domenica 4 marzo 2012

Come si fa ad allearsi con Bersani?


Il Pd è tra i più accaniti sostenitori dell'Alta velocità in Val di Susa. Bersani lo ripete senza ambiguità. Cosa serve ancora a un settore importante della sinistra per prenderne atto e costruire davvero un'alternativa?
E ora come la mettiamo con il Pd? Quelli che sostengono da anni che con questo partito non ci sono più rapporti possibili - almeno per chi pensa a una trasformazione della società, a una critica al moderno capitalismo, sia pure per un riformismo forte, per chi ha a cuore l'ambiente e l'ecologia oltre che i diritti sociali e civili - vengono sempre tacciati di scarso senso della realtà. "Non ci sono alternative", non c'è altro da fare, comunque attorno a quel partito ci sono delle energie ancora importanti da sollecitare e organizzare. E' la strategia politica che sostiene il progetto di Nichi Vendola e di chi guarda a lui con interesse e che motiva atteggiamenti e scelte anche di altri soggetti diversi. Si pensi a come un'area importante e socialmente vitale dei centri sociali si leghi le mani in ipotesi elettorali vincolate al Pd (come con Zingaretti a Roma); oppure al dibattito, certamente molto più complesso, della Fiom che non può tradursi mai in una rottura con la Cgil. E altri esempi si potrebbero fare.

Eppure, a ogni passaggio che conta, di fronte ai fatti epocali della politica, il Pd si dimostra per quello che è: un partito espressione di un grumo di interessi forti dell'economia e della società italiana, attento ai movimenti della borghesia che conta, delle cancellerie più importanti, degli strati sociali dominanti. E' stato così quando ha governato - tassa per l'Europa, guerra in Afghanistan, cuneo fiscale per le imprese, riforma delle pensioni, precarietà, controllo dei salari - ed è così nel sostegno al governo Monti. Il Tav in Val di Susa è l'ultimo esempio di una lunga catena di casi esemplari. E c'è poco da commentare, basta leggere l'articolo di Repubblica pubblicato di seguito in cui si dà conto del dibattito interno al partito di Bersani e all'ostilità manifesta con quanto si sta muovendo in quella Valle.
Però è utile leggere anche l'appello, che pubblichiamo più sotto, con cui un settore importante di sinistra - da don Ciotti ad Airaudo, da De Magistris a Emiliano, dall'Arci al manifesto - rivendica le ragioni dei Notav, chiede, giustamente, una moratoria ma lo fa con un approccio che sembra lasciare aperta la possibilità di un'ulteriore mediazione ("chiediamo molto di meno di quanto fatto con le Olimpiadi a Roma" si scrive). Un approccio che, in ultima istanza, sembra giustificarsi per la volontà di non rompere del tutto con il Pd lasciando aperta ancora la strada della mediazione elettorale e quindi dell'alleanza politica.
In questo schema si è perso negli ultimi venti anni un tempo più che prezioso e che sarà difficile recuperare anche se non è mai troppo tardi per cominciare. Invece di costruire con pazienza, incuranti dei dati elettorali, un'area esplicita e riconoscibile di sinistra alternativa, legata ai movimenti, in grado di costruire un altra visione della società, di affermarla con atti politici ed esperienze esemplari - che pure ci sono state -, si è perso tempo nella rincorsa di un pezzo dell'establishment. Che oggi dichiara con nettezza - vedi Bersani durante la trasmissione di Santoro - che sta dall'altra parte e che, se serve, non esiterà a sostenere la repressione dello Stato. Chi oggi si dispone a costruire alleanze di vario tipo con Bersani e i suoi, non può nascondersi questo quadro e non può non vedere che finirà, come è già successo ad altri prima, "strapazzato e abbandonato".
imq

