venerdì 25 novembre 2011

L'obbedienza dei referendari


Il "popolo dell'acqua" torna il piazza il 26 novembre. Una manifestazione per esigere il rispetto del Referendum, in particolare eliminando la quota del 7 per cento dalle bollette
Checchino Antonini
Si riprenderanno sabato prossimo le strade di Roma, vietate dal 15 ottobre, come già hanno fatto gli studenti. E arriveranno alla Bocca della Verità dove avevano aspettato i risultati dei referendum per poi festeggiare i 27 milioni di sì. Sarà quella dei movimenti per l’acqua e i beni comuni la prima manifestazione nazionale nella Capitale dopo la quarantena imposta da Maroni e Alemanno. Potrebbe essere la prima manifestazione nazionale contro il nuovo governo visto che denuncia l’attacco alla democrazia contenuto nella manovra di agosto e poi dalla “legge di stabilità” che riprongono e rafforzano l’obbligo “europeo” di privatizzazione dei servizi pubblici locali in barba al risultato referendario. In realtà la Corte costituzionale è stata chiara quando, all’ammissione dei referendum, lo scorso gennaio, ha spiegato che l’abrogazione avrebbe riguardato tutti i servizi pubblici di rilevanza economica. Per questo i referendari hanno deciso di fare ricorso sull’incostituzionalità dell’articolo 4 della manovra e delle altre norme che rendono inesigibile un risultato referendario straordinario. Non solo la montagna dei voti ma anche la partecipazione attiva dei cittadini alla campagna referendaria hanno prodotto una messa in mora del ventennio liberista. Nei fatti, però, quella tensione antiliberista si è sovrapposta sia all'ondata di indignazione sia al vasto consenso costruito mediaticamente attorno al governo “techno": chi ha votato Sì è lo stessa persona sceso in piazza il 15 ottobre e, spesso, la stessa che nutre aspettative dall'esecutivo guidato da Monti.

Anche il secondo quesito, quello che ha abrogato la possibilità di inserire in bolletta un 7%come remunerazione del capitale investito, ossia il profitto, non viene rispettato da quasi nessuna delle numerose controparti del popolo dell’acqua pubblica e dei beni comuni. Alla giungla tariffaria, infatti, corrisponde una varietà di soggetti - enti locali, Ato, società miste o in house - gestori che non ne vogliono sapere di ritoccare le tariffe. Nemmeno la “progressista” Puglia.
La parola d’ordine scelta dai comitati ribalta la dialettica consuetudinaria: per la prima volta un movimento promuove una campagna di “obbedienza civile”. E’ una modalità - complicata dalla giungla di cui sopra - per «rideterminare le tariffe, decurtando autonomamente quella quota e rimettendo in gioco i 27 milioni di sì altrimenti espropriati», continua Lutrario raccomandosi di non chiamarla autoriduzione. Servirà una mappatura, certo, ma intanto i comitati hanno già inviato una diffida ai 90 Ato refrattari alla rimodulazione.

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