martedì 22 novembre 2011

L'assoluzione di Bruno Bellomonte


Il militante sardo di A Manca è stato assolto "perché il fatto non sussiste" dopo 29 mesi di carcerazione preventiva dall'accusa di aver partecipato alla ricostruzione del brigatismo. Una vicenda surreale se di mezzo non ci fossero la politica indipendentista sarda
Fabrizio Ortu
“Assolto perché il fatto non sussiste”. Erano le 19:04 di ieri sera quando la presidente della Corte d’Assise di Roma ha pronunciato la sentenza che ha posto fine ai 29 mesi di carcerazione preventiva a cui è stato sottoposto Bruno Bellomonte: dirigente del movimento indipendentista sardo aManca pro s’Indipendentzia e sindacalista, in galera dall’10 giugno 2009 con l’accusa di avere partecipato a un tentativo di ricostruzione del brigatismo rosso in vista del G8 della Maddalena.
Due anni e mezzo terribili: Bellomonte, capostazione a Sassari, è stato licenziato da Trenitalia nel maggio 2010, ancor prima del rinvio a giudizio. E’ stato detenuto in regime di massima sicurezza, lontano da casa e dagli affetti, tra Siano-Catanzaro e Viterbo, calpestando le norme e il protocollo stato-regione per la territorialità della pena. A Bellomonte, candidato sindaco di aMpI alle elezioni comunali del 2010 a Sassari, è stato negato anche il diritto di voto. Ciò non ha impedito al dirigente indipendentista – nonostante il totale oscuramento mediatico da parte di giornali e televisioni – di ottenere i voti dell’1,2 per cento dei suoi concittadini, consapevoli della caccia alle streghe in atto.

Nelle ultime settimane l’ascolto – grazie alla registrazione audio del processo fatta da Radio Radicale – della arringhe dei pubblici ministeri è stato un argomento di difesa persino più convincente degli efficaci e documentati interventi degli avvocati di Bellomonte, Gianfranco Sollai e Simonetta Crisci. Agli elementi inconsistenti presentati dalla accusa a carico del dirigente di aMpI in apertura del processo - frequenti viaggi a Roma (!), l’intercettazione di una conversazione con Luigi Fallico al ristorante la Suburra di Roma e un numero di telefono di Fallico in un calzino – nulla di concreto si è aggiunto. Anche l’accusa ha dovuto riconoscere l’impegno di Bellomonte come militante anticolonialista e sindacalista, impegnato al 100% nel costruire il controvertice delle nazioni senza stato in Sardegna in occasione del G8 del 2009.
Il pubblico ministero ha quindi cercato di dipingere un Bellomonte “Dr. Jekyll e Mr. Hide”, scisso fra l’impegno alla luce del sole come indipendentista e comunista sardo e quello da “cattivo maestro” delle nuove Br in Italia. Il ricorso fatto dalla pubblica accusa al paragone col personaggio del romanzo scritto da Robert Louis Stevenson nel 1886 non ha solo offeso alla onestà di Bellomonte: è stato in sé l’ammissione che il Bruno Bellomonte conosciuto per decenni di militanza nel movimento operaio, fondatore e tra i principali dirigenti di aMpI non corrisponde per nulla al Bellomonte stratega delle nuove Br. Per sostenere le infamie del castello di carte dell’accusa c’è stato bisogno di inventare un altro Bruno Bellomonte, un Bellomonte diverso da quello reale, da quello che in moltissimi conoscono. Un Bellomonte inesistente . La sentenza di ieri lo ha riconosciuto: ma chi ripagherà Bruno Bellomonte di due anni e mezzo di vita rubata?
Di sicuro nessuno potrà restituire la parola a Luigi Fallico. Luigi Fallico, accusato di essere il capo delle nuove Br, è morto da incensurato in una cella del carcere di Viterbo il 23 maggio. Fallico non è stato ricoverato nonostante presentasse da almeno sei giorni – 144 ore – i sintomi dell’infarto. Un episodio che più voci hanno definito senza esitazioni “omicidio di stato”. Anche in questo caso un particolare è rivelatore: nella intercettazione ambientale della chiacchierata alla Suburra Fallico – dicembre 2008 - rivela a Bellomonte i suoi progetti per le vacanze estive 2009: passare ben tre mesi a Cuba. E’ credibile pensare che il presunto capo di una presunta organizzazione terroristica – niente di meno che le nuove Br - che punta a colpire i capi di stato delle principali potenze capitalistiche mondiali riuniti in Sardegna nel luglio 2009 con aeromodellini radiocomandati decida di programmare nello stesso mese una lunga vacanza all’estero? Si pensi solo che i modellini di aereo non sono mai stati trovati. “La Polizia – ha scritto qualche mese fa la Nuova Sardegna, uno dei principali quotidiani sardi - si è limitata ad assumere informazioni sulle potenzialità di un modellino telecomandato in un negozio specializzato, senza specificare il nome del titolare e soprattutto senza alcun conforto tecnico sulla fattibilità di un’operazione del genere”. Tradotto in italiano: non c’era alcuna prova al riguardo. Puro maccartismo in salsa italiana.
Ma la macchina della repressione non si ferma. Anzi continua a operare con tempi chirurgici. Venerdì 18 novembre - a pochi giorni dalla sentenza e a pochissime ore da un sit in di solidarietà organizzato a Cagliari dal Comitato lavoratori pro Bruno Bellomonte - arriva dritta sulle pagine dei quotidiani sardi la notizia della richiesta di rinvio a giudizio contro 18 persone per la operazione Arcadia, dopo cinque (5) anni di indagini. Fra queste persone, di nuovo Bruno Bellomonte e molti altri militanti storici di A Manca pro s’Indipendentzia e anche il leader del sindacato indipendentista Sindacadu de sa Natzione sarda. A leggere alcuni degli articoli pubblicati verrebbe quasi da ridere, se non si trattasse invece di una vicenda che coinvolge quasi venti persone e i loro familiari, amici e compagni. A leggere certi titoli ritornano purtroppo in mente le false prime pagine pubblicate nel 1978 dalla rivista satirica “Il male”, che titolava "I capi delle Brigate Rosse sono Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi". Ma quella era satira. E’ opportuno riflettere quindi sul ruolo di certi “costruttori di prove” stipendiati dallo stato italiano e ritornare per qualche secondo al 2006 quando, senza entrare nei particolari, Bellomonte passò 18 giorni nel carcere cagliaritano di Buoncammino sulla base di accuse false, fondate su intercettazioni ambientali fittizie. “Sono stato scarcerato – aveva dichiarato il comunista indipendentista all’Unione Sarda il primo agosto del 2006 - solo perché ho avuto la fortuna di poter dimostrare di non essere l’autore dell’attentato di Porto Cervo che mi veniva addebitato, visto che in quel periodo stavo mangiando cous cous in Tunisia. Loro però hanno sentito ‘Brù’ in un’intercettazione (fatta in Sardegna quando Bellomonte era in Tunisia, ndr) e subito hanno dedotto: in A Manca c’è un Bruno, quindi è Bellomonte. E badate che se non fossi andato in un paese dove è necessario vistare il passaporto ora sarei ancora a Buoncammino”.
Il disegno di soffocare la crescita del movimento anticolonialista sardo che ha in a Manca pro s’Indipendentzia una delle sue principali componenti è sempre più chiaro. “L'azione repressiva in atto in Sardegna – si legge in una lettera aperta inviata da Sinistra Critica Sarda agli indipendentisti e compagni indagati - è determinata da ragioni di carattere chiaramente politico, cioè dalla volontà di reprimere ogni forma di resistenza al regime coloniale di sfruttamento, di miseria e di occupazione militare. Sapete che consideriamo essenziale opporsi alla repressione che colpisce tutti i movimenti che cercano di cambiare lo stato attuale delle cose, lavorando per liberare la Sardegna dall'oppressione coloniale e capitalistica. Con questo spirito e queste intenzioni siamo al vostro fianco ‘IN DIFESA DELLA DEMOCRAZIA’. Desta in noi molta perplessità la chiusura delle indagini col vostro rinvio a giudizio, dopo cinque anni di silenzio e il fatto che tutto sia apparso sulla stampa qualche giorno prima della sentenza su Bruno Bellomonte. Non crediamo alle coincidenze”.

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