lunedì 21 maggio 2012


Francoforte, l'assedio preventivo


Riflessioni a caldo sulla tre giorni contro la Bce. I movimenti europei cercano un nuovo spazio comune e l'anticapitalismo diviene una possibilità
Piero Maestri
La sospensione della democrazia che negli ultimi mesi si è affermata in diversi paesi dell’Europa si è arricchita di un “nuovo” strumento: l’assedio preventivo.
Francoforte nei giorni scorsi era una città sottoposta a tale modello repressivo: prima i divieti verso qualsiasi manifestazione di protesta contro la BCE e le sue politiche (a parte il corteo autorizzato per il sabato 19 maggio); poi la repressione “gentile” ma ferma e scientifica delle manifestazioni contro gli stessi divieti; quindi la pressione nei confronti delle azioni del venerdì, i fermi, i “fogli di via, la presenza di migliaia di agenti per le strade di Francoforte.

Giovedì 17, mentre oltre 500 manifestanti venivano bloccati per tutto il pomeriggio all’interno di Paulsplatz (piazza dove si trova il municipio), più di un centinaio di attiviste/i di diversi paesi – soprattutto italiani e tedeschi – venivano fermati appena usciti dall’università per cercare di raggiungere gli altri manifestanti, con l’accusa di “partecipazione a manifestazione illegale” e condotti alla caserma di polizia, trattenute per diverse ore e quindi rilasciate/i con un “bando” all’ingresso in una specie di “zona rossa” che comprendeva una larga parte della città (evidentemente compresi tutti i palazzi del potere finanziario) fino alle 7 del sabato successivo.
Una versione tedesca dello “stato di diritto”: è permesso solo quello che non è vietato dalle autorità di polizia, che decidono quale espressione del dissenso sia da considerarsi legittima e quale no. Senza possibilità di protestare contro queste decisioni.
Obiettivo di questa repressione era quello di rendere più difficili le iniziative di “Blockupy Frankfurt” del venerdì, cercando di impedire qualsiasi azione diretta contro i palazzi del potere economico e finanziario europeo e tedesco.

Un’operazione che non è riuscita. Anche se le/i attiviste/i “bandite” non hanno partecipato ai previstiblocchi del venerdì, decine di azioni e presidi hanno comunque tenuto in scacco la polizia per tutta la giornata del venerdì.
Almeno un paio di migliaia di attiviste/i hanno continuato per tutto il giorno a bloccare strade, ponti, piazze, costringendo la polizia a inseguire queste azioni – che hanno di fatto bloccato il centro cittadino, con molte sedi finanziarie che sono rimaste chiuse per “sicurezza”.
Non sono stati i blocchi previsti, ma la determinazione pacifica del “Blockupy” ha portato la protesta nelle strade del centro. Una giornata positiva, quindi, malgrado la pressione della polizia e le difficoltà di comunicazione e organizzazione dovute alla necessaria “improvvisazione” dopo che il programma previsto (dei dibattiti come delle azioni) era completamente saltato.

La manifestazione di sabato 19/5 è stata ancora più un successo: oltre 25 mila persone hanno manifestato in un corteo che ha circondato e poi attraversato il centro finanziario, per finire nella piazza dove si trova la sede della BCE.
Una bellissima manifestazione con tre spezzoni evidenti e significativi.
Una prima presenza di delegazioni internazionali e delle associazioni e reti che in questi anni hanno mantenuto forte l’iniziativa contro la mondializzazione liberista. In questa parte del corteo spiccava la massiccia presenza di Attac e di altri comitati contro le politiche di austerità e il debito, come il Cadtm.
Una seconda parte del corteo vedeva la forte presenza di Die Linke (il partito che si colloca alla sinistra della socialdemocrazia tedesca), di settori sindacali (in particolare del sindacato Ver.Di) e di altre sigle della sinistra tedesca.

Un terzo settore, che contava diverse migliaia di partecipanti, si definiva significativamenteanticapitalista o della rivoluzione sociale. Uno spezzone aperto dallo striscione “Rise Up!” dell’organizzazione tedesca (soprattutto berlinese) della Interventionistische Linke, che ha avuto un ruolo importante nell’organizzazione delle giornate di “Blockupy Frankfurt”. In questa parte hanno sfilato gli italiani di UniCommon e Global Project, così come le/i compagne”i di Atenei in Rivoltae della campagna Rivolta il debito, insieme anche a diverse/i militanti di Sinistra Critica (che a quella campagna partecipa attivamente).
Questa zona del corteo – insieme alla presenza delle reti come Attac – ha sicuramente rappresentato la parte più determinata e significativa delle giornate francofortesi, magari non in termini di numeri nel corteo, ma perché ha saputo riunire settori giovanili radicali e consapevoli della lotta anticapitalista.
In realtà la consapevolezza anticapitalista attraversava tutto il corteo e riempiva slogan, adesivi, volantini. E questo è davvero importante.

