lunedì 6 giugno 2011

PALESTINESI, PROVE DI UNITÀ ASPETTANDO SETTEMBRE.


Ad una recente conferenza le componenti politiche palestinesi si sono trovate d'accordo sull'importanza di una strategia unitaria, alternativa al processo di pace fallito. Per evitare di ricadere nella trappola di negoziati inconsistenti.

DI IKA DANO
Betlemme (Cisgiordania), 06 giugno 2011, Nena News. Falliti i negoziati diretti dopo il rifiuto di Israele di prolungare il congelamento delle colonie lo scorso settembre, il presidente Abu Mazen ha prospettato il riconoscimento dello Stato palestinese all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il prossimo settembre. Uno stato che rischierebbe di essere frammentato non solo geograficamente, ma anche politicamente. L’accordo di riconciliazione nazionale firmato da Fatah e Hamas il mese scorso al Cairo apre la strada per l’unità nazionale. Senza un reale processo di ristrutturazione politica e strategica, il suo significato potrebbe rimanere puramente simbolico.

Venerdi’ 3 giugno rappresentanti dei maggiori partiti politici e di alcuni prominenti organizzazioni della società civile si sono riuniti all’università di Betlemme, rispondendo all’iniziativa della Coalizione di Advocacy per la Palestina e le Alture del Golan occupate (OPGAI). Consensuali i toni su diversi punti, nostante l’intero spettro politico sia presente, da Fatah ad Hamas passando per il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Gli accordi di Oslo del 1993 e il conseguente processo di pace sono falliti, la politica occidentale del bastone e della carota non ha ricompensato neppure le parti che l’hanno assecondata più docilmente, un dialogo politico finalizzato ad una strategia unitaria è imperativo. Su questo sembrano tutti d’accordo.
“L’alternativa ai negoziati di pace che a nulla hanno portato è assumere una posizione unitaria capace di esercitare maggiore pressione sulla comunità internazionale per il riconoscimento dello Stato palestinese alle Nazioni Unite”, ha detto Abu Yusef, a capo del Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP). Dalla prigonia anche Marwan Barghouti – membro di Fatah condannato cinque volte all’ergastolo – fa pervenire parole di supporto per un’agenda politica unitaria in vista di settembre.
Sottrarsi al diktat degli Stati Uniti appare più verosimile in quella che tutti definiscono una nuova fase storica alla luce della primavera araba. Il Partito del Popolo (PPP) sottolinea come prima ancora delle divisioni intestine, la sconfitta sia stata isolare il conflitto israelo-palestinese dal contesto arabo. Gli fa eco Muhammad Ghazal di Hamas: “Ora che le piazze arabe sono in rivolta, il punto di forza é riportare la questione palestinese alla sua dimensione araba”.
Per molti, questo momento storico è la chance per lasciarsi alle spalle la sconfitta dell’esperienza dell’OLP. Di fronte all’ennesimo fallimento delle negoziazioni dirette e alla crescente pressione popolare, reagire significa reinventarsi una strategia politica. Il ribilanciamento dei rapporti di potere interni e la democraticizzazione dell’OLP sarebbero il primo obiettivo da raggiungere, secondo alcuni esponenti della sinistra progressista. Il governo di unità nazionale annunciato per il 14 giugno prossimo sarà un governo tecnocratico incaricato inanzitutto di indire nuove elezioni.  Elezioni a cui i palestinesi israeliani del movimento Abna el Balad – favorevoli allo stato unico e timorosi di essere ancora più isolati – rinuncerebbero volentieri in cambio di strategie di resistenza popolare congiunte. Aldilà del coordinamento di proteste in occasione della Nakba – la catastrofe che dal 1948 ha fatto sette milioni di rifugiati – o della Naksa in nome del diritto al ritorno – la mobilitazione popolare deve ritrovare vigore, affinché  l’eventuale riconoscimento dello Stato palestinese non si riduca ad essere un semplice fastidioso solletico per Israele.
L’autocritica non manca da parte di chi chiama in causa la carenza programmatica e il condizionamento politico dei partiti, dipendenti dai donatori stranieri al pari di ONGs. Con toni franchi il rappresentante del consiglio legislativo palestinese invita i partiti politici ad assumersi le proprie responsabilità. Chi, se non loro, è responsabile di aver perso la fiducia della gente e di essersi lasciato andare a compromessi inacettabli?
Un Fatah un po’ timido si unisce concorde la coro che in chiusura ribadisce come i diritti nazionali dei palestinesi non siano negoziabili: frontiere del 1967, Gerusalemme capitale condivisa e diritto al ritorno. L’unità di tutte le forze politiche e sociali deve essere il punto di partenza di una nuova era. Sottrarsi all’agenda dettata dai finanziamenti occidentali e rafforzare i legami con i movimenti arabi, questi i pilastri della nuova strategia.
Quanto questi propositi troveranno riscontro nella realtà, sarà tutto da vedere. Abbas, in visita a Parigi, ha definito positiva la proposta francese di tornare al tavolo dei negoziati sulla base del riconoscimento delle frontiere del 1967. Di fronte a questa dichiarazione, il consenso attorno alla necessità di nuove strategie politiche perde di significato. Solo due settimane dopo il discorso di Obama, esplicita conferma del supporto americano alla politica israeliana, seguito da un Netanyahu inflessibile verso tutte le richieste palestinesi, tornare al tavolo dei negoziati sembra un atto di ingenuità politica. O un perfetto esempio di “ONGizzazione” dei partiti. Nena News.

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