E Bersani attacca Landini: pensi a quegli operai


Goffredo De Marchis - la Repubblica



Pd compatto sulla linea della fermezza, rottura con Vendola e Di Pietro. Scende il gelo con la Fiom ROMA - «Se Landini pensasse anche agli operai che lavorano nei cantieri della Tav, renderebbe un buon servizio al sindacato». Senza sbandamenti Pier Luigi Bersani prepara una battaglia contro la foto di Vasto e persino contro un pezzo delle sigle dei lavoratori. Un battaglia tutt´altro che solitaria perché l´intero Partito democratico è sulla linea della fermezza quando si parla della Torino-Lione: niente tavoli, niente moratoria, nessuna sospensione. Soprattutto, basta violenza. «Abbiamo già fatto tutto quello che dovevamo quattro anni fa - ricorda Enrico Letta, allora sottosegretario a Palazzo Chigi - . Mi stupisce che Vendola e Di Pietro facciano oggi la stessa richiesta di ieri. Loro c´erano e sanno. Dimostrano scarsa serietà». Ma la posizione di Idv e Sel non fa che confermare la scelta del vicesegretario: mai più alle elezioni con Nichi e Tonino. «È una questione di credibilità». Anche Bersani pensa che il comportamento di Di Pietro e Vendola sia strumentale, poco adatto a un´alleanza di governo. Non romperà sulla Tav, ma neanche dimenticherà i difficili passaggi di questi giorni. La difesa dell´opera e la condanna delle violenze non lascia crepe nel Pd. Non a caso Bersani, durante la trasmissione di Santoro, ha usato anche l´argomento del terrorismo: conosce i dossier del Viminale, sa che emergono collegamenti tra il movimento gli anarco-insurrezionalisti. Nel silenzio dei giornalisti presenti, giovedì sera in tv ha lanciato l´allarme. A Largo del Nazareno sono indignati anche per il sostegno al movimento No-Tav, o meglio alle sue frange estreme di una parte importante del sindacato. «Landini, il segretario della Fiom, sta sbagliando sull´Alta velocità», avverte Matteo Orfini, membro della segreteria. Orfini, Fassina e Damiano sono attesi sabato alla manifestazione dei metalmeccanici contro Marchionne e la riforma del mercato del lavoro. «Ma se i No-Tav entrano nel corteo, se un solo esponente del movimento viene invitato sul palco, me resto a casa», annuncia Orfini. Tra i democratici non si vedono strappi e non si temono contraccolpi sulla base, cioè sul consenso. «I militanti soffrono le indecisioni - spiega il veltroniano Giorgio Tonini - ma quando la tenuta non è in discussione capiscono. E hanno assimilato una cultura di governo». Letta è ancora più malizioso: «Il video del manifestante che insulta il carabiniere ha fatto un danno enorme alla protesta. Santoro dovrà faticare parecchio per ridare un´immagine positiva ai contestatori». La frattura semmai è nel centrosinistra vecchio stile. Un appello per la moratoria, per la sospensione dei lavori promosso da Don Ciotti viene firmato da Vendola, De Magistris, dal sindaco di Bari (Pd) Michele Emiliano, dall´Arci. «La Val Susa non può essere trattata come una scuola materna, con il paternalismo autoritario», spiega il governatore pugliese. E anche Di Pietro chiede di riaprire un tavolo tecnico fermando i lavori.

