lunedì 6 giugno 2011

L'impresa pigliatutto!

Confindustria propone ai sindacati il "contratto di prossimità", un modo elegante per ritagliare i rapporti di lavoro su misura delle singole imprese

Marco Bertorello
La Confindustria lamenta il suo isolamento nel campo riformatore e cerca interlocutori per soddisfare le sue ambizioni di cambiamento. Ma nessuno appare come soggetto credibile: il governo e la maggioranza parlamentare sono impegnati quasi a tempo pieno a difendere le magagne del loro padrone, i partiti sono litigiosi e inconcludenti, i sindacati divisi e incapaci di disinnescare una volta per tutte il malcontento. In questo panorama solo l'impresa mostra idee chiare e una compagine adeguatamente rappresentativa in grado di perseguire i propri interessi. Ecco allora che i Think tank (letteralmente serbatoio di idee, ma la definizione gioca su un secondo significato del termine tank, carro armato), che ruotano intorno alla cultura d'impresa avanzano un modello di funzionamento per le relazioni industriali e dunque, nonostante tutta la retorica sul postindustriale e sull'immateriale, un modello concreto di società.

In questo periodo è in piedi un tavolo di confronto tra imprenditori, sindacati e governo per riformare il modello contrattuale. Gli obiettivi di questo tavolo sono stati espressi con la consueta chiarezza e a tutta pagina in un articolo del quotidiano di Confindustria («Il Sole 24 Ore» del 29 maggio 2011), nonostante un titolo un po' oscuro: Primato al contratto di prossimità. Cosa si cela dietro questa nuova formula?
La definizione di “contratto” è del tutto aleatoria, in quanto è proprio la continuità di un istituto fatto di regole largamente condivise che sarebbe messa in discussione in maniera definitiva. Come spiega Il Sole «il traguardo finale non è solo poter derogare rispetto al contratto nazionale, ma anche fare accordi aziendali non conformi alle leggi in vigore, fermi restando i diritti fondamentali». La definizione di prossimità, quindi, nasconde una formula che va ben oltre il contratto aziendale e non tanto perché comprenderebbe in sé il primo e il secondo livello della contrattazione, non tenendo conto che la gran parte dei lavori ha come unica copertura il contratto nazionale, ma in quanto andrebbe a superare il modello delle relazioni industriali fin qui conosciuto. Il cambiamento è tale che persino il vicedirettore de la Repubblica Massimo Giannini sottolinea (Affari & Finanza del 30 maggio 2011) che «già ora, per espressa statuizione delle parti, imprese e sindacati possono stabilire che un contratto aziendale sostituisca il contratto nazionale. Ma se questo principio fosse stabilito per legge, il quadro delle regole ne risulterebbe stravolto». Nonostante nell'ambito della polemica Marcegaglia-Fiat alla recente assemblea nazionale di Confindustria la presidente abbia affermato che non piegheranno «le regole della maggioranza per le esigenze di un singolo», il ricorso ad un contratto del genere sembra proprio andare incontro alle necessità espresse dalla più grande azienda italiana. In questo caso se il nuovo vincolo contrattuale ha bisogno del riconoscimento del potere legislativo, ciò implica che attualmente esiste una forza nell'esigibilità di certi diritti che un qualsiasi sindacato conseguente prova a rivendicare anche in sede giudiziaria. I ricorsi come quelli della Fiom sono dunque uno scoglio da superare. A questo punto non si comprende quali sarebbero i diritti fondamentali che dovrebbero restare fermi visto che proprio nello scontro alla Fiat erano in gioco il diritto allo sciopero e alla malattia.
C'è, dunque, un problema nel dare una valenza erga omnes agli accordi aziendali «a prescindere dalla rappresentatività» dato che si tratterebbe di una delega che il legislatore dà alle parti sociali. Il percorso appare piuttosto tortuoso, anche da un punto di vista logico, in quanto dopo che da tempo tutte le parti sociali ci spiegano come nel confronto tra loro non possa intromettersi il legislatore (ricordate l'obiezione su un minimo salariale determinato per legge?) ora risulta necessaria una legge dello Stato che sancisca il primato del contratto aziendale. Cioè un istituto libero non solo di contraddire altre leggi che garantiscono diritti generali, ma persino di sovvertire i più ovvi principi di rappresentanza, arrivando al paradosso che in una singola azienda venga firmato un contratto non condiviso dalla maggioranza delle maestranze, ma sottoscritto da rappresentanze sindacali aziendali formalmente riconosciute, cioè con una sorta di bollino blu concesso da Stato e Confindustria. Perché individuare, come fa il giurista Arturo Maresca nella sua proposta, le Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) e quelle aziendali (Rsa) come i due soggetti che indistintamente possono essere i firmatari implica un modello deregolamentato sul versante della rappresentanza, dato che dove i sindacati non trovano un terreno comune nelle Rsu queste non vengono confermate e subentrano le Rsa, che sono di fatto di nomina sindacale, senza nessun criterio rappresentativo e prive di norme sul riconoscimento sostanziale da parte dei rappresentati.
Il contratto aziendale, o di prossimità che dir si voglia, deve essere blindato dunque, non può essere alla mercé dei lavoratori, non sarebbe un'arma sufficiente contro il lavoro se non venisse spuntato il principio democratico della rappresentanza. La democrazia non ha mai superato i cancelli dell'impresa, ma con questo progetto non potrebbe essere più lontana dai luoghi della produzione.
A ciò si aggiunga come correlata l'esigenza di disinnescare il conflitto sociale che potrebbe essere la controindicazione di questo modello autoritario e rigido. Il Sole ci spiega che sarà inevitabile anche una legge sullo sciopero che definisca nuove regole su chi può indirlo e con quali condizioni di preavviso. Non è più pensabile contemplare lo sciopero individuale, spontaneo, senza «un periodo congruo per permettere alle aziende di organizzarsi».
In tempi di crisi il capitale sta raschiando il fondo del barile per reggere la competizione internazionale. Quest'ultima deve scaricarsi unicamente sul lavoro, sui suoi diritti e conseguentemente sul suo reddito. Lo strumento è la precarizzazione del lavoro nel suo complesso, senza più distinzioni tra impieghi stabili e formalmente precari, in un vortice al ribasso. Mentre nella società incomincia a tornare una certa attenzione sull'insopportabilità della precarietà e sulle condizioni che si vivono nel mondo del lavoro, un tavolo di confronto istituzionale ragiona nei termini descritti. Un sindacato adeguato ai problemi contemporanei del lavoro anziché sedersi intorno a questo tavolo dovrebbe studiare il modo di segargli le gambe.
Genova, 30 maggio 2011

Nessun commento: