Antonio Mazzeo
L’amministrazione degli Stati Uniti d’America sfida l’opposizione
repubblicana e una parte del Partito democratico e annuncia per il 2012
una manovra finanziaria “lacrime e sangue” per ridure lo spaventoso
debito pubblico di oltre 14.000 miliardi di dollari. All’orizzonte si
profilano nuove tasse sui consumi e tagli alla spesa sociale e sanitaria
per 4.000 miliardi ma il complesso militare industriale e i signori del
Pentagono potranno comunque dormire sogni tranquilli. Il Congresso,
infatti, con 336 voti favorevoli e 87 contrari, ha varato per il
prossimo anno un bilancio della difesa record: 649 miliardi di dollari
in nuove armi e missioni di guerra, 8,9 miliardi in meno di quanto aveva
richiesto il presidente Obama ma 17 miliardi in più di quanto previsto
nel budget 2011. Restano fuori dalla difesa perché computate sotto
altre voci del bilancio federale, le spese per la cosiddetta “sicurezza
nazionale”, quelle per la ricerca e la sperimentazione di nuovi
strumenti bellici e quelle per la realizzazione di installazioni
militari nazionali e d’oltremare, per le abitazioni da assegnare al
personale o per la produzione degli ordigni nucleari destinati ai
cacciabombardieri strategici o ai missili a medio e lungo raggio
imbarcati nei sottomarini.
Anche se il Congresso ha confermato in buona sostanza il piano
finanziario approntato dal Dipartimento della difesa, sono stati
approvati una serie di emendamenti che comportano il trasferimento di
risorse da un programma militare all’altro, la cancellazione di alcuni
progetti “chiave” del Pentagono e l’acquisizione di sistemi d’arma non
richiesti dai militari ma offerti dalle generose e potenti lobby dei
fabbricanti. I congressisti hanno decretato un incremento medio
dell’1,6% degli stipendi del personale militare e delle spese per
l’acquisto di unità navali, aerei da combattimento e velivoli da
trasporto C-17, concedendo fondi straordinari per lo sviluppo dei
bombardieri B-1 e di un nuovo prototipo di bombardiere strategico
dell’US Air Force. Di contro, sono stati tagliati i programmi per alcuni
aerei senza pilota, 114 milioni di dollari in meno per l’UAV MQ-9
“Reaper”, protagonista dei sanguinosi raid contro obiettivi civili e
militari in Afghanistan e Pakistan e 115 milioni in meno per l’UAV MQ-8B
“Fire Scout” della US Navy. Altro rilevante taglio è stato decretato al
programma di acquisizione di un nuovo velivolo da guerra terrestre
(Ground Combat Vehicle), mentre aumenta di 272 milioni l’importo
destinato all’aggiornamento del carro armato M1A2 “Abrams” dell’US Army.
Pienamente esaudite invece le richieste del Pentagono di finanziamento
dei nuovi cacciabombarideri F-35, di una nuova classe di sottomarini
nucleari dotati di missili balistici e dei velivoli per il
pattugliamento marittimo P-8 (destinati in parte alla base siciliana di
Sigonella).
Un “premio extra” di 335 milioni di dollari è stato concesso inoltre
per l’acquisto di due satelliti del Wideband Global System, il sistema
di telecomunicazioni satellitari che il Dipartimento della difesa sta
sviluppando in cooperazione con le forze armate australiane
(complessivamente il sistema assorbirà nel 2012 investimenti per 804
milioni di dollari). Inatteso stop invece al programma trilaterale Stati
Uniti-Germania-Italia per la sostituzione dei missili Partiot e Nike
Hercules con un nuovo sistema di “difesa anti-aerea e anti-missilili”
denominato Medium Extended Air Defense System (MEADS).Il Congresso ha
decurtato di 149 milioni di dollari l’apporto USA alla joint venture
produttrice con sede ad Orlando (Florida) e composta dal colosso
statunitense Lockheed Martin, dalla società tedesca
Lenkflugkorpersysteme e da MBDA Missile Systems, consorzio europeo di
cui l’italiana Finmeccanica detiene il 25% del capitale. Il programma
MEADS, avviato nel maggio 2005, prevede investimenti finanziari per
oltre 3,4 miliardi di dollari. Affari d’oro invece per le società
impegnate nella realizzazione del sistema missilistico e “anti-aereo”
Iron Dome: per il 2012 il Congresso ha infatti approvato una spesa di
205 milioni di dollari a favore del programma di sviluppo che vede
insieme Stati Uniti d’America e Israele.
Centosettanta miliardi di dollari vengono destinati infine alle
operazioni all’estero delle forze armate USA (4 miliardi in più del
2011), 119 dei quali per le guerre in Iraq, Afghanistan e Pakistan. Al
Pentagono andranno inoltre 11,6 miliardi per l’addestramento delle forze
armate afghane, 1,5 miliardi per quello delle forze di sicurezza
irachene e 75 milioni di dollari per la formazione e l’equipaggiamento
delle forze “anti-terorismo” yemenite. Poco chiaro invece quanto accadrà
sul fronte libico. Anche se nessuno degli emendamenti approvati impone
all’amministrazione Obama la revisione delle modalità d’intervento a
fianco della coalizione dei volenterosi a guida NATO, la maggioranza dei
congressisti ha chiesto al Dipartimento della difesa di “non utilizzare
fondi per fornire equipaggiamento militare, addestramento o consulenze a
favore di gruppi o singoli impegnati in attività all’interno o contro
la Libia”. Il 20 aprile scorso, tuttavia, Washington ha concesso ai
ribelli del Transitional National Council 25 milioni di dollari in
“equipaggiamenti non letali” (apparecchiature mediche, uniformi,
stivali, tende, impianti radio e molto probabilmente armi leggere) e
altri 53 milioni in non meglio specificati “aiuti umanitari” a favore
del popolo libico.
Secondo un recente studio pubblicato dall’Eisenhower Research Project
della Brown University di Rhode Island, dall’11 settembre 2001 ad oggi
le forze armate statunitensi hanno speso 4.400 miliardi di dollari per
le operazioni in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen, una cifra di per
sé stratosferica ma che non comprende gli interessi sui debiti contratti
dalle autorità federali USA con le banche. Secondo il gruppo di ricerca
“le guerre sono state finanziate quasi per intero con l’assunzione di
prestiti; sino ad oggi sono stati pagati interessi per 185 miliardi di
dollari, ma altri 1.000 miliardi potrebbero essere pagati per le spese
di guerra da qui all’anno 2020”.
Solo il conflitto iracheno, scoppiato nel 2003, avrebbe comportato
una spesa di 1.000 miliardi di dollari. Secondo quanto annunciato dal
presidente Obama, entro la fine del 2011 tutti i 46.000 militari USA
impegnati dovrebbero essere ritirati dall’Iraq, ma c’è chi al Pentagono
sta già pensando a mantenere nel paese, almeno sino alla fine del 2012,
un contingente di 8.500-10.000 uomini per “continuare l’addestramento
delle forze armate irachene”, come riporta l’agenzia The Associated
Press. “L’estensione della presenza militare USA in Iraq avverrà solo
dopo un’eventuale richiesta da parte della autorità di Baghdad e
dipenderà dalla prontezza che le forze di sicurezza locali avranno
acquisito contro i rinnovati attacchi delle milizie”, spiegano i
portavoce della Casa Bianca. “Senza una richiesta formale, solo 200
uomini rimarranno in Iraq a disposizione dell’ambasciata USA in qualità
di consulenti militari, un compito comune a quello di tutte le altre
missioni diplomatiche all’estero”.
Nessun commento:
Posta un commento