martedì 11 settembre 2012

Occupy Obama


Chiuse le convention il presidente uscente sembra in vantaggio ma tra lui e Romney, proposte alla mano, non ci sono differenze significative. Nemmeno sulla riforma sanitaria. L'unico fattore di novità negli Usa è il movimento nato a Zuccotti Park. Che discute di elezioni
Cinzia Arruzza
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Tra fine agosto e la prima settimana di settembre si sono svolte le due convenzioni nazionali del partito repubblicano e del partito democratico. Contrariamente al 2008 il tono di entrambe è stato più prosaico e ci sono stati meno spazi per voli lirici, fatta eccezione per il dialogo tra Clint Eastwood e Obama, rappresentato da una sedia vuota, che è stato probabilmente l’unico colpo di scena in due copioni fin troppo scontati. Mentre non è sicuro quanto questi due eventi abbiano realmente contribuito a uno spostamento degli elettori indecisi, la loro conclusione sembrerebbe non lasciare dubbi. Di fronte a un candidato presidente degli Stati Uniti come Mitt Romney e a un candidato vice-presidente come Paul Ryan, non c’è scelta: bisogna sostenere Obama. È questo il ragionamento di parte di coloro che quattro anni fa hanno sinceramente creduto nel messaggio di speranza lanciata dalla campagna di Obama. E sebbene quattro anni dopo in molti pensino che il baldanzoso obamiano ‘yes, we can’ si sia trasformato in un amareggiato ‘no, we couldn’t’, sostenere Obama contro Romney alle elezioni del prossimo novembre sembrerebbe l’unica opzione per coloro che vogliono arrestare la corsa a destra della politica americana.
D’altronde, lo stesso Obama, nel suo discorso di accettazione della candidatura, ha decisamente ricalibrato i toni rispetto alla sua prima candidatura. Non si parla più di ‘change’, ma di ‘new’ and di‘moving forward’, non si promette più nessuna svolta storica, ma piuttosto una lenta ripresa dalla crisi e dalla disoccupazione, a condizione che ci si rimbocchi le maniche. D’altronde, è difficile promettere mari e monti quando l’economia va a rotoli e quattro anni di governo non hanno minimamente cambiato il volto della società americana, né tantomeno ripianato le crescenti ingiustizie sociali. In ogni caso, se la ricandidatura di Obama non sta suscitando gli stessi entusiasmi e le stesse speranze di quattro anni fa, la paura della vittoria di un partito repubblicano sempre più spostato a destra e sempre più aggressivo sulle questioni sociali, di genere e razziali potrebbe svolgere un ruolo decisivo nella rielezione di Obama.
Un articolo pubblicato recentemente da Bruce A. Dixon su BAR, Black American Report, uno dei giornali della sinistra afroamericana, smentisce le ultime illusioni che la rielezione di Obama possa marcare una differenza significativa. Nell’articolo si trova un elenco dei 15 punti di programma su cui Romney e Obama sono sostanzialmente d’accordo. E non si tratta di bazzecole. Sul piano del lavoro repubblicani e democratici sono sostanzialmente d’accordo nel non voler dar vita a programmi pubblici per l’aumento occupazionale, dal momento che entrambi pensano che la soluzione debba venire dal settore privato. Sotto l’amministrazione Obama non c’è stato alcun aumento del salario minimo, i diritti sindacali e il diritto di sciopero hanno continuato a essere erosi, e non c’è stato alcun tentativo di applicazione delle leggi esistenti in tutela del lavoro.

Anche dal punto di vista della sanità, il cavallo di battaglia – perdente – di Obama, c’è molto da discutere. Dopo aver promesso l’accesso alla sanità (Medicare) per tutti, l’amministrazione Obama non ha fatto altro che applicare a livello nazionale il programma di riforma sanitaria stilato da Romney (si, proprio da Romney!) in Massachussets, che consiste nell’imporre a tutti la stipulazione di assicurazioni private. Inoltre, fino a poco tempo fa sia Obama che Nancy Pelosi continuavano a insistere sulla necessità di raggiungere un accordo con i repubblicani a proposito dei tagli ai tre settori fondamentali dello stato sociale americano: Medicare, Medicaid e social security. Certo, i repubblicani si contraddistinguono per un razzismo aggressivo, che sta spingendo organizzazioni legate al Tea Party persino a organizzare gruppi di cittadini bianchi da piazzare nei seggi elettorali afro-americani e latini a ‘controllare che non ci siano brogli elettorali’. Ma bisogna anche tenere conto del fatto che durante l’amministrazione Obama è stato deportato un milione di immigrati, spesso senza alcun processo e dopo mesi trascorsi nei centri di detenzione.
Anche sulla politica estera e la politica ambientale c’è poco da stare allegri, e le differenze si riducono spesso a una questione di stile. L’amministrazione Obama ha continuato a sostenere il programma NAFTA, l’embargo a Cuba, la militarizzazione dell’Africa (per non parlare dell’intervento in Libia), e non ha cambiato in termini sostanziali la politica americana sul conflitto israelo-palestinese. Last but not least, al pari dei repubblicani, i democratici si sono precipitati a regalare miliardi di dollari a Wall Street.
La verità è che tra repubblicani e democratici c’è poco da scegliere, e che l’unica novità della politica americana degli ultimi decenni è stato il movimento Occupy. La scadenza elettorale, tuttavia, sta pesando non poco sulla dinamica del movimento, che in questo momento sembra essere in grande difficoltà. Già un anno fa, la decisione della segretaria del sindacato SEIU di appoggiare pubblicamente la ricandidatura di Obama ha dato un segnale di arresto al movimento. Il 17 novembre dell’anno scorso, infatti, la grande manifestazione congiunta di Occupy e dei sindacati all’indomani dello sgombero di Zuccotti Park, è stata letteralmente monopolizzata e addomesticata dall’SEIU, che ha attivamente impedito qualsiasi evoluzione della manifestazione in azioni più radicali, come l’occupazione dei ponti o la rioccupazione di Zuccotti Park. Le conseguenze sono note: nelle settimane successive decine di occupazioni in giro per gli Stati Uniti sono state sgomberate e il movimento ha avuto enormi difficoltà a riprendersi.
Occupy Chicago ha organizzato tre giorni di manifestazioni e dibattiti in concomitanza con la convenzione democratica, dietro lo slogan ‘Occupy Obama. Stop alla guerra del presidente dell’1% contro il 99% del mondo’. E Occupy Wall Street ha lanciato tre giorni di manifestazioni a New York in occasione dell’anniversario dell’occupazione di Zuccotti Park. Peccato che, però, per i media ormai concentrati sulle prossime elezioni il movimento non faccia più notizia. Soprattutto se mette in discussione Obama.

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