lunedì 14 novembre 2011

Contratti e sindacati made in Usa

Obama è corso a sostenere i rinnovi contrattuali siglati dallo Uaw contestati da una grande fetta dei lavoratori. Gli stessi che sostengono Occupy Wall Street. Segni del cambiamento
Felice Mometti
E’ intervenuto perfino Obama, con la visita a metà ottobre alla fabbrica di Lake Orion della General Motors, a sostenere i contratti firmati dalla United Automobile Workers – il più grande sindacato dei lavoratori dell’industria dell’auto – con le Big Three, le tre aziende automobilistiche più grandi degli Stati Uniti: Ford, General Motors e Chrysler. Tra settembre e ottobre scadevano i contratti delle tre case automobilistiche e dovevano essere rinnovati per il quadriennio 2011-2015. La scelta del luogo della visita di Obama non è stata per nulla casuale. Il cosiddetto modello Lake Orion sta diventando il punto di riferimento della contrattazione collettiva nelle grandi aziende del settore privato. E il Presidente non ha perso occasione per affermare che i contratti hanno rappresentato un esempio da seguire della strategia “win-win” in cui tutti, aziende e lavoratori, vincono. Ma cosa hanno vinto, con questi contratti, i lavoratori americani dell’industria dell’auto ?
Innanzitutto un’applicazione più rigida e dettagliata del sistema World Class Manufacturinguna sorta di combinazione tra la “qualità totale” giapponese e un taylorismo spinto all’eccesso alla catena di montaggio. Il blocco completo per il 40% dei lavoratori del passaggio ad una categoria superiore, la riduzione della copertura per le spese sanitarie, l’ampliamento della possibilità di avere nella singola unità produttiva – oltre che nella stessa azienda – più tipologie contrattuali a parità di mansioni svolte e anzianità maturata. Le Big Three hanno promesso che prima della scadenza del nuovo contratto assumeranno complessivamente 15 mila lavoratori, alla condizione però che siano inquadrati in uno specifico Local sindacale. In altre parole che facciano parte del sindacato ma in una categoria particolare che ha meno diritti e una paga oraria al di sotto dei 10 dollari. Per tutti gli altri lavoratori nessun aumento salariale inserito in busta paga ma un bonus iniziale, per la firma del contratto, dai 3 mila ai 5 dollari a seconda dell’azienda ed altri in funzione dell’andamento del mercato a completa discrezione dell’azienda. E’ sancito il divieto di scioperare nei quattro anni di validità del contratto e c’è una riduzione, da parte delle aziende, del finanziamento del fondo pensionistico.
In cosa abbiano vinto i lavoratori dell’auto solo Obama lo sa. Invece sanno molto bene cosa hanno vinto i grandi azionisti delle aziende interessate - alcuni dei quali hanno definito questo contratto il migliore da alcuni decenni- che dopo aver incassato i miliardi di dollari stanziati dallo Stato hanno messo a segno un altro duro colpo per far pagare la crisi ai lavoratori. I contratti prima di essere ufficialmente sottoscritti sono stati messi in votazione tra i lavoratori iscritti al sindacato che costituiscono la grande maggioranza degli addetti in quanto l’iscrizione all’UAW è praticamente un obbligo. Sono stati approvati dal 63% dei lavoratori della Ford, dal 55% della Chrysler e dal 53% della General Motors con votazioni che in alcune fabbriche sono durate ben nove giorni con seggi volanti che apparivano e sparivano, in altre con seggi aperti solo di domenica e senza che in alcuna azienda siano stati illustrati tutti i contenuti del contratto. La UAW ha rivendicato il diritto come organizzazione sindacale di informare i lavoratori su alcuni “dettagli” del contratto solo dopo il voto. Come ha riconfermato, per contratto, il diritto di gestire direttamente le nuove assunzioni. Nonostante pratiche sindacali a dir poco antidemocratiche e ricattatorie, la pressione costante delle aziende e dell’establishment politico una parte significativa di lavoratori ha votato contro. Una percentuale di voti contrari espressa in una condizione a dir poco ostile che ha allarmato sia il sindacato che le aziende. Non è detto che tutto ciò si traduca in una nuova soggettività, in lotte più radicali, le crisi tendono purtroppo ad amplificare i fenomeni di frammentazione divisione tra i lavoratori. E’ comunque un segnale che non deve essere sottovalutato. Forse gli echi delle occupazioni delle piazze stanno arrivando anche sui luoghi di lavoro. Rimane un enigma, ma poi nemmeno tanto, come l’UAW - considerato negli Usa e non solo un sindacato “conflittuale”- riesca a sbandierare il sostegno a Occupy Wall Street e al tempo stesso essere parte attiva nelle politiche di distruzione dei diritti, del welfare e nel far pesare i costi della crisi solo sulle spalle dei lavoratori.

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