giovedì 17 novembre 2011

Finanzcapitalismo tossico


Dibattito a Torino tra il sociologo Luciano Gallino, autore di Finanzcapitalismo, e Marco Bertorello, coautore di Capitalismo tossico, con proposte radicali che ancora mancano nel dibattito della sinistra italiana
Gippò Mukendi Ngandu
Mercoledì sera si è svolto a Torino la presentazione di due libri più che mai attuali sulla crisi del capitalismo. L'incontro, organizzato da Sinistra Critica e presentato da Franco Turigliatto, è diventato un utile strumento di conoscenza delle cause e dei meccanismi che hanno innescato la crisi economica per tutti coloro che sono impegnati nelle lotte sociali e di resistenza.
A confrontarsi vi erano il prof. Luciano Gallino, tra i sociologi italiani più autorevoli, autore di Finanzcapitalismo, edito da Einaudi, e Marco Bertorello, militante politico e dirigente della Filt-Cgil, coautore assieme a Danilo Corradi di Capitalismo Tossico, edito da Alegre. Da notare che nessuno dei due autori è un economista, segno delle difficoltà in Italia allo sviluppo di un pensiero critico in ambito economico dominato, salvo rare eccezioni, dai bocconiani o dagli esegeti del pensiero liberista.
Nella sua relazione Gallino ha posto l'accento soprattutto sulle cause della crisi. Il sociologo torinese ha individuato 4 cause scatenanti: l'eccessiva creazione di denaro mediante denaro; il proliferare della cosiddetta “finanza ombra”; le scelte politiche degli ultimi anni che hanno contribuito a spalancare le porte al capitalismo finanziario; la crisi va quindi cercata nella regolazione carente dei mercati finanziari e dei loro principali attori. Secondo Gallino alla base della crisi vi è lo sviluppo patologico, a partire dei primi anni 90, della finanza mondiale, che ha generato un gigantesco sistema finanziario ombra, sottratto ad ogni forma di tracciabilità e sorveglianza. Effettivamente, il valore degli attivi finanziari globali, formati da azioni, obbligazioni pubbliche e private, attivi delle banche, è aumentato di 9 volte dal 1980 al 2007, passando da 27 a 241 trilioni di dollari in moneta costante. Nello stesso periodo il Pil del mondo, sempre in termini reali, è appena raddoppiato, da 27 a 54 trilioni. Quindi, mentre nel 1980 gli attivi finanziari globali equivalevano all'incirca al Pil del mondo, nel 2007 essi lo superavano di 4,4 volte. Così come l'ammontare dei derivai è salito in dieci anni di 4,5 volte, passando da 92 a 683 trilioni di dollari, corrispondenti a 12,6 il Pil mondiale. La crescita fisiologica del finanzcaptitalismo non è stato, tuttavia, un incidente di percorso. La sua ascesa, infatti, si è accompagnata alla vittoria dell'ideologia e delle politiche neoliberali che hanno contagiato in Europa la socialdemocrazia e negli Usa i democratici “liberal”. Come ha ricordato Gallino, ad avviare i primi provvedimenti deregolativi sui movimenti di capitali in Europa sono stati i socialisti francesi Mitterand e Delors, mentre negli Stati Uniti Bill Clinton. La crisi ha quindi solide basi strutturali economiche, ma al contempo politiche.
Marco Bertorello ha posto l'accento sulle dimensioni strutturali della crisi, andando oltre le interpretazioni correnti che ne individuano le cause in semplici fattori contingenti e superficiali. Interpretazioni che hanno indotto personaggi come Trichet ad affermare nei mesi precedenti che la crisi fosse in via di soluzione. I tentativi di uscita si sono, in realtà, dimostrati inefficaci; anzi, hanno aggravato la spesa pubblica con l'obiettivo di salvare il sistema finanziario. D'altro canto, secondo Bertorello, illusoria appare la prospettiva tedesca, ossia quella di coloro che puntano a riorientare il proprio apparato produttivo verso l'esportazione. Quale domanda potrebbe, infatti, soddisfare la nuova offerta? Da questo punto di vista, non convince l'idea che l'alternativa possa essere ricercata nelle ricette keynesiane, ossia nell'idea di alimentare gli investimenti pubblici per aumentare la domanda aggregata e attivare così il moltiplicatore e l'acceleratore capaci di far crescere profitti e occupazione. Finiti i "30 anni gloriosi", l'economia reale ha iniziato ad ingolfarsi; si è assistito ad una compenetrazione tra finanzia ed impresa, per cui quest'ultima si è orientata verso il sistema finanziario per accrescere i propri profitti. Accanto a questo processo si è assistito ad un attacco senza precedenti verso le classi subalterne.
Quale alternativa allora? Secondo Gallino è impossibile che il capitalismo scompaia domani, tuttavia è necessaria una riforma strutturale del sistema finanziario e creare un dibattito pubblico perché ciò avvenga. Occorre ridurre drasticamente le dimensioni globali del sistema finanziario e ricondurlo alla sua funzione di mezzo fondamentale di sostegno dell'economia reale; andrebbe vietata o fortemente limitata la cartolarizzazione dei crediti. Certo è difficile che allo stato attuale l'Unione Europea adotti queste riforme, anche se un dibattito si sta sviluppando a tal proposito nel mondo anglosassone. Al contrario, secondo Bertorello, occorre ribaltare le logiche competitive e della crescita capitalistica, come del resto coglie il pensiero ecologista. Occorre ripartire dal protagonismo dei soggetti colpiti dalla crisi a partire dal mondo del lavoro contemporaneo a partire anche dalla costruzioni di luoghi sganciati dalla logica della competizione globale.
Ipotesi diverse, dunque, ma proposte alla luce di uno sguardo critico che purtroppo manca nel dibattito interno alla sinistra italiana.

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