Un milione di persone ieri in piazza Tahrir al Cairo e in altre citta' del paese. Hanno aderito alla manifestazione anche i Fratelli musulmani, timorosi di perdere consensi
DI MARIO CORRENTI

E’ stato un venerdì di protesta – con gli attivisti che hanno
allestito una piccola tendopoli per prepararsi a uno sciopero a oltranza
– che ha confermato la determinazione di larghi settori della società
egiziana di voler continuare la battaglia per impedire che la
«rivoluzione» si limiti alle dimissioni di Mubarak. Convocata dai
movimenti giovanili e dal quello del 6 aprile, la manifestazione è
diventata imponente anche sull’onda emotiva di sentenze impopolari, come
quella per il rilascio su cauzione di agenti accusati di avere sparato
sui manifestanti a Suez a gennaio. Alla fine hanno aderito anche i
Fratelli musulmani, nonostante il movimento islamico avesse deciso di
non unirsi ai manifestanti attesi a Piazza Tahrir. Considerati alleati
di fatto dei militari – ai quali garantiscono la pace sociale – assenti
dalle altre grandi manifestazioni contro la «restaurazione», gli
islamisti stavolta hanno capito che rimanere lontano dalla piazza mentre
mezzo Egitto vuole «continuare la rivoluzione», non avrebbe fatto gli
interessi dell’organizzazione che punta a conquistare metà del
Parlamento alle prossime elezioni legislative. Gli islamisti hanno già
ottenuto ciò che volevano – riconoscimento definitivo e piena libertà di
azione politica – e non hanno interesse a tenere sotto pressione il
Consiglio militare supremo su questioni, come i poteri del presidente,
la cittadinanza, la costituzione, i diritti individuali centrali per le
forze laiche e progressiste.
«La rivoluzione continua», si leggeva ieri su alcuni striscioni.
Mercoledì un tribunale ha assolto tre ex ministri egiziani, che erano
stati rinviati a giudizio con l’accusa di malversazione. Una sentenza
che ha contribuito ad alimentare la rabbia dei manifestanti. «Negli
ultimi cinque mesi, diversi ex funzionari governativi sono stati assolti
come se non ci fosse stata alcuna rivoluzione e come se nessuno fosse
stato ucciso», ha spiegato Inji Hamdi, uno dei portavoce del movimento
giovanile del 6 Aprile.
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