Alcune brevi riflessioni quasi a caldo.
Perché questa repressione così forte, per quanto condotta con metodi che non hanno mai fatto nemmeno pensare potesse riproporsi una situazione “genovese”?
L’obiettivo naturalmente era quello di impedire i possibili blocchi – ma era chiaro che i timori non riguardavano la “sicurezza” e nemmeno la regolare funzionalità delle sedi finanziarie (anche perché giovedì era un giorno festivo in Germania e venerdì il centro è stato comunque messo “sottosopra” dalle azioni di Blockupy).
Il timore principale era allo stesso simbolico – difendere le sedi del potere finanziario da un possibile assedio attraverso l’assedio preventivo – e politico: impedire una possibile saldatura tra i movimenti di protesta europei, dal 12M spagnolo ai diversi Occupy, dalle resistenze sociali e territoriali (non mancavano le bandiere NoTav…), alle lotte di lavoratrici e lavoratori contro le politiche di austerità.
Un messaggio politico con gli strumenti della polizia tedesca: sono ammesse le proteste dentro i confini stabiliti dal potere. Tutto le altre forme della protesta vengono contrastate con ogni mezzo.

Una seconda considerazione riguarda la presenza politica a Francoforte.
Le giornate di Blockupy Frankfurt erano considerate da molte reti e organizzazioni in tutta Europa come momento importante, se non addirittura centrale, delle mobilitazioni continentali.
La mobilitazione è stata importante e ha avuto risultati significativi, ma era sicuramente al di sotto delle possibilità e delle necessità. Da una parte la sinistra tedesca ha avuto una presenza forte solamente al corteo di sabato, con una sottovalutazione delle giornate di giovedì e venerdì (quando solo la parte più militante ha partecipato alle azioni, senza una significativa presenza delle organizzazioni sindacali e politiche – a parte quelle della sinistra radicale). Queste assenze hanno reso meno forte l’impatto delle azioni e più facile l’azione delle forze di polizia.
Questa sottovalutazione è stata condivisa dalle forze della sinistra europea e anche da molte reti che si considerano parte significativa del movimento contro la mondializzazione. Scontata e giustificata l’assenza di una partecipazione di massa da paesi come Spagna e Grecia (dalla prima per le forti mobilitazioni dei giorni precedenti, e ancora in corso; dalla seconda per la delicata situazione post-elettorale), non sono molti i paesi che hanno contribuito alla riuscita delle giornate di Francoforte – e in questi paesi solo i settori più radicali hanno mantenuto l’impegno a una presenza forte. In particolare dall’Italia quasi solamente le aree di Global Project da una parte e di Atenei in Rivolta/Rivolta il debito dall’altra hanno dato un contributo significativo alle mobilitazioni. Altri soggetti – sia politici, come la Federazione della sinistra, sia di sindacati di base e associazionismo radicale -sono stati completamente assenti. Peccato.

La terza considerazione parte da qui.
Francoforte non è stato semplicemente lo spazio della protesta. Ma anche quello del rilancio di reti europee che provino a superare il modello, decisamente in crisi, dei social forum europei riprovando a partire dalle lotte e dai movimenti sociali, rimettendo al centro la critica al capitalismo (in forma già totalmente consapevole e organizzata, così come in quella più “istintiva” del “99%” che si indigna e protesta) e il rifiuto deciso e dichiarato del pagamento del debito e delle politiche di austerità.
Le parole d’ordine non erano certamente “ora la crescita”, come vorrebbero le socialdemocrazie europee e i loro confusi alleati, ma ben più radicali.
Noi vogliamo partire da qui, investire sulla costruzione di uno spazio anticapitalista europeo (e non solo), partecipare e contribuire alla creazione e al consolidamento di reti transnazionali capaci di darsi linguaggi, contenuti, obiettivi e appuntamenti comuni.
Un impegno allo stesso tempo orientato all’interno del nostro paese, per costruire ed allargare un movimento contro la crisi e il debito largo e allo stesso tempo uno spazio anticapitalista nuovo, e capace di investire nelle reti internazionali, costruendo una conoscenza e relazioni più strette con i settori radicali e anticapitalisti che mettono al centro la necessità di una rinnovata lotta di classe.

Per questo, in fondo, l’assedio preventivo non ha funzionato.

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