martedì 17 aprile 2012

Riflessioni scomode sulla strage di Brescia


La verità non emerge ancora. Ma già nel 1973-'74 fu bloccata dall'azione di contenimento delle lotte messa in atto dal Pci per sostenere la strategia del compromesso storico con la Democrazia Cristiana
Felice Mometti
Sono passati 38 anni dalla strage di piazza della Loggia a Brescia e la sentenza della Corte di Appello, di alcuni giorni fa, in cui vengono assolti tutti per insufficienza di prove, ha suscitato l'ennesimo scandalo e la solita indignazione bipartisan che dureranno qualche settimana. In una inchiesta svolta qualche anno fa i risultati delle interviste di giovani ventenni bresciani mostravano come fosse diffusa la convinzione che la strage fosse stata fatta dalle Brigate Rosse. E il timore che in un'inchiesta analoga fosse ripetuta oggi i risultati sarebbero ancor più preoccupanti non è per nulla infondato. Com'è avvenuto questo rovesciamento della memoria, delle colpe e delle responsabilità?
Certo, hanno pesato e pesano tutt'oggi i depistaggi, le coperture, le ricostruzioni interessante, le illusioni sulle verità giudiziarie e la potenza politica e mediatica di quel intreccio tra neofascismo, apparati dello stato e servizi segreti della Nato, l'ambiente dove matura - e messa in pratica- l'idea di fare una strage durante una manifestazione sindacale per stabilizzare la situazione politica.

Ma la sensazione che tutto questo non sia sufficiente a spiegare la mancata individuazione dei colpevoli è molto forte. Bisognerebbe rileggere gli avvenimenti tra la fine del 1973 e i prime mesi del 1974 a Brescia e a livello nazionale con gli occhi sgombri dalle mitologie e dalle retoriche. Alcuni mesi dopo la strage, a Brescia e non solo, c'erano già coloro che non avevano alcuna fiducia che lo Stato perseguisse i responsabili. Detto oggi sembra quasi un'operazione archeologica invitare a leggere gli articoli del maggio-giugno 1974 comparsi su giornali come il Manifesto e Lotta Continua, ma forse alcune idee sarebbero più chiare. Alla fine del 1973 il Partito Comunista, dopo il golpe in Cile, promuove la politica del compromesso storico con la Democrazia Cristiana, l'ondata delle mobilitazioni iniziate nel '68/'69 mostra il passo di fronte alle politiche governative e la crisi economica esplode a livello internazionale. Quale momento migliore per bloccare un movimento sociale molto radicale e articolato come quello italiano con una strage tutta politica con lo scopo di infondere paura ai soggetti che sono i promotori di una profonda trasformazione della società ? Una strage per creare le condizioni di una svolta politica.
A Brescia la verità sulla strage è sfumata nel giro di qualche settimana anche a causa della forte azione di contenimento della rabbia sociale