sabato 13 agosto 2011

Politica e rivolta



Il movimento che ha incendiato Londra troppo sbrigativamente è stato derubricato a criminalità giovanile. Ma esistono punti in comune con Atene, Parigi, Madrid. E la crisi continua a fare da sottofondo
Antonio Ardolino
A Londra sembra tornata la calma. La notte scorsa i 16.000 agenti radunati nella sola capitale hanno gestito quello che è stato un vero e proprio coprifuoco non proclamato. Gli scontri, però, si sono diffusi ad alcune città del nord, fiamme e barricate a Manchester, Liverpool, Birmingham, West Bromwich. E’ evidente ormai che i fatti stanno andando ben oltre la causa scatenante, cioè l’uccisione da parte di un poliziotto di Mark Duggan, di 29 anni, nella giornata di giovedì. La sua famiglia e gli amici avevano organizzato una veglia nella serata di sabato per chiedere risposte e chiarezza. Nessuno credeva alle prime versioni della polizia, che parlava di armi in pugno e uno sparo da parte di Duggan (versione poi smentita dalla stessa polizia nelle giornate successive). Alla veglia si erano radunate 150 persone all’esterno della stazione di polizia di Tottenham, quartiere a nord della città di Londra. Per la gran parte tutto è stato pacifico fino a che qualcosa ha fatto da scintilla.
La versione più diffusa sul web e quella di una reazione spropositata di un gruppo di agenti contro una ragazzina di 16 anni. Sia stata questa o no la scintilla, il fatto è che l’Inghilterra si trova di fronte alla più grande rivolta sociale dai tempi degli scontri di Brixton, nel 1981. Anche all’epoca centinaia di feriti, soprattutto tra le forze dell’ordine, centinaia di veicoli ed edifici danneggiati, centinaia di arresti. Anche allora gli scontri si diffusero velocemente, ovviamente quanto i mezzi di comunicazione lo permisero. Oggi gli appuntamenti per l’attacco, per spostarsi o per chiamare i rinforzi si fanno in tempo reale su Twitter e attraverso la messaggistica dei BlackBerry. E la polizia, per ora, è incapace di controllare o di reagire.

La chiamano Austerity
Ma ciò che più conta è che oggi come allora, la rivolta si innesta in un contesto di recessione economica, tagli drastici alla spesa sociale e forte repressione poliziesca, allora tutto gestito dalla Lady di Ferro, Margareth Thatcher. Stavolta, più di allora, il legame tra la crisi e la rivolta è tanto evidente da poterlo leggere persino sulle prime pagine di tutto il mondo: “In USA 7 milioni di posti in meno dall’inizio della crisi”, “Richiamati i parlamentari italiani dalle ferie”, “In Italia mezzo milioni di licenziamenti nel 2010”, “Per il crollo delle borse bruciati 197 miliardi di euro”. Già.. Bruciati.. mai termine più appropriato. Basta girare pagina per vedere le immagini di edifici, veicoli, negozi grandi e piccoli che bruciano mentre intorno centinaia di ragazzi si scontrano corpo a corpo, in senso letterale, con i poliziotti in tenuta antisommossa. Ma a volatilizzarsi, prima delle cose andate in fumo in questi giorni per le strade, sono stati milioni di sterline in spesa sociale. Negli ultimi anni in Gran Bretagna per affrontare la crisi c’è stato bisogno di “fare sacrifici”. Ovviamente non per banchieri e grandi imprese. Nella città di Londra state tagliate sovvenzioni sociali e fondi alle scuole, svenduti campi sportivi e piscine di quartiere, chiusi centri di aggregazione ed attività educative. Per rendere l’idea: A Londra la gestione amministrativa è divisa in municipi. Negli ultimi bilanci il municipio dov’è inserita Tottenham ha avuto un taglio di 41 milioni di sterline. Quello dov’è Brixton, a sud della città, addirittura di 90 milioni. E fuori da Londra la situazione è la stessa. A Birmingham e a Liverpool, altre città dov’è in atto la rivolta, i bilanci di quest’anno prevedono tagli rispettivamente di 75 e 91 milioni di Sterline.

Lo chiamano Ordine Pubblico
C’è poi l’altro punto cruciale su cui si sta espandendo la rivolta. Ovviamente analisti e politici si affannano subito a condannare le violenze. E tutti richiamano subito alla memoria la rivolta delle Banlieues del 2005. Ma il paragone regge fino ad un certo punto. Le differenze sono tantissime, a cominciare dal fatto che a Londra non esistono i ghetti isolati dalla City e l’edilizia popolare è contigua spesso a quella residenziale. Anzi.. proprio Tottenham, ad esempio, è uno dei quartieri più “diseguali” d’Inghilterra, povertà e ricchezza senza soluzione di continuità. Inoltre nel paragone tra Londra 2011 e Parigi 2005 non regge neanche il tentativo di “etnicizzare” la rivolta, (tentativo che per dirla tutta non reggeva neanche sulle banlieues, ma questa è un’altra storia).
Ma il paragone regge sulla causa scatenante e il primo nemico, la Polizia di Stato. Allora furono due ragazzini di 15 e 17 anni inseguiti e morti accidentalmente. Adesso un omicidio diretto. Ma in entrambe le circostanze sono solo episodi di un rapporto tra vita di quartiere e controllo che troppo spesso è gestito con la violenza e, soprattutto, mai valutata come tale. Un esempio? The Guardian del 9 agosto ha pubblicato un rapporto della Indipendent police complaints commission: dal 1998 ad oggi 333 civili sono morti in custodia e nessun poliziotto è stato incriminato. Tra l’altro nello stesso rapporto si scopre che in 13 casi ci sono prove “piuttosto chiare di cattiva gestione e negligenza”. Eppure i poliziotti coinvolti non sono stati comunque condannati. E su quelle morti e le migliaia di abusi David Cameron, primo ministro conservatore tornato di corsa dalle sue vacanze di lusso, non ha mai sentito l’esigenza di esprimere indignazione per la “violenza nauseante” e di tuonare che “i delinquenti sentiranno la forza della legge”. Ma la legge di chi e per chi? . E’ forte in tutte le periferie la sensazione di impunità e di abusi continui di chi vuole imporci la “legalità”. Ovviamente la “loro” legalità. Noi contro di "loro". Noi non possiamo tirare un mattone contro una vetrina, devastare una banca, dare alle fiamme un’automobile. Ma "loro" possono devastarti la casa alle 5 del mattino, a volte anche senza mandato; spararti addosso lacrimogeni che i loro stessi tribunali hanno giudicato mortali; possono dare alle fiamme città intere. E si, perchè non sentiremo mai ne David Cameron ne nessun altro suo collega condannare la devastazione di massa in Afghanistan e in Iraq negli ultimi dieci anni - o i recenti bombardamenti della Libia - come "violenza nauseante". Evidentemente il “colpisci e terrorizza” è civile solo se fatto con i bombardieri. Uno solo dei quali costa alla spesa pubblica quanto 50 asili nido o, per tornare all’Inghilterra, quanto il taglio ai fondi pubblici 2011 nell’intera città di Liverpool.

Get rich or die tryin'
Il punto di contatto tra Londra e Parigi, tra Madrid ed Atene, tra l’Europa e il Magrheb è esattamente questo. Viviamo in un sistema basato su sfruttamento e repressione, gestito dai potenti per gli interessi e i profitti dei potenti.
E’ evidente che i “teppisti” di Londra non stanno chiedendo democrazia dopo decenni di dittatura come nel Nord d’Africa. Ne’ di pensare a nuove forme di rappresentanza come gli Indignados spagnoli. Ne’ vogliono una manovra economica diversa come chi si scontra nelle strade di Atene.
Anzi, i “teppisti” di Londra reclamano un pezzo della ricchezza prodotta dal capitalismo. Ne vogliono un parte anche per loro. Lo pretendono da un sistema che gli insegna che o sei ricco o non sei nessuno. E che tu partecipi alla spartizione della torta o meno non lo decidi tu, ma Loro. La dinamica delle rivolte di questi giorni, con i saccheggi di articoli tecnologici, televisori, telefoni cellulari, abbigliamento di marca soprattutto sportivo ci mostra esattamente questo. E nessuna immagine è più esplicativa di quella che mostra un grande magazzino Sony completamente distrutto e dato alle fiamme. E' un aspetto che accomuna le periferie di Oakland, di Mumbay, di Roma.
Quello che non ci date lo distruggiamo. Niente per me? Niente per nessuno!
Quella a cui stiamo assistendo è si una rivolta tutta sociale. Ma non commettiamo l’errore di definirla “non politicizzata”. O meglio ancora.. individuiamo bene qual è il problema. Non sono i ragazzi e le ragazze coinvolte nei riot e negli scontri a non essere politicizzati. La prospettiva deve essere invertita. E' la politica che è troppo lontana. Politica nel senso dell'importanza di individuare chi è il vero nemico che gestisce le catene che ci opprimono, di quali sono i mezzi per combatterlo, di organizzarsi di più e trasformare la rivolta in rivendicazion complessive.
A Londra sta al movimento che ha occupato le università e protestato contro i tagli all'istruzione provare a “legarsi”. Che non vuol dire partecipare alle razzie nei negozi, ma farsi sentire, dichiarare da che parte si sta, spingere per allargare le proteste e provare ad indirizzarle contro il governo dei tagli e delle guerre. E' una sfida decisiva del prossimo autunno.

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