Appello. La responsabilità della politica


*** - il manifesto
Dopo mesi in cui la politica ha omesso il confronto e il dialogo necessari con la popolazione della valle, la situazione di tensione in Val Susa ha raggiunto il livello di guardia, con una contrapposizione che sta provocando danni incalcolabili nel fisico delle persone, nella coesione sociale, nella fiducia verso le istituzioni, nella vita e nella economia dell'intera valle. Ad esserne coinvolti sono, in diversa misura, tutti coloro che stanno sul territorio: manifestanti e attivisti, forze dell'ordine, popolazione. I problemi posti dal progetto di costruzione della linea ferroviaria ad alta capacità Torino-Lione non si risolvono con lanci di pietre e con comportamenti violenti. Da queste forme di violenza occorre prendere le distanze senza ambiguità. Ma non ci si può fermare qui. Non basta deprecare la violenza se non si fa nulla per evitarla o, addirittura, si eccitano gli animi con comportamenti irresponsabili (come gli insulti rivolti a chi compie gesti dimostrativi non violenti) o riducendo la protesta della valle - di tante donne e tanti uomini, giovani e vecchi del tutto estranei ad ogni forma di violenza - a questione di ordine pubblico da delegare alle forze dell'ordine. La contrapposizione e il conflitto possono essere superati solo da una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa. La costruzione della linea ferroviaria (e delle opere ad essa funzionali) è una questione non solo locale e riguarda il nostro modello di sviluppo e la partecipazione democratica ai processi decisionali. Per questo è necessario riaprire quel dialogo che gli amministratori locali continuano vanamente a chiedere. Oggi è ancora possibile. Domani forse no. Per questo rivolgiamo un invito pressante alla politica e alle autorità di governo ad avere responsabilità e coraggio. Si cominci col ricevere gli amministratori locali e con l'ascoltare le loro ragioni senza riserve mentali. Il dialogo non può essere semplice apparenza e non può trincerarsi dietro decisioni indiscutibili ché, altrimenti, non è dialogo. La decisione di costruire la linea ad alta capacità è stata presa oltre vent'anni fa. In questo periodo tutto è cambiato: sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo. I lavori per il tunnel preparatorio non sono ancora iniziati, come dice la stessa società costruttrice. E non è vero che a livello sovranazionale è già tutto deciso e che l'opera è ormai inevitabile. L'Unione europea ha riaperto la questione dei fondi, dei progetti e delle priorità rispetto alle Reti transeuropee ed è impegnata in un processo legislativo che finirà solo fra un anno e mezzo. Lo stesso Accordo intergovernativo fra la Francia e l'Italia sarà ratificato solo quando sarà conosciuto l'intervento finanziario della UE, quindi fra parecchi mesi. E anche i lavori sulla tratta francese non sono iniziati né prossimi. Dunque aprire un tavolo di confronto reale su opportunità, praticabilità e costi dell'opera e sulle eventuali alternative non provocherebbe alcun ritardo né alcuna marcia indietro pregiudiziale. Sarebbe, al contrario, un atto di responsabilità e di intelligenza politica. Un tavolo pubblico, con la partecipazione di esperti nazionali e internazionali, da convocare nello spazio di un mese, è nell'interesse di tutti. Perché tutti abbiamo bisogno di capire per decidere di conseguenza, confermando o modificando la scelta effettuata in condizioni del tutto diverse da quelle attuali. Un Governo di «tecnici» non può avere paura dello studio, dell'approfondimento, della scienza. Numerose scelte precedenti sono state accantonate (da quelle relative al ponte sullo stretto a quelle concernenti la candidatura italiana per le Olimpiadi). Noi oggi chiediamo molto meno. Chiediamo di approfondire i problemi ascoltando i molti «tecnici» che da tempo stanno studiando il problema, di non deludere tanta parte del Paese, di dimostrare con i fatti che l'interesse pubblico viene prima di quello dei poteri forti. Lo chiediamo con forza e con urgenza, prima che la situazione precipiti ulteriormente. primi firmatari:
1) don Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele e Libera)
2) Livio Pepino (giurista, già componente Consiglio superiore magistratura)
3) Michele Curto (capogruppo Sinistra, ecologia e libertà, Comune Torino)
4) Ugo Mattei (professore diritto civile, Università Torino)
5) Marco Revelli (professore Scienza Amministrazione, Università del Piemonte orientale)
6) Giorgio Airaudo (responsabile nazionale auto Fiom)
7) Nichi Vendola (presidente Regione Puglia)
8) Monica Frassoni (presidente Verdi europei)
9) Michele Emiliano (sindaco di Bari)
10) Luigi De Magistris (sindaco di Napoli)
11) Tommaso Sodano (vicesindaco di Napoli)
12) Paolo Beni (presidente nazionale Arci)
13) Vittorio Cogliati Dezza (presidente nazionale Legambiente)
14) Filippo Miraglia (Arci)
15) Gabriella Stramaccioni (direttrice Libera)
16) don Armando Zappolin (presidente nazionale Cnca)
17) don Tonio dell'Olio (Libera international)
18) Giovanni Palombarini (giurista, già Procuratore aggiunto Cassazione)
19) don Marcello Cozzi (Libera)
20) Sandro Mezzadra (professore Storia dell dottrine politiche, Università Bologna)
21) Angelo Bonelli (presidente dei Verdi)
22) Norma Rangeri e il collettivo del manifesto

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