lunedì 27 giugno 2011

Il vicolo cieco della Lega

Il partito di Bossi, il più vecchio dell'attuale rappresentanza parlamentare, mostra segni di debolezza evidente. Segni di una crisi strutturale da cui non sarà facile uscire a meno di un aiuto improvviso del Pd. (La Lega fa il tiro alla fune ma la corda si spezza: 30 feriti, vai al video)

Felice Mometti
“Chi fa casino, in due secondi lo caccio”, questa frase di Bossi pronunciata dopo il raduno di Pontida e le frizioni con Maroni è più il segno di una debolezza che di una forza. Forse mai come oggi la ristrettissima leadership decisionale della Lega, il cosiddetto “cerchio magico” formato da Bossi, la moglie e altri tre o quattro dirigenti leghisti, attraversa una difficoltà evidente nel controllo degli umori del partito e mostra un’assenza imbarazzante di proposta politica. E’ la crisi di un modello di partito, il più vecchio nell’attuale rappresentanza parlamentare, che sta scuotendo gli stessi fondamenti costitutivi e aggregativi che in passato erano invece stati le ragioni del successo. Una crisi diversa rispetto a quella dell’inizio degli anni duemila in cui la Lega, dopo aver perso milioni di elettori, ne usciva abbandonando la secessione, iniziando la lunga marcia attraverso le istituzioni puntando sul federalismo e il razzismo istituzionale.

Nella Lega i simboli, il linguaggio dei comportamenti, l’essere - pur in modo astratto - una “comunità organica” coesa e altra rispetto alla società contano molto, hanno sempre contato molto. Vedere nell’ultimo raduno di Pontida un immenso striscione che invoca Maroni come Presidente del Consiglio il quale, acclamato dalla folla, interviene dal palco rompendo il rigido protocollo leghista, e un Bossi in evidente imbarazzo davanti ai cori che chiedono la secessione, sono segnali che denotano un’ inquietudine profonda dei militanti leghisti. E non bastano le frasi ad effetto: il “preparatevi” di Bossi dopo i cori secessionisti e il “Padania libera e indipendente” di un Ministro dell’Interno che dovrebbe rappresentare uno Stato sovrano. Sono palliativi, mestiere da comiziante. Al massimo scaldano un po’ il cuore di una base disorientata.
Dentro la Lega si sta sempre più allargando la linea di frattura tra coloro che con più determinazione perseguono l’inserimento istituzionale, la collocazione negli ambiti economico-finanziari che contano e la maggioranza dei militanti, sempre più ristretta, che ha una concezione del partito legata ai temi del contrasto razzista all’immigrazione e della lotta contro “Roma ladrona”. Una tensione che si è evidenziata subito dopo Pontida con il commissariamento di alcune segreterie provinciali e regionali e nella vicenda della riconferma di Reguzzoni come Presidente del gruppo alla Camera.
La realtà è che il gruppo dirigente della Lega è finito in un vicolo cieco. Bossi non vuole e non può rompere con il governo Berlusconi perché non ha ottenuto nulla o quasi che possa spendere da un punto di vista politico. Il federalismo fiscale formalmente è stato ottenuto, ma i primi effetti non sono quelli propagandati dalla Lega. Anzi, i primi calcoli mostrano che in molti comuni del nord, e tra questi molti amministrati dalla Lega, si ha una riduzione dei trasferimenti finanziari e più rigide regole in materia di bilancio che obbligheranno quegli amministratori a imporre nuove tasse. Al tempo stesso la crisi economica e del governo Berlusconi riducono sempre di più i margini per le cosiddette riforme epocali continuamente annunciate da Bossi. A ciò si aggiunga il profondo disagio della base leghista a sostenere un Premier sempre più impegnato nella guerra contro la Magistratura e in patetiche notti brave che ad affrontare i problemi di una crisi economica e istituzionale, e il quadro è completo. Se questa è la situazione, quali vie di uscita si prospettano alla Lega ?
Nelle crisi precedenti la Lega ha già sperimentato due possibili opzioni che non può più ripetere oggi. L’abbandono della secessione per il federalismo e la codificazione di una pratica e di un immaginario razzista trasferendoli all’interno delle istituzioni. Sembra evidente che il percorso inverso, dal federalismo ritornare alla secessione e dal più raffinato razzismo istituzionale a quello ruspante dei gazebo non sia più praticabile, anche perché negli ultimi anni un’intera filiera leghista nelle amministrazioni locali si è andata formando sulla base della marcia nelle istituzioni e dell’occupazione dei consigli di amministrazione delle multiutility e di alcune banche del nord. I rapporti e le relazioni dentro le istituzioni politiche e finanziarie si stanno mostrando più solidi e performativi della pratica politica, della simbologia e dell’immaginario leghista. Il motivo è semplice: nemmeno la Lega regge l’urto dei meccanismi impersonali di funzionamento di un modo di produzione economico-finanziario e di un sistema istituzionale, pur in crisi, ma considerati imprescindibili anche dal gruppo dirigente leghista. Non si possono escludere colpi di coda, anche da parte di limitati settori leghisti che possono radicalizzare il proprio razzismo, ma, in assenza di un intervento salvifico del dio Po, le contraddizioni della Lega sembrano destinate a cristallizzarsi. Sempre che non arrivi la scialuppa di salvataggio del centrosinistra.

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