mercoledì 11 aprile 2012

Sanità veneta in camicia verde


Mentre si annuncia in diretta tv la pulizia interna alla Lega, nel Veneto di Tosi e Zaia si impennano i costi della sanità privata mentre si taglia quella pubblica. Un giochetto che è già sotto la lente della Corte dei Conti
Checchino Antonini
Certe volte l'informazione è strabica. Come la politica. La Lega è travolta in queste ore dallo scandalo. Zaia e Tosi si ergono a paladini del buon nome del Carroccio ma da quasi due anni qualcuno denuncia che la Lega Nord veneta arraffa (o consente di farlo ai suoi grandi elettori) un monte di milioni della sanità regionale. E tutto grazie a una delibera regionale, la 449 del 2006 firmata proprio dal governatore di oggi, allora vice di Galan e dal sindaco di Verona quand'era assessore alla sanità. Zaia e Tosi. Questa storia sbriciola ancora una volta il mito del buongoverno leghista.
Com’è possibile che in Veneto le cliniche private facciano meno ricoveri guadagnando molto di più? Questo si legge nei bilanci della sanità degli ultimi anni: ad esempio che un risparmio di 1.069.170 euro diventi un esborso di 5 milioni 15.270 euro. Questi numeri non sono mai stati smentiti. A fornirli è Guglielmo Brusco, assessore alla sanità in provincia di Rovigo. Due anni fa, in assoluta solitudine, il quotidiano Liberazione ha messo in prima pagina questa notizia. Globalist e ilmegafonoquotidiano la rilanciano ora mentre la Corte dei conti di Venezia, le Fiamme gialle e la Commissione parlamentare sul Ssn presieduta da Ignazio Marino hanno tutte le carte in mano.
Quella delibera è il meccanismo infernale che consente alla Sanità di diminuire le prestazioni come chiede Roma ma lievitando, per i privati, fino all’8% l’incremento finanziario e concedendo che il calo di allettamenti si tramuti in una crescita delle prestazioni ambulatoriali e specialistiche che sono schizzate a un milione nel 2008, quota incredibile con un bacino di utenti che sfiora le 170mila unità.

Prima di Tosi era comunque previsto un incremento finanziario del 2-3% e un aumento delle tariffe del 3-5%. Il concetto chiave è la “regressione tariffaria" quella parte eccedente il tetto di prestazioni annue che viene pagata a prezzi più bassi ma poi viene sommata al tetto e diventa il nuovo budget per l'anno a venire. Così il liquidato dell’anno verrà dato dal tetto previsto più la quota di regressione tariffaria. Ma c’è un altro trucco: la limitazione dei ricoveri si calcola solo sull’afflusso dalla provincia.
A guadagnarci sono i soliti nomi. E’ il nordest, bellezza. E i nomi spesso sono gli stessi di quando non si muoveva foglia da queste parti se De Michelis non voleva. Tutto comincia quando in Polesine un direttore della Asl, la 18, scopre il peso sul bilancio di "alcune scelte programmatiche regionali" come "l’importante rilievo concesso ai privati preaccreditati" che lo costringeva a sborsare, nel 2010, 23 milioni di euro per le degenze in quelle strutture private e altri 18 per le prestazioni specialistiche. A far fronte con le proprie risorse a tali prestazioni la Asl 18 (due terzi del rodigino) avrebbe risparmiato il 35%: 14 milioni di euro.
Con tutto quel ben di dio si potevano assumere almeno 300 persone in una macchina della sanità pubblica depressa dall’eccesso di privatismo leghista. "E se qualcosa di analogo è capitato anche nelle altre province a quanto ammonta il fatturato delle cliniche private?", si chiede Brusco. Facciamo una proiezione: se è vero un risparmio di 14 milioni di euro in una Asl con una popolazione pari al 4% del Veneto in quelle casseforti potrebbero finire tra i 250 e i 350 milioni euro. Ogni anno.
E' la storia scritta dagli ultimi quattro assessori alla Sanità. Tutti leghisti e tutti veronesi. Il più famoso a sud del Po è l’attuale sindaco scaligero, Tosi, famoso per una condanna per propaganda razzista. A Verona, coincidenza spettacolare, c’è Puntin Giuseppe, boss della sanità privata nordestina, già menzionato nelle cronache della sanitopoli veneta del 2006 per una presunta tangente a un dirigente regionale (il dirigente dice che era solo un prestito). Le malelingue dicono che sarebbe lui il vero assessore. Il suo nome compare nelle partecipazioni di due delle tre strutture private polesane.
Un fatto reale è che in otto anni il fatturato dei ricoveri in cliniche private del Polesine è cresciuto del 132% nella Asl 18 e dell’81% nella 19. E le fatture per le visite ambulatoriali sono lievitate del 350% nella prima e del 130% nell’altra. Il dato combinato provinciale è del 133% di aumento. Negli ultimi 15 anni, nel pubblico s’è dimezzato il numero degli ospedali, ora sono 3; i posti letto sono scesi da 1700 a 800 e in pianta organica mancano 215 operatori. Ma come, non si doveva produrre ogni sforzo verso il contenimento dei costi? "Tutto ciò è successo proprio grazie ai meccanismi di recupero della cosiddetta regressione tariffaria e dell’incremento finanziario", dice sempre Brusco.
Negli ultimi tempi non è cambiato granché: la sanità privata veneta avrebbe goduto di un'altra imprevista regalìa: una pioggia di 8 milioni e mezzo di soldi pubblici caduta per ben due volte (ed è questa la stranezza maggiore) su quelle cliniche sotto forma di adeguamento all'inflazione reale.

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