venerdì 2 marzo 2012

Un "benecomunista" per l'Aquila


Parla Ettore Di Cesare il candidato sindacato di Appello per l'Aquila, la lista di movimento che vuole ridare significato alla politica fuori dal centrosinistra e contro il centrodestraInvia a un amicoChecchino Antonini
Respinge ai mittenti ogni insinuazione di collisione con l’antipolitica e ribalta le accuse: «Seguiamo con molto interesse l’esperienza napoletana di De Magistris. Uno dei nostri ospiti più recenti è stato l’assessore ai Beni comuni di quella città, Alberto Lucarelli», racconta al megafonoquotidiano Ettore Di Cesare, 46 anni, candidato a sindaco per conto dell’Appello per L’Aquila. L’Appello è un«processo di gruppi di lavoro che coinvolge quanti più saperi possibili per la rifondazione del territorio», così lo definisce Di Cesare, matematico, esperto di progetti informatici, da sempre mosso da una «curiosità per le nuove possibilità di comunicazione» e tra i fondatori di Openpolis, associazione che si occupa di trasparenza e partecipazione nella vita pubblica: «Pratichiamo su internet strumenti per monitorare i lavori parlamentari, ad esempio, e la nostra è stata riconosciuta tra le “best practices” dal Wahington Post».
In sintesi la sua è la storia di una persona che ha lavorato per grandi gruppi editoriali ma sempre con la passione per la politica. Fin qui nessuna traccia di antipolitica. E nemmeno nel suo passato:«Vengo dalla Pantera del ’90, sono passato per Genova e per Firenze. Sempre stato senza tessere e nei movimenti». Il 6 aprile lo svegliò il terremoto mentre dormiva a Roma: «Senza sapere che era L’Aquila sono partito subito: erano mesi che c’erano scosse - ricorda - da allora in prima persona ho partecipato a decine di assemblee nelle tendopoli e negli alberghi sulla costa impegnato nel duro contrasto alla militarizzazione e nella riconnessione dei vari gruppi. Credo che il mio saper parlare con più ambienti sia una delle ragioni per cui sono stato scelto». La convergenza sul suo nome è giunta con ampio consenso in calce a dieci mesi di lavoro nell’ambito di riunioni generali.
Anche l’approccio alla campagna elettorale - si voterà il 6 maggio - è piuttosto inconsueto: manifesti senza il faccione, a differenza delle pratiche in auge, trasparenza nella raccolta fondi così da misurare la distanza dai poteri forti. «Mi considero in qualche modo un portavoce, non ho un sito web ma si utilizza quello dell’appello, il sindaco dev’essere l’enzima per rendere responsabili e partecipi i cittadini, sono loro il fattore fondativo per la ricostruzione». L’Appello, nato un anno fa, è stato firmato da singoli, una presa di responsabilità precisa che però non nasconde alcune appartenenze: all’Arci, ad esempio, al 3.32, l’esperienza di movimento nata al’indomani del terremoto nei locali dell’ex manicomio come anche l’Epicentro solidale, all’Associazione Policentrica che progetta la ricostruzione «materiale e immateriale».
Allora quest’antipolitica? «La nostra è una grande operazione di partecipazione, non è un’improvvisazione. Semmai l’antipolitica è favorita dalla poca chiarezza delle forze politiche come quelle che hanno assessori in Giunta e poi la criticano, che prendono decisioni in quattro dentro stanze chiuse e rifaranno alleanze con Cialente. Ecco le armi dell’antipolitica, l’antidoto all’autoconservazione del ceto politico è la partecipazione».
Dopo il sisma del 6 aprile 2009 e non solo per ragioni logistiche, la diaspora post-terremoto - L’Aquila registrò alle europee e alle provinciali un astensionismo record. I referendum del giugno scorso hanno registrato una risposta nella media nazionale, è stato superato il quorum e invertita una tendenza. «Merito dell’attenzione ai beni comuni».
L’Aquila è ormai una città frammentata, dispersa, con le relazioni di vicinato, di quartiere sconvolte da quella catastrofe. «La prima difficoltà per i laboratori dell’Appello è stata quella di trovare uno spazio di aggregazione, manca un luogo di discussione pubblica - racconta ancora il candidato “benicomunista” - fondamentale è stato il ruolo del web anche per la riconnessione delle persone, poi il tendone in Piazza Duomo dell’assemblea cittadina, ora però molto meno centrale di altre fasi della vita collettiva».
La genesi dell’appello va ricercata tra gli attivisti dei movimenti di questi anni e tutte quelle associazioni che hanno elaborato proposte per la città contro la militarizzazione e l’ospedalizzazione degli sfollati, «è la cittadinanza attiva contro la speculazione del sistema Bertolaso, del governo Berlusconi ma pure della gestione Cialente». Agli attivisti della prima ora si stanno aggiungendo altri strati sociali e imprenditoriali «convinti che serva una discontinuità. Il terremoto è un terribile fattore di discontinuità che ci obbliga a intraprendere un percorso di trasformazione. All’ultima delle nostre cene c’erano medici e operai del polo elettronico, precari e studenti». Discontinuità, sicuramente, è la parola chiave per compredere questa corsa a Palazzo Margherita con la sinistra divisa: «Abbiamo contestato per tre anni sia Chiodi, il presidente Pdl della Regione, sia il sincaco Cialente che ha responsabilità non marginali. Per questo non saremo in coalizione con forze che hanno contribuito a questo disastro». Così, domenica 4 marzo il centrosinistra farà le su primarie tra il favorito Cialente, uscente del Pd, e un altro medico, Festuccia per Sel. Il centrodestra è squassato dalle sue prossime primarie, a seminare discordia un uomo di Chiodi, De Matteis dell’Mpa, medico anche lui. E l’Idv, in Giunta fino a poche ore fa correrà da sola.

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