sabato 11 giugno 2011

Una rivoluzione non interrotta

Di ritorno dall'Egito e dal Forum di solidarietà alle rivolte arabe. A quattro mesi dall’11 febbraio, giorno delle dimissioni di Mubarak, la Rivoluzione egiziana continua il suo percorso pieno di insidie
Angelo Cardone, Gianni
De Giglio, Elisa Scardaccione
di ritorno dal Cairo
Trascorrere qualche giorno nella calda e caotica Cairo ti permette di respirare la soddisfazione e la diffusa consapevolezza di essersi liberati dal “faraone” Mubarak. I giornali egiziani in lingua inglese riportano in prima pagina la cronaca di diverse mobilitazioni e proteste dislocate in vari punti della città. “Appoint us or kill us”: è lo slogan che per due giorni consecutivi, davanti alla sede del Quartier generale dell’Esercito, migliaia di persone hanno gridato per rivendicare lavoro per i 3,1 milioni di disoccupati egiziani, 800.000 in più rispetto all’ultimo trimestre del 2010. “Egiptian dignity”: è quello di altre migliaia di giovani che hanno protestato fuori dal palazzo del Consiglio supremo delle Forze Armate, al quale Mubarak ha ceduto il potere, perché gli hanno impedito di tenere un’assemblea promossa dal “Movimento giovanile Rivoluzionario”.

Diverse sono le iniziative pubbliche che si susseguono sul come proseguire la Rivoluzione e far sì che non si interrompa. Dal Forum di solidarietà alle rivolte arabe promosso da varie organizzazioni della sinistra anticapitalista egiziana (a cui hanno partecipato delegazioni dall'Europa, America, Africa e Medio Oriente) a un partecipato meeting all’Università americana del Cairo, dove centinaia di studenti hanno riempito diverse aule e con docenti discusso come arrivare alle elezioni, previste a settembre. Tempi, comunque, ristretti per permettere l'istituzione di un'Assemblea costituente presieduta da un Consiglio presidenziale civile e che vari una Costituzione. Al centro del dibattito anche il salario minimo per il settore pubblico e privato che non può essere al di sotto di 1200 lire egiziane mensili a differenza delle 700 che propone il Governo militare transitorio; la necessità di uno Stato laico e civile che appoggi a pieno la causa e i diritti del popolo palestinese, con una piena indipendenza politica ed economica da Israele, senza che questa però sia enfatizzata dagli interessi dell’Iran; che invece nel frattempo è intenta ad organizzare incontri con intellettuali egiziani e figure religiose islamiche per riprendere le relazioni diplomatiche interrotte dal 1980.
Questo fermento di piazza e di discussione sul futuro dell'Egitto è ripreso dopo il 27 maggio, quando il Movimento giovanile Rivoluzionario (MGR) ha promosso una manifestazione in piazza Tahrir, dove in decine di migliaia si sono riversati per partecipare al secondo venerdì della collera. I manifestanti hanno rivendicato riforme democratiche reali, un processo celere per Hosni Mubarak e il suo entourage, oltre che dei responsabili della violenta repressione, che ha provocato circa ottocento vittime, e la fine dell'uso dei tribunali militari.
Di fronte a quello che è un processo rivoluzionario nel pieno del suo cammino, la Giunta militare e i Fratelli musulmani, che lo scorso aprile hanno creato il Partito della Libertà e della Giustizia, sembrano le forze politiche più organizzate in grado di affrontare le elezioni di settembre. Inoltre pare che vogliano arrivarci facendo delle minime concessioni sociali, le cui risorse provengono anche dagli Organismi finanziari internazionali, ma frenando rispetto alla costruzione di Istituzioni democratiche, ignorando così le istanze popolari per la piena partecipazione politica e la formazione di partiti.
Se da un lato il presidente Obama appoggia la primavera araba ed invita ad ascoltare le richieste di riforma democratica che provengono dai popoli e promette "mai più leader che usano la forza contro i loro popoli", lo stesso Fondo monetario internazionale, controllato dagli Stati Uniti, finanzierà il Governo transitorio egiziano per 3 miliardi di dollari dopo aver accolto a fine maggio la manovra economico-finanziaria 2011 dell’Egitto. Senza però minimamente fare accenno alle ambiguità politiche della stessa Giunta militare, intenta più a ripristinare un sistema parlamentare e presidenziale in continuità col regime di Mubarak che a definire un reale cambiamento democratico delle istituzioni del Paese. In più il primo ministro egiziano Essam Sharaf ha partecipato lo scorso maggio al G8 in Francia dove ha ricevuto aiuti finanziari in cambio di tagli futuri alla spesa sociale per sostenere il pagamento dei creditori, banche ed istituti di credito occidentali. In altre parole i tagli rischiano di concretizzarsi in privatizzazioni e liberalizzazioni, tutte politiche in controtendenza alle istanze di piazza Tahrir.
Se da un lato la pressione popolare non è disponibile a retrocedere sulla giustizia sociale, che porterà il Governo ad aumentare le risorse per i sussidi ai poveri da 90 a 115 miliardi di lire egiziane; dall’altro lato nel medio periodo, come ormai diffuso in tutto il mondo, l’aumento del debito estero rischia di riportare l’Egitto nel pieno delle politiche neo-liberiste del regime Mubarak, con l’aggravante di un processo di polarizzazione religiosa. Non è un caso che le forze islamiche stiano cercando di veicolare la rabbia popolare verso altre strade rispetto alla ricerca di una democrazia laica ed a una reale giustizia sociale.
La strategia dei cosiddetti controrivoluzionari, fondata sull'intreccio tra gli obiettivi di potere dell’Esercito, le forti contraddizioni dei Fratelli musulmani, promotori dell'islamismo radicale e di conflitti etnici, e gli interessi delle economie di mercato occidentale, dovrà comunque fare i conti con una Rivoluzione non ancora interrotta. Un processo che deriva da un’accumulazione di forze sociali, giovanili e studentesche che, seppur senza organizzazioni sindacali e partitiche ben strutturare, si sono rafforzate in anni di scioperi per i diritti sociali e civili, di mobilitazioni contro il regime e l’imperialismo, per la libertà del popolo palestinese, che sono sfociate nei diciotto giorni di piazza Tahrir; serviti sì a cacciare Mubarak, ma anche a costruire una coscienza collettiva ormai permanente ed indisponibile a farsi sottrarre il proprio destino.

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