lunedì 18 luglio 2011

Capitalismo, strada senza uscita

Recensione del libro Capitalismo tossico di Marco Bertorello e Danilo Corradi. Una severa lettura sistemica dell'epoca tradita dal mercato.

Fabrizio Franchi*
In questi giorni di grave crisi finanziaria emergono ancora le solite ricette liberiste per affrontare gli scossoni che arrivano prima ancora che dalle Borse, in generale dall’economia. I Paesi e i loro governi sono di fatto nel panico e reagiscono tutti allo stesso modo, sia che si tratti di governi di centrodestra, sia che si tratti di governi di centrosinistra: tagliando le spese sociali, riducendo il potere d’acquisto dei salari. Ricette, come abbiamo visto in questi decenni che non riescono a ridare slancio alle economie capitaliste, oltretutto preda di crisi economiche e finanziarie sempre più ravvicinate nel tempo se paragonate all’andamento ciclico del passato.
Ma non sarà che non si tratti di crisi temporanee, ma è il capitalismo ad essere in crisi, come modello economico affermatosi in questi ultimi secoli? Un sistema economico che certamente ha saputo cambiare, adattarsi, trasformarsi, quasi come un camaleonte per sopravvivere a se stesso ma che ora dimostra tutto l’affanno e l’incapacità di rispondere alle esigenze di una popolazione mondiale moltiplicatasi nell’ultimo secolo. Il debito pubblico dei Paesi occidentali cresce e non si arresta, nonostante i tentativi di governanti, banche mondiali e capitalisti di arginare il mostro che cresce.

Ad affrontare e studiare e cercare di dare una risposta a questa situazione è uscito pochi giorni fa «Capitalismo tossico. Crisi della competizione e modelli alternativi» per le edizioni Alegre (pagine 192, 16 euro). I due autori, Marco Bertorello e Danilo Corradi, danno una lettura dichiaratamente marxista della crisi. A chiudere il cerchio dello studio c’è una postfazione di Riccardo Bellofiore, economista di ispirazione marxista, docente all’Università di Bergamo, che ha ispirato i due autori con le sue definizioni della crisi capitalista.
In sintesi - e per chiarezza - è bene spiegare che Bertorello e Corradi sono accomunati da una ispirazione trotskista nelle loro riflessioni, seppur divisi e diversi nella vita lavorativa. Significativamente Bertorello, che è anche un sindacalista, lavora al porto di Genova, un crocevia da secoli dello sviluppo mercantile e industriale, mentre Corradi è un dottorando alla Sapienza di Roma. Entrambi non sono al loro primo libro, ma hanno prodotto già una robusta bibliografia di studi economici e sociali. Che cosa ci dicono in sostanza gli autori? Che i «titoli tossici» alla base dell’esplosione della crisi economica internazionale sono solo la punta dell’iceberg di un capitalismo malato. Bertorello e Corradi provano a riflettere sulle ragioni strutturali, superando certe analisi superficiali sulla crisi finanziaria. Una parte del libro mette in fila i diversi tentativi di uscita dalla crisi, rivelatisi a loro dire inefficaci, messi in atto a livello globale, comprese le proposte neokeynesiane su cui sono decisamente critici. I due autori sono consapevoli che seppure asmatico, il capitalismo non significa che stia morendo. E attaccano però la concezione per la quale l’economia avrebbe le «sue leggi naturali», sottolineandone invece la natura umana. Per questo si rivolgono marxianamente ai soggetti che potrebbero trasformare il sistema, i lavoratori e le lavoratrici in prima istanza, ma in definitiva l’essere umano. La loro proposta è di uscire dal capitalismo bloccando di fatto quelle che possono essere considerate le «guerre tra poveri» superando la competizione tra gli essere umani, reinventando luoghi che loro chiamano «de-mercificati».
Se la soluzione può apparire nell’immediato una non-risposta all’uscita dalla crisi, va detto che la ruggine che notiamo negli ingranaggi del sistema ci porta a pensare che – come tutti i sistemi economici della storia – anche il capitalismo non può essere destinato a durare in eterno. Anche perché, come già è stato sottolineato – tra gli altri dall’americano non marxista Tony Judt – ci si chiede per quali motivi il mondo abbia sempre più ricchezza e sempre più poveri. E le speranze dei meno indigenti di poter prendere l’ascensore sociale si siano ridotte enormemente negli ultimi 30 anni.
Un sistema che vive solo per mantenere il privilegio di pochi non può avere una grande prospettiva.
* Recensione pubblicata su L'Adige del 17/07/2011.

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