Si apre il processo all'ex rais, ai figli e al ministro dell'interno Habib al Adly. Gli egiziani non aspettavano altro dopo la rivoluzione del 25 gennaio che ha posto fine a 30 anni di potere presidenziale assoluto.
MICHELE GIORGIO
Cairo,
03 agosto 2011, Nena News – Appena otto mesi fa Hosni Mubarak era uno
dei leader più potenti del mondo arabo, forte della sua autorità
assoluta su cittadini-sudditi, dell’appoggio incondizionato dagli
alleati americani e della stima degli israeliani. Un «faraone» a tutti
gli effetti, pronto a dare inizio ad una propria dinastia. Era sul
punto, di concerto con la moglie Suzanne e i membri più in vista del suo
entourage e del partito Pnd, a passare lo scettro di presidente al
figlio Gamal, senza averlo mai ufficialmente nominato suo delfino. Oggi
Mubarak è solo un vecchio ammalato e abbandonato dai suoi amici generali
che controllano l’Egitto. E’ solo l’ombra dell’uomo spietato e
inflessibile che pur di rimanere in sella aveva ordinato di aprire il
fuoco sulla sua gente in rivolta nei giorni insanguinati tra il 25
gennaio e i primi di febbraio. Ieri sera un aereo militare ha provveduto
a trasportarlo dall’ospedale internazionale di Sharm el Sheikh – dove è
ricoverato da mesi – al Cairo e oggi, nell’Accademia di Polizia a nord
della capitale, verrà processato per appropriazione di fondi pubblici e,
soprattutto, per aver ordinato alle forze di polizia di sparare senza
pietà sui manifestanti. Sul banco degli imputati ci saranno anche i
figli Gamal e Alaa. Le misure di sicurezza predisposte sono
impressionanti. Oggi saranno dispiegati venti blindati, tremila soldati e
poliziotti e un cordone di sicurezza verrà allestito attorno
all’Accademia di polizia. Posti di blocco sono stati eretti in vari
punti del Cairo
.
.
Fa caldo nella capitale e i ritmi sono più bassi del solito anche per
il digiuno del mese di Ramadan. Ma l’attenzione verso il procedimento a
carico dell’ex raìs è alta. Gli egiziani aspettavano da mesi questo
momento, il processo a Mubarak e agli altri esponenti del suo regime era
e rimane una delle richieste principali presentate al Consiglio supremo
delle Forze Armate dai giovani della rivoluzione. Un avvocato, Nabih el
Wahesh, ha suggerito di predisporre che la diretta televisiva del
processo avvenga a pagamento. Lo Stato, ha calcolato el Wahesh,
incasserebbe 10 miliardi di pound (oltre un miliardo di euro) tanto è
forte l’attesa popolare. D’altronde vedere un leader arabo davanti ad
una corte vera del suo paese non è cosa di tutti i giorni. Anche il
presidente iracheno Saddam Hussein venne processato, ma si trattava di
una farsa organizzata dall’occupante americano e dal compiacente governo
locale al solo scopo di arrivare nel più breve tempo possibile a
mettergli la corda al collo.
E se anche per Mubarak la sentenza fosse già stata scritta? Non come
per Saddam ma, al contrario, per condannarlo ad una pena lieve rispetto
ai reati gravissimi dei quali è accusato e che prevedono l’impiccagione.
Sono in tanti a temerlo in Egitto. A cominciare dai famigliari degli
oltre 800 egiziani uccisi dal mitragliate della polizia durante la
rivoluzione. «Aspetto questo momento da mesi, quell’uomo mi ha portato
via un figlio, un ragazzo che come tanti altri scandiva solo slogan in
Piazza Tahrir. Voglio che venga condannato al massimo della pena per
quello che ha commesso ma i giochi forse sono già fatti a danno delle
giustizia», diceva ieri Munir tra rabbia e commozione, riunito con altri
parenti delle vittime davanti all’ufficio del Procuratore generale
nella speranza di ottenere uno dei 600 permessi necessari per assistere
al processo. Le indiscrezioni della vigilia riferivano ieri che i
generali del Csfa hanno imposto a Mubarak di presentarsi in aula, anche a
letto, pur di evitare le massicce proteste popolari che provocherebbe
la sua assenza. In cambio avrebbero assicurato al suo avvocato – che in
questi mesi ha descritto più volte Mubarak sul punto di morire – che il
processo verrà subito aggiornato. Uno sviluppo lontano dal procedimento
a tappe forzate annunciate dal giudice Ahmed Refat. Omar, un altro
famigliare di un «martire» della rivoluzione, invece si diceva
«fiducioso». «Non so come andrà a finire ma vedere Mubarak, i suoi figli
e amici di tre decenni di soprusi e corruzione nella gabbia degli
imputati è già un grande risultato», spiegava l’uomo.
Alla sbarra, accanto all’ex «faraone» , oggi ci saranno anche l’ex
ministro dell’interno Habib el Adly, accusato con il rais di avere
ordinato la violenta repressione dei manifestanti a fine gennaio. Nella
sala dell’accademia di polizia, per ironia della sorte intitolata a
Mubarak prima della rivoluzione, non sarà presente invece il businessman
Hussein Salem – fermato il mese scorso in Spagna e rilasciato su
cauzione – accusato di malversazione e di scandali come quello della
vendita sottocosto a Israele del gas egiziano. Secondo alcuni blog,
Alaa, figlio maggiore di Mubarak, che secondo alcune ricostruzioni
accusò il fratello Gamal di avere spinto troppo sulla linea
dell’intransigenza provocando la caduta del raìs, l’altra sera avrebbe
pianto in cella nell’apprendere che il padre aveva risposto
affermativamente alla convocazione giunta dai giudici. Alaa e Gamal
Mubarak in ogni caso dietro le sbarre hanno goduto sino ad oggi di non
pochi privilegi, così come altri esponenti del regime. E’ una prigione
de luxe quella in cui si trovano detenuti. Si chiama Tora e in genere
accoglie vip. Nelle sue celle ci sono anche il ministro per l’edilizia
Ahmed el Maghrabi, del turismo Zoheir Garana, dell’interno Habib el Adli
e l’ex potente uomo d’affari Ahmed Ezz che, assieme ad altre
personalità della politica e degli affari, avrebbero anche organizzato
incontri di calcetto, arbitrati dall’ex premier Ahmed Nazif. Una
prigione ben diversa da quella in cui sono stati sbattuti un centinaio
di manifestanti accampati in Piazza Tahrir e sgomberati lunedì con la
forza dalla polizia e che il Csfa ha definito dei «criminali». Rischiano
processi davanti alle corti militari e anni di prigione. I centri per i
diritti umani hanno chiesto la loro immediata scarcerazione. Tra i
«criminali» c’è anche una giornalista della Bbc, Shaimaa Khalil,
arrestata mentre i militari stavano disperdendo la folla riunita nel
luogo-simbolo della rivoluzione anti-Mubarak. Nena News
questo articolo e’ stato pubblicato il 3 agosto dal quotidiano Il Manifesto
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