Nuove manifestazioni a Tel Aviv contro il carovita ma tra le tende di viale Rothschild si discute anche dei Territori Occupati grazie ad "Anarchici contro il muro".
MICHELE GIORGIO
Roma, 26 luglio 2011, Nena News – Gli «indignados» di Tel Aviv
resistono. L’accampamento di viale Rothschild non smobilita, nonostante
le cariche della polizia a cavallo di sabato sera e le decine di fermi
effettuati tra le oltre 20mila persone che hanno sfilato nelle vie del
centro per protestare contro le «case d’oro», gli affitti stratosferici,
il costo della vita insopportabile e a favore dell’aumento dei salari e
di ciò che rimane dello stato sociale. Al contrario la mobilitazione
si intensifica. Ieri centinaia di manifestanti hanno bloccato alcuni
degli incroci stradali più trafficati a Tel Aviv e in altre città, come
Haifa e Rosh Hain. Un campo di tende improvvisato è spuntato
all’improvviso accanto alle Torri Azrieli mandando in tilt il traffico.
Ma nessun taxista e automobilista ha protestato, il consenso alle
iniziative degli indignati è ampio in tutto il paese. Tutti si sentono
nella stessa barca.
Proteste di questa portata non si vedevano da tempo nella più
importante delle città israeliane, più nota per la vita notturna e lo
stile liberal dei suoi abitanti che per le rivolte contro i governi.
Ormai sono centinaia le tende allineate che partono dalla «bianca»
piazza Habima, a poche centinaia di metri dalla centralissima via
Dizengoff.
Ci sono gli studenti, giovani disoccupati, famiglie intere,
gli israeliani poveri di Holon e Bat Yam qualche homeless. Più di tutto
c’è la classe media istruita e ben avviata appena qualche anno fa e che
ora precipita, trascinata giù nel baratro dall’ansia di non arrivare
alla fine del mese. Il costo della vita è salito oltre il 15% negli
ultimi anni. L’acquisto di un’abitazione è un’impresa eccezionale per i
giovani o una famiglia di 4-5 persone, quando i prezzi al supermercato
sono tra i più alti dei paesi occidentali e le tasse da pagare pesanti.
In Israele fare il pieno di benzina costa il 30% in più rispetto alla
media europea, fare il pieno costa di più solo in Italia. Così la
protesta si allarga, coinvolge altre città, le tende aumentano ovunque e
le manifestazioni arrivano davanti alla Knesset. Non è (ancora) una
rivolta, manca una direzione politica che gli «indignati» in ogni caso
rifiutano. Ma dove si spingerà la protesta di viale Rothschild nessuno
può prevederlo.
«Tutto è cominciato per i prezzi delle case e il costo degli affitti,
paragonabili oggi a quelli di Mosca e Manhattan. Ma quelli erano solo i
problemi immediati che hanno portato la gente in strada» spiega in un
buon italiano Senny Rapoport, giovane fotografo di Tel Aviv rientrato
qualche settimana fa da un lungo periodo trascorso a Napoli. «Il quadro è
ben più grave, in particolare per le retribuzioni – aggiunge Senny –
qui tanti guadagnano non più di 5.000 shekel, più o meno mille euro, che
se ne vanno per il 90% nel pagamento dell’affitto e quello che rimane
si spende per il cibo che (In Israele) costa il 40-70% più che in
Europa». La ragione di tutto ciò è semplice, dice Senny, «il paese è
governato economicamente da un gruppo molto stretto di persone, poche
imprese che controllano il mercato e fissano i prezzi». Un oligopolio
che negli ultimi trent’anni ha sostituito il vecchio modello laburista
di stato sociale, smantellato dagli stessi leader del Labour durante
l’orgia liberista che ha segnato la vita economica di Israele in questi
ultimi anni. «Sono un medico condotto e posso dire che la sanità
pubblica in Israele è molto buona ma i nostri salari sono bassi e questo
ha spinto tanti medici ad andare verso la medicina privata – racconta
Miriam, in agitazione da settimane con centinaia di medici – per questo
motivo lottiamo anche per salvare la medicina pubblica. In Israele tutto
il sistema pubblico crollando, così come lo stato sociale. Ci sentiamo
vicini ai giovani qui (in viale Rothschild) che sono istruiti, vanno
all’università ma quando completano gli studi non trovano lavoro e la
casa».
Credeva di poter dormire sonni tranquilli il premier Netanyahu. Per
oltre due anni si è preoccupato quasi esclusivamente di «politica
estera», ossia di come far deragliare il negoziato con i palestinesi e
di rilanciare la colonizzazione israeliana nei territori occupati di
Cisgiordania e Gerusalemme Est, anche a costo di una rottura (che in
concreto non è mai avvenuta) con l’Amministrazione Usa. A rendere più
sereno il suo riposo è stata di recente la complicità greca ed europea
nel silurare la Freedom Flotilla per Gaza e il sicuro veto di Barack
Obama alla proclamazione unilaterale d’indipendenza palestinese alle
Nazioni Unite. Ma proprio quasi pensava di poter chiudere la legislatura
con scioltezza, per inerzia, tra le mani gli è esplosa la questione del
carovita e delle «case d’oro». Il primo ministro non ha compreso che il
recente boicottaggio popolare del sempre più costoso formaggio cottage
(di largo consumo in Israele) è stato il segnale di un malessere
profondo e non un’espressione isolata del malcontento dei consumatori.
In Occidente esaltano il governo israeliano per la gestione
dell’economia nazionale che non solo ha retto all’urto delle recessione
mondiale ma è cresciuta negli ultimi due anni del 4-5%, tenendo bassi i
livelli di disoccupazione. Qualcuno ha anche proposto il governatore
della Banca centrale d’Israele, Stanley Fischer, un alfiere dei tassi
alti, come direttore generale del Fondo Monetario Internazionale. Ma in
realtà la crescita è avvenuta solo nelle tasche di pochi perché larghi
strati di popolazione si sono impovertiti sotto i colpi dell’aumento dei
prezzi e delle picconate a ciò che rimaneva stato sociale inferte da
Netanyahu (quando era ministro dell’economia) e ora dal suo «braccio
armato», il ministro delle finanze Yuval Steinitz. Non sorprende perciò
che un sondaggio pubblicato domenica scorsa dal quotidiano Haaretz
abbia rivelato che la maggioranza degli israeliani boccia il governo
per la gestione dell’economia. Il 62% degli interpellati giudica
«cattivo» e perfino «pessimo» l’operato dell’esecutivo nelle questioni
economiche e sociali. Il premier è un liberista accanito ma il 36% della
popolazione vuole la socialdemocrazia e un maggiore coinvolgimento
dello Stato nelle questioni socioeconomiche. Il 31% degli israeliani
ebrei afferma che la propria condizione è peggiorata e il 41% che non è
cambiata. Tra gli arabi (i palestinesi con passaporto israeliano) il 75%
denuncia un «peggioramento» figlio diretto delle risorse esigue che lo
Stato assegna alle aree con una maggioranza di cittadini non ebrei.
Netanyahu, si dice, potrebbe sacrificare Steinitz (che nel frattempo non
commenta le proteste) ed è pronto ad assegnare terre dello Stato a
prezzi stracciati per progetti edilizi a basso costo.
Non basterà a placare la protesta. Sono in tanti a dirlo in viale
Rothschild. L’accampamento di tende si allarga e con esso i temi in
discussione. E qualcuno prova a far capire agli «indignati» di Tel Aviv
che la loro condizione è anche figlia delle ingenti spese statali a
favore delle colonizzazione nei Territori palestinesi e delle risorse
enormi destinate all’occupazione e alle Forze Armate. Alcuni giorni fa
tra le tende è spuntata anche quella degli «Anarchici contro il Muro»,
da anni in lotta accanto ai palestinesi contro la barriera israeliana in
Cisgiordania. «Proviamo a far comprendere alla gente che il problema
non è solo quello degli affitti e del costo delle case ma è una
situazione ben più ampia legata anche all’occupazione e all’apartheid»,
dice Naomi Lyth, una militante di «Anarchici contro il Muro». Le
reazioni sono spesso negative. «Parliamo della condizione dei
palestinesi, del Bds (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni contro
Israele) – prosegue Naomi - cerchiamo di spiegare che tanti soffrono
come soffrono i palestinesi (a causa dell’occupazione) perché troppi
fondi vanno all’esercito, alle sue basi (nei Territori occupati), agli
armamenti. Molti ci dicono che questa non è una questione politica ma
economica. Noi insistiamo, è qualcosa di più ampio». Nena News
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