Grande successo del corteo Fiom nel silenzio della politica di palazzo. Una manifestazione politica perché parla del lavoro, la più politica delle questioni
Salvatore Cannavò
La foto della giornata è quella scattata poco prima che parli Maurizio Landini. Tutti i delegati del gruppo Fiat schierati in fila sul palco a parlare collettivamente con la voce dura e diretta di Nina, di Mirafiori, che rappresenta le ragioni dello scontro con Marchionne. Loro lì, sul palco, schierati fino a riempirlo tutto e la piazza che nell'applauso spontaneo si immedesima con questa lotta. Che è lotta di tutti perché sindacale, cioè rappresentativa delle vite di questi operai e operaie, ed è lotta politica perché, come ripetono i tanti lavoratori con cui ci fermiamo a parlare, è Marchionne che ha deciso di far politica.
Il fermo immagine sul 9 marzo offre una doppia fotografia: una forza importante della Fiom che riesce a mobilitare e scioperare e che regge ancora la durezza dello scontro sociale, quasi in un disgelo tanto atteso; un silenzio assoluto della politica ufficiale che non vuole più occuparsi di questa dimensione. Da questa contrapposizione viene fuori la politicità della Fiom e il suo essere direttamente politica. Il lavoro e il suo bisogno di democrazia ma anche la richiesta di una condizione migliore – importante l'applauso che sottolinea il passaggio di Landini contro la corruzione e l'illegalità o contro i redditi dei ministri del governo Monti – si rappresentano direttamente. E lo fanno a partire da sé, dalla propria condizione operaia non in cerca di una perduta centralità da riproporre ma come “esperienza esemplare” da replicare. Non è un caso se anche altre lotte trovino nella Fiom la sponda che cercano più in generale. Perché una vittoria della Fiom oggi è una vittoria per tutto il mondo del lavoro. La riconquista del contratto nazionale o anche solo riuscire a rientrare in Fiat rappresenterebbe un elemento in controtendenza.
Per questo la piazza del 9 marzo è inaggirabile per costruire politica a sinistra. Non per improbabili e fallimentari operazioni politiciste attorno e sulla Fiom ma per la domanda che ne viene fuori. Una domanda di nuova politica, potremmo dire, in cui non c'è spazio per proiezioni istituzionali o partitiche ma per l'espressione di una soggettività in cui funzioni un binomio ormai perduto, la radicalità e l'unità. In cui, cioè, accanto alla nettezza delle posizioni – che spesso rimandano solo alla determinazione a resistere, magari senza proposte particolarmente radicali – possa vivere una progressiva unità di forze sociali diverse. Qui c'è forse un possibile bandolo della matassa. Certo, il rapporto con la Cgil alla lunga è contraddittorio – non a caso i fischi – la tentazione di sostenere un pezzo di politica c'è sempre, la drammaticità di trovare una via di fuga all'impasse sindacale esiste ancora. Ma la strada di un'unità di forze sociali è tracciata perché è quello che quella piazza ha evidenziato. Per ora di altre forze non se ne vedono. Quelle che hanno avuto vitalità sono ripiegate – studenti, movimenti per l'acqua – altre emergono – Notav e non a caso lo scontro su questa manifestazione ha visto chiamata in causa la Val di Susa. Il passaggio interessante quindi, è quello di una unità di forze sociali, di movimenti, senza rappresentazione di aree politiche e con in testa una piattaforma di riscatto del mondo dei lavoro, dei lavori. Basterebbe questo a rimettere in moto una nuova politica.
Nessun commento:
Posta un commento