lavoratori nella
loro sacrosanta collera, se non anche con chi fino all’ultimo li aveva
imbrogliati?
La storia della Fincantieri di questi ultimi anni è
quasi un paradigma della involuzione economica e sociale del Paese.
Prima l’azienda ha cercato di privatizzarsi entrando in Borsa. La Fiom
sola si è opposta, ma alla fine il progetto è stato abbandonato perché
il crollo delle Borse ne evidenziava la follia. Eppure ancora oggi
l’azienda rimpiange i fantomatici guadagni di quella mancata operazione
finanziaria, quando tutti i cantieri che si sono avventurati in queste
scelte sono stati o comprati o smantellati.
Poi l’azienda ha
scatenato l’attacco contro l’assenteismo e la fannullagine dei
lavoratori. Nel 2009 c’è stato un accordo separato, anticipatorio di
tanti altri, che introduceva un assurdo sistema di cottimo integrale che
non ha mai funzionato. La Fiom sosteneva non essere questa la via, non
solo perché ingiusta, ma perché non si compete nel mercato delle grandi
costruzioni navali picchiando sullo sfruttamento dei lavoratori. Ci sono
poi state le promesse vuote e le chiacchiere del Governo. Oggi il piano
aziendale taglia quasi un terzo degli occupati e chiude tre cantieri
navali, mentre chiede agli altri lavoratori “salvati” di accettare il
degrado di tutte le condizioni di lavoro. L’ha già fatto con grande
successo mediatico Marchionne, si deve essere chiesto l’amministratore
delegato di Fincantieri, perché non posso farlo anch’io?
Proprio
oggi l’amministratore delegato della Fiat dichiara l’uscita definitiva
delle sue aziende dalla Confindustria, nella speranza così di non aver
più accordi da rispettare. Anzi pare che la Fiat rivendichi addirittura
una legge che le eviti la condannata in tribunale per la denuncia
presentata dalla Fiom. Dopo Bono anche Marchionne si deve essere
chiesto: se Berlusconi può farsi leggi ad personam, perché non posso
ottenerle anche io?
Il piano della Fincantieri, le newco di
Marchionne, la politica di Berlusconi, sono tutti anelli della stessa
catena. Una catena con cui gli affari, il mercato selvaggio, i profitti
aziendali e il potere arrogante dei manager, soffocano ogni bene
comune. Come ci ricorda oggi la Confindustria schierandosi per il
nucleare e la privatizzazione dell’acqua, contro i referendum.
La
collera dei poveri esplode quando alla rabbia si aggiunge la
consapevolezza che tutto questo non è solo ingiusto, ma è anche senza
futuro. Non si salverà la Fincantieri con il piano di Bono. Non produrrà
la Fiat in Italia, con la metà degli impianti e dei lavoratori, tutte
le auto che Marchionne promette. Non uscirà dalla crisi l’Italia
inseguendo le follie di Berlusconi. Di tutto questo si diffonde la
consapevolezza e così la collera sempre più spesso si unisce alla
solidarietà.
In Fincantieri questi giorni non stanno lottando solo i
lavoratori degli stabilimenti a minaccia di chiusura , ma anche tutti
coloro che secondo l’azienda dovrebbero salvarsi. La pratica della
frantumazione sociale, il ricorso alla guerra dei poveri per mantenere
inalterati i privilegi dei ricchi, l’ottusità dell’aziendalismo e del
localismo leghista, tutto questo oggi viene eroso dalla collera dei
poveri, cioè dalla ripresa di un sacrosanto conflitto sociale. E’ in
questo conflitto che dobbiamo rafforzare le nostre speranze.
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