venerdì 23 dicembre 2011

Natale sui Monti.


Regali amari, sotto l'albero, da un governo che si annuncia davvero pessimo se non peggio. Vi proponiamo l'editoriale di Erre appena uscito e vi facciamo gli auguri.
Salvatore Cannavò
Mentre questa rivista va in stampa il governo guidato da Mario Monti va definendo la sua prima manovra finanziaria. E finalmente sarà l’ora della verità. La verità sulla natura del governo che, dopo la stagione berlusconiana, è stato salutato con un’ondata di entusiasmo e di aspettative del tutto inappropriate al suo compito e alla sua funzione. Al di là dei dettagli e dei bilanciamenti fra le varie componenti, è chiaro infatti che la manovra economica, con gli ulteriori tagli allo stato sociale, alle pensioni, ai servizi pubblici, ai diritti fondamentali del lavoro così come sono stati disegnati negli ultimi quarant’anni, si colloca dentro quel “pensiero unico” che, nonostante il fallimento dimostrato dalla crisi economica, resta ancora il riferimento economico su scala internazionale. Un governo votato agli interessi delle banche, in primo luogo, come dimostra anche la biografia di uomini forti dell’esecutivo come Corrado Passera o la stessa Elsa Fornero. Un governo incaricato di tenere l’Italia dentro il quadro di Maastricht e di Lisbona per quanto quell’ipotesi politica esca ammaccata dalla prima vera grande prova mondiale.

La crisi, ancora una volta, si è mostrata per quello che è: un colpo di coda della finanziarizzazione dell’economia e, in fondo, una prova di debolezza del capitalismo in quanto tale se è vero, come riconoscono anche gli economisti “mainstream”, che la bolla del debito non è altro che una gigantesca nuvola prodotta dalla sovrapproduzione e dalla fatica del capitale a procedere nell’accumulazione. Per garantirsi profitti si è iniziato a far girare l’economia a debito e quel debito è cresciuto fino a scoppiare. I suoi frammenti stanno ora impazzando nelle pieghe dell’economia, nei bilanci degli Stati e soprattutto in quelli delle banche, che della crescita abnorme del debito sono le principali responsabili. A cercare di tamponare la falla, come al solito, come è ovvio in uno schema di “lotta di classe al contrario” – in cui è la borghesia a picchiare duro – verranno chiamati lavoratori, lavoratrici e poi giovani, precari e tutta la costellazione che compone il moderno proletariato. Dietro “l’equità e il rigore” di Mario Monti c’è solo un fumo ideologico che serve a convincere questo paese che è molto più dannoso e pericoloso un lavoratore che va in pensione dopo 40 anni di lavoro che un evasore fiscale.
La manovra, con i suoi colpi di maglio educati e “sobri” – niente a che vedere con le sberle sguaiate e pedo-pornografiche tirate da Berlusconi, Sacconi e Brunetta – portati al volto da persone “a modo” come il presidente del Consiglio o la ministra del Lavoro, punta a preservare il ruolo europeo dell’Italia ma soprattutto a salvare i bilanci delle banche. E’ come se “il comitato d’affari della borghesia” di cui parlava Lenin si fosse fatto da parte, anzi fosse stato estromesso dalla borghesia in persona che ha preso in mano le redini della situazione.
Per questo il governo Monti rappresenta il “momento della verità”. Si capirà meglio, cioè, di che pasta è fatta la crisi, chi ci guadagna e chi ci perde. Se “il comitato d’affari” viene messo da parte, magari solo temporaneamente, e la borghesia si espone in prima persona, il contatto è più diretto e non mediato da figure controverse come Berlusconi. Anche per questo la democrazia è costretta a prendersi una pausa. E’ uno dei lasciti della crisi: rivendicare democrazia, d’ora in poi, è un processo che scardina gli equilibri, un fattore antisistemico come ha dimostrato la pretesa greca di esprimersi con un referendum e la reazione che ne è seguita.

E’ il momento della verità rispetto a un quadro politico che si è esibito per circa venti anni in un teatro artificiale. Ha ragione Pierferdinando Casini a dire che il quadro politico del futuro si strutturerà in relazione al grado di sostegno che verrà dato al governo Monti. Saranno le sue misure, le sue linee politiche di fondo a dividere il grano dal loglio e a fare in modo che “i merli stiano con i merli e i passeri con i passeri”.
E’ dunque il momento della verità anche per il Pd, la Cgil e il variegato arcipelago del centrosinistra. Appoggiare Monti indica una specifica propensione politica e un disegno per il futuro che è un programma di gestione dell’esistente. Per chi scrive, per questa rivista, l’approdo attuale non rappresenta una sorpresa, anzi un esito inevitabile. Ma il passaggio in corso aiuterà anche i più riottosi o coloro che hanno preferito attardarsi a farsi un quadro chiaro della situazione. Anche la Cgil è chiamata a un passaggio ultimativo. Se accetterà le misure di Monti vuol dire che, ancora una volta, il quadro politico le sta più a cuore della difesa dei suoi iscritti e dei lavoratori in generale. Altrimenti, vorrà dire che sarà ancora un luogo frequentabile.

Infine, è il momento della verità per la sinistra e per i movimenti di opposizione. Sinistra, ecologia e libertà sta attraversando una fase di fuoco: contraria al governo, non vuole e non può rompere con il Pd. In questa contraddizione sta la sua fragilità. Più certa sul da farsi Rifondazione comunista che però, ci è chiaro, non vuole sciogliere ancora il nodo del Pd. E così in troppi ambiti abbiamo ascoltato che “il governo Monti andrà valutato per le cose concrete che farrà e giudicato sulle singole misure” come se il suo programma di insediamento non è una “cosa concreta” e una summa ideologica delle sue misure. Vedremo. Che occorra coordinare e aggregare una variegata opposizione all’unità nazionale delle banche e del capitale è del tutto evidente. Si uniscono gli “agenti del capitale”, è imperativo che si uniscano coloro che hanno a cuore gli interessi del lavoro, dell’ecologia, delle donne, dei giovani e dei precari. E’ il tempo dell’unità possibile, fattiva e socialmente efficace. E solo ora si coglie quanto realmente è andato perduto il 15 ottobre e quali strumenti avremmo avuto se quella manifestazione avesse sedimentato consenso invece di rancori.
Siamo davvero in un tempo nuovo, in una fase globalmente costituente. Serviranno movimenti di massa – l’Egitto è lì a mostrarlo – e salti di qualità, cambiamenti repentini, saldezza programmatica e flessibilità di movimento. Non serviranno teste girate all’indietro o schemi politici desueti. Saranno dannosi i settarismi e gli identitarismi. La crisi ci consegna uno scontro sociale ruvido e grezzo in cui, se da un lato mancano acquisizioni del passato, dall’altro potranno crearsi consapevolezze subitanee. E’ su queste che occorre puntare.

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