sabato 14 aprile 2012

"Nè con la polizia né con Agnoletto"


Il produttore del film "Diaz", Domenico Procacci, risponde, sulle pagine del Fatto quotidiano, all'ex portavoce del Genoa Social Forum. Che ribatte: "Ma io sto con i fatti"
Sul Fatto quotidiano, il produttore di "Diaz", Domenica Procacci rispondeall'articolo di Vittorio Agnoletto sul film in questi giorni nelle sale. Sotto la risposta di Agnoletto, sul Fatto quotidiano del 14 aprile.

di Malcom Pagani, da il Fatto quotidiano, 12 aprile 2012

"Quindi mi faccia capire. Da un lato la Polizia mi attacca sostenendo che ho prodotto un film teso a criminalizzarla. Dall’altro Agnoletto scrive che Diaz è stato fatto in collaborazione con il capo della Polizia e lo legge come un gigantesco depistaggio utile a occultare le responsabilità dei vertici della stessa. Gran risultato, no?”.

Il dubbio di Domenico Procacci veleggia nei territori dell’ironia. Biliardini e supereroi alle pareti. Quadri e tartarughe. Foto di Ligabue, libri e dvd di Moretti e Garrone. La Gomorra delle divise nella Genova del 2001 girata da Daniele Vicari, uno degli 80 film inventati in un quarto di secolo da questo barese di 52 anni che continua a vestire in jeans, indossare l’orecchino, dividersi tra conseguenze dell’amore, investiture papali e pagine di storia, non ha lasciato indifferenti. Elogi e critiche. Premi e insinuazioni. Le ultime, quelle dell’ex parlamentare Vittorio Agnoletto ospitate dal manifesto in prima pagina.
Procacci, Agnoletto urla. Per lui Diaz è solo una trovata commerciale.
Far conoscere la vicenda a chi non l’ha vissuta non è una macchia, ma un obiettivo.

Ha letto il suo articolo?
Agnoletto si sente depositario di una verità assoluta, come accade a chi ha vissuto in prima persona dei fatti così gravi. È una posizione che comprendo, ma le motivazioni del suo “attacco” sono a dir poco fantasiose. Pare che l’unico modo di capire cosa è successo a Genova sia leggere il suo libro. Naturalmente, tra le righe, non dimentica di citarlo.

Non si capiscono le responsabilità politiche, sostiene.
È vero. Molti punti di domanda vengono lasciati volutamente irrisolti. Ci siamo limitati a raccontare i fatti. Penso siano abbastanza forti. Addentrarci nelle interpretazioni e nelle teorie parapolitiche avrebbe significato fare un altro film.

Quindi l’articolo non le è piaciuto.
È scritto in totale malafede.

Intanto la censura ha deciso di non vietare Diaz.
È giusto perché racconta le violenze, ma non le esibisce. Descrive gli abusi, ma non li ostenta. È la percezione di chi lo vede a rendere più forti le immagini. Ad amplificarne l’effetto.

Perché ha finanziato Diaz?
Al principio io e Vicari eravamo spaventati dal rischio dell’oblio. Col tempo ho capito che Diaz è molto più attuale di quanto non pensassi. I meccanismi tendono a ripetersi e oggi come ieri, nell’assenza della politica, la dialettica tra movimenti e istituzioni è lasciata nelle sole mani della Polizia.

È sbagliato?
Certe dinamiche dovrebbero essere risolte altrove. La polizia e l’esercito hanno lo strumento repressivo e lo adottano. Se devono espropriare o confiscare non discutono, avanzano. Ieri a Genova. Oggi in Val di Susa.

Ma non chiedono scusa.
Privatamente, i poliziotti che abbiamo incontrato prima e dopo, hanno parlato di errori commessi. Ma l’ammissione non è mai stata fatta pubblicamente e dirsi colpevoli senza chiedere scusa, è una relativizzazione un po’ deludente.

Per il sindacalista Maccari il film è falso, inutile e pericoloso
Siamo sicuri che se avessimo mostrato l’immobilità della Polizia davanti ai black-bloc l’onore delle forze dell’ordine ne sarebbe uscito rafforzato?

È innegabile che la Polizia usò le maniere forti. Perché?
Lo spiegò in tribunale Ansoino Andreassi, il capo delle operazioni improvvisamente sollevato dall’incarico nel-l’ultimo giorno del G8. C’era la necessità di controbilanciare con arresti e interventi il caos sfuggito di mano. Ma davanti agli abusi della Diaz o di Bolzaneto non c’è bilancia che tenga. E a essere onesti, non mi sembra un grande argomento. Non solo non avete fermato i vandali, ma avete massacrato 93 persone che non c’entravano nulla e torturato 200 individui rastrellati a caso per le strade.

Duro.
Sa come la chiamavano tra loro i poliziotti accorsi alla Diaz? La notte del volontario. Tutti quelli che venivano a sapere dell’azione si aggregavano, portandosi i personali “ferri” del mestiere.

Dei 300 agenti presenti nella scuola si riuscì a identificarne appena 29.
E solo perché segnalati con nomi e cognomi sugli ordini di servizio. Ma qualcosa, in seguito, è successo. Hanno smantellato il VII nucleo e istituito una scuola superiore di Polizia. Promesso che nulla del genere sarebbe più accaduto.

Basta?
No. Serve una vera assunzione di responsabilità da parte dei vertici che a oggi non è ancora arrivata. Si può fare di più. L’uso di un codice identificativo, presente sulle divise delle polizie di mezzo mondo. Oppure, finalmente, introdurre nel codice penale il reato di tortura come previsto da una convenzione Onu del 1984 alla quale l’Italia aderì.

Invece?
Nell’ambiguità rimane un angolo in ombra e l’acre sensazione di un omertoso monolite che fa muro.

Lo spirito di corpo si disse.
Quando è più forte del senso dello Stato c’è qualcosa che non va.

Lei fece avere il copione di Diaz al Capo della Polizia Manganelli.
Volevo che non si pensasse che stessimo facendo questo film di nascosto. Non ho mai saputo se l’abbia letto, ma mostrarglielo non tendeva certo a un’approvazione preventiva. Ora mi auguro che lo veda il ministro Cancellieri. Sarebbe importante.

Il 15 maggio Diaz approderà al Parlamento europeo. Basta un’opera di finzione per sensibilizzare.
Un film è solo un film. Qui c’è anche qualcos’altro, di più importante. Qui parliamo di noi. Di come difendere la nostra democrazia che in certi momenti dimostra tutta la sua fragilità.

"Caro Procacci, io sto con i fatti"
di Vittorio Agnoletto, dal Fatto quotidiano del 14 aprile

Caro Procacci, io sto con i fatti Su il Fatto Quotidiano Domenico Procacci, produttore del film Diaz, ha affermato: “Né con la polizia, né con Agnoletto”. Le vicende legate alla Diaz non sono una partita di calcio. Sono un fatto ormai ampiamente documentato, dove ci sono state delle vittime e dei carnefici, dove c’è stato chi è rimasto invalido e chi ha dato ordine di massacrare le persone. C’è una verità storica ricostruita grazie al lavoro di magistrati che non hanno guardato in faccia a nessuno. Chi pretende di mantenere l’equidistanza sulla vicenda Diaz tra le vittime e i vertici della polizia si commenta da solo. Procacci afferma: “Abbiamo raccontato i fatti senza teorie parapolitiche”. Nessuna teoria, si trattava semplicemente di raccontare la verità, non uno spezzatino di verità. Non una parola sul ruolo dei politici coinvolti nei fatti di Genova: nulla su Fini, niente su Scajola, nulla su Castelli che la notte del 21 luglio visitò Bolzaneto e dichiarò di non essersi accorto di niente, nulla su Berlusconi. La politica sembra non aver avuto alcuna responsabilità. Ma perché Procacci non entra nel merito delle mie e altrui osservazioni? Ad esempio Enrico Zucca, pubblico ministero al processo Diaz, in un’intervista rilasciata, ad Altreconomia, ricorda la forte rimozione attuata dalla politica e dalle istituzioni sulle responsabilità di quei giorni e afferma: “Il film cautamente si adegua e non solo, in alcuni passi ricostruttivi sceglie la versione degli imputati (i poliziotti, nda) rispetto a quella contrastante delle vittime”. Perché il film ignora i nomi degli altissimi gradi della polizia condannati per aver organizzato e gestito l’assalto alla scuola? Perché sembra voler scaricare (esattamente come tentarono di fare gli imputati nel processo) tutte le responsabilità sul dirigente arrivato da Roma (La Barbera) l’unico deceduto anni fa per malattia? Perché anziché trasformare in un eroe amletico uno dei funzionari che parteciparono alla spedizione alla Diaz non dice invece una parola sulle figure positive che esistono nelle istituzioni dello Stato e che pagarono pesantemente la loro fedeltà alla Costituzione? Ad esempio i due infermieri che per aver denunciato le torture di Bolzaneto hanno dovuto abbandonare l’amministrazione penitenziaria, o il vicecapo della polizia Andreassi che, per aver scelto di non partecipare all’operazione della Diaz, ha avuto la carriera stroncata. Tutti fatti, questi sì, ampiamente documentati. Mi pare veramente una furbizia di piccolo cabotaggio inneggiare in ogni intervista alla Val Susa per cercare simpatie a sinistra. Lascino perdere, oltretutto non è che li abbiamo visti molto spesso da quelle parti. Piuttosto Procacci o Vicari, professionisti affermati, rispondano nel merito. Anche perché potrebbe sorgere il dubbio che le omissioni, tutte a senso unico, possano essere poste in relazione alla scelta del produttore di consegnare la sceneggiatura al capo della polizia Manganelli prima di girare il film. Manganelli, quello che stando a quanto affermato dall’ex questore Colucci, in una telefonata intercettata durante l’inchiesta, avrebbe detto: “Dobbiamo dargli una bella botta a ’sto magistrato”, riferendosi al pm Zucca. Ho già detto che, considerata la drammatica situazione in cui versa l’informazione nel nostro Paese, ritengo il film sia comunque un contributo contro l’oblio, contro la cancellazione di quei fatti. Ma ribadisco anche che ci troviamo di fronte a un film commerciale, costruito con astuzia, che riesce a essere molto attento e rispettoso delle compatibilità politiche e degli attuali rapporti di forza negli apparati, senza pestare i piedi a nessuno, e nello stesso tempo capace di presentarsi come paladino dei diritti e solidale con le vittime.

Nessun commento: