martedì 11 settembre 2012

Il respiro corto di Draghi


La mossa della Bce sembra trovare il più ampio sostegno, della politica e dei mercati. Ma la Bce ha già cominciato da un anno a comprare titoli italiani. E le sue iniziative non bastano a risolvere i problemi strutturali che hanno provocato la crisi
di Marco Bertorello e Danilo Corradi
Guarda il libro "Capitalismo tossico"

A oltre un anno dall'esplosione della crisi del debito tra i principali paesi periferici sarebbe giunto il tempo per provare a fare qualche bilancio. Dal drastico aumento del differenziale tra il tasso di interesse di questi paesi e quello tedesco (il famoso spread) molta acqua è passata sotto i ponti. Ricambi ai vertici politici, tecnocrati che hanno realizzato durissime politiche di austerità (i famosi compiti a casa), ma soprattutto un susseguirsi di scadenze, vertici, a livello europeo per arginare questa crisi. Ognuno di questi era considerato l'ultimo possibile, oltre il quale il tempo sarebbe scaduto, Eurolandia venuta meno, insomma il baratro. Peccato che, nonostante le presunte buone notizie a conclusione di ogni enclave, gli effetti benefici avessero una durata piuttosto effimera. 
Per fare solo un esempio: dalle dimissioni di Berlusconi dello scorso autunno a questo luglio lo spread in Italia tornava a superare i 500 punti, come in un tragico giro dell'oca. Nel frattempo siamo passati dai vertici di dicembre, che decretavano piani per l'armonizzazione fiscale e norme più stringenti nelle politiche di bilancio, al vertice di fine giugno in cui finalmente veniva consacrata la governance di Monti attraverso l'approvazione del meccanismo anti-spread e il patto per la crescita e l'occupazione. Italia-Germania 1-0. Nonostante il vantaggio però il gioco in campo non cambiava, azzurri in sofferenza e tedeschi a far melina, come se lo svantaggio fosse sempre italiano (e in effetti lo era!).
Preso atto che le politiche economiche dei governi non erano sufficienti si è incominciato ad invocare con maggiore insistenza un intervento della Bce. La palla passava dalla politica, seppur gestita da tecnici, alla tecnica in senso stretto. Il problema era individuato nell'impossibilità della Bce di poter svolgere la funzione propria di una banca centrale come la Fed, per intenderci, la quale stampa moneta e immette liquidità nel sistema per arginare le crisi. Con la svolta di Draghi sembra che il problema sia risolto.
La Bce acquisterà titoli pubblici dei paesi in difficoltà in quantità illimitata, senza essere l'investitore privilegiato in caso di insolvenza o ristrutturazione del debito, come invece è accaduto in Grecia. Insomma per la Bce si profila un ruolo da protagonista nelle politiche economiche continentali. Come per le decisioni assunte precedentemente c'è una sorta di attesa messianica sugli effetti, c'è chi pensa che tali provvedimenti se messi in pratica possano davvero risolvere o attenuare l'emergenza e chi invece pensa che sia sufficiente averli a disposizione per poter svolgere una funzione benefica preventiva. Cioè allontanare la tanto condannata speculazione, termine quanto mai fuorviante, in quanto indicherebbe un problema di natura esogena ai salutari meccanismi di mercato, invece di riconoscere che la speculazione finanziaria è l'altra faccia dell'economia di mercato, cioè quella che appare in tempi di recessione e in mancanza di alternative credibili per la ripresa. Quello che accomuna tutti gli entusiasti delle decisioni assunte sia dalla Commissione europea sia dalla Banca Centrale è un'adesione alle politiche economiche dell'evento, alla loro capacità di intervenire sugli umori di una finanza a metà tra il capriccioso e il superficiale. Fuori dal contesto generale e dai processi in atto nell'economia reale.

Determinare un prestatore di ultima istanza implicherebbe scongiurare la possibilità della bancarotta. Indubbiamente anche a questa decisione seguirà un periodo di relativa tranquillità. Spread in discesa e recupero delle borse, ma quanto alla sua efficacia nel medio periodo si tratta di comprendere i problemi in campo. Raffreddare i mercati finanziari consente di ricevere una boccata di ossigeno, ma pensare che si possa individuare la fine del tunnel, come fa avventurosamente Monti, significa considerare l'attuale crisi unicamente nella sua dimensione finanziaria e non sistemica. Implica rimuovere le profonde asimmetrie su cui si fonda l'Unione europea e non comprendere come la crisi nell'economia reale presto retroagirà su quella finanziaria, producendo un circolo vizioso senza vie d'uscita. Il capitalismo globale per uscire dalla sua crisi ha bisogno della crescita, è questa che manca, il ruolo stagnante delle economie occidentali, in specie quelle europee, determina persino un preoccupante rallentamento per l'economia globale.
Proviamo, però, a non considerare i problemi di ordine generale e le loro drammatiche ricadute sociali e fermiamoci a riflettere sulle recenti decisioni della Bce. Innanzitutto, per limitare le preoccupazioni dei presunti paesi virtuosi l'operatività della Bce sarà data a valle di un meccanismo di richiesta di aiuto che passerà prima per i Fondi europei salva Stati, con una procedura diautocertificazione delle difficoltà che rappresenta di per sé un pericolo di fronte ai mercati finanziari. Ogni governo sarà indotto a intraprendere questo percorso unicamente quando le condizioni saranno disperate. Per giunta ora la Bce inserisce anche la clausola del monitoraggio del Fmi aumentando di fatto i costi in termini di reputazione per un paese in crisi. Non è un caso che queste politiche economiche dell'evento abbiano come correlato il fatto che gli stessi Stati che hanno avanzato la richiesta di dispositivi anti-spread si prodighino in assicurazioni riguardo al fatto che non vi faranno ricorso. Come a dire: abbiamo bisogno che diate la vostra disponibilità ad aiutarci, ma non vi chiederemo mai di aiutarci sul serio. Ma la finanza è diventata così irrazionale agli occhi delle attuali classi dirigenti che basta così poco per indurla a più miti consigli oppure si muove sulla base di dati negativi difficilmente negabili? Perché, nonostante quasi un anno di governo Monti, il debito pubblico continua a crescere anziché perlomeno stabilizzarsi? È il contesto di fondo che fa scappare gli investitori dalla finanza pubblica italiana e dalla sua economia reale, non trame oscure nel segno del complotto. Qui poco riesce a fare la politica dell'evento. Inoltre la condizionalità dell'aiuto Bce sarà foriera da un lato di un continuo ed estenuante rimbalzo nelle responsabilità tra autorità bancarie centrali e nazionali e dall'altro di un accelerazione di quel processo di esautoramento della società dai processi decisionali democraticamente previsti.
La Bce dovrà pure utilizzare una sorta di compensatore per non immettere ulteriore liquidità e determinare un surriscaldamento dei prezzi. I titoli a rischio acquisiti dovranno essere, come si dice, sterilizzati mantenendo la medesima base monetaria. Per ora non è dato sapere come verrà soddisfatta tale condizione imposta dalla Bundesbank, ma il rischio è che si riduca la liquidità precedentemente immessa nel sistema. Tale scelta, in una fase di contrazione come quella attuale, rischia di essere pericolosa.
Infine l'acquisto limitato ai titoli di durata triennale nel mercato secondario, cioè tra quelli già emessi, indurrà a ridurre la vita dei titoli pubblici contribuendo all'indebolimento del debito pubblico. Infatti la durata media piuttosto lunga dei titoli italiani ha sempre rappresentato un fattore di solidità del nostro debito pubblico, fattore che potrebbe venire meno grazie a un periodo prolungato di maggiore appetibilità di titoli a breve scadenza.
Ma esiste un altro fattore che nessuno rileva è che rappresenta la chiave per interpretare il respiro corto dell'operazione Draghi. Si tratta di considerare infatti chi negli ultimi dodici mesi, in particolare dal 2012, anno con un'importante quantità di titoli da rinnovare, abbia prestato soldi al Tesoro italiano. Cioè come è stato possibile vendere titoli pubblici in questa fase di sfiducia e di scarsa liquidità? Esistono movimenti di capitali privati stranieri che vanno nelle due opposte direzioni,Goldmann Sachs riduce del 92% la propria esposizione in titoli italiani, passando dai 2.51 miliardi ai 191 milioni di euro, mentre il Fondo di George Soros scommette sul non fallimento dell'euro, e dunque dell'Italia, acquistando titoli italiani per un valore di 2 miliardi di euro. Ma questi dati non bastano a spiegare la capacità di rinnovo delle vendite del debito pubblico italiano.

Complessivamente i dati più recenti a nostra disposizione ci parlano di una fuga degli stranieri sostituiti da Bce e dalle banche italiane (grazie alla Bce). In soli dieci mesi, da maggio 2011, gli investitori stranieri hanno ritirato ben 143.360 miliardi (poco meno del 20% della loro esposizione) di cui 47.1 miliardi tra gennaio e aprile 2012. Dal 2010 all'aprile 2012 invece la quota di titoli detenuti dalle banche italiane è passata dal 41 al 46% del debito complessivo. Tale tendenza è stata indubbiamente agevolata dalle due operazioni straordinarie della Bce (Ltro - prestiti a tre anni al tasso dell'1 e poi dello 0.75%). Nel periodo tra gennaio 2011 e aprile 2012 c'è stato un incremento di bond in portafoglio per le banche di 87 miliardi. Banca d'Italia mostra come dei circa 130 miliardi (fino ad aprile) ricevuti dalla Bce quasi 100 miliardi siano stati impiegati per sostenere il finanziamento del debito italiano, sopperendo al quasi azzeramento delle sottoscrizioni estere. Persino gli investitori privati italiani crescono, probabilmente spaventati dalla volatilità di borse e sistemi assicurativi, passando dall'14.2 al 15.3% dei titoli quotati. Ma in questo periodo anche Banca d'Italia ha incrementato di 15.42 miliardi circa di bond in portafoglio. Infine ci sono gli acquisti effettuati dalla Bce attraverso il Smp (Securities Markets Programme), cioè un programma di acquisto di titoli sovrani dai contorni poco chiari (la Bce non è campione di trasparenza). Si ipotizza che la quota di debito italiano detenuta da Francoforte sia tra i 100 e i 110 miliardi. Ciò significherebbe che complessivamente l'eurosistema detiene tra il 5 e 6% del debito italiano quotato a cui va aggiunto il 5.7 di Banca d'Italia. Il primo dei due dati è andato consolidandosi rapidamente considerando che il SMP è entrato in funzione soltanto ad agosto del 2011.
Tutto ciò significa che da circa un anno la Bce acquista o favorisce l'acquisto di titoli di Stato italiani, con buona pace della Germania, senza essere riuscita a invertire la tendenza generale. É evidente che le recenti decisioni rappresentano un approfondimento di una politica già in atto che rafforza il ruolo della Banca centrale, una politica che mette al centro unicamente la dimensione finanziaria, ma da qui a pensare che questa possa essere l'asso nella manica per risolvere la crisi del debito sovrano e a ruota quella dell'economia nel suo complesso significa scambiare dei desideri con la realtà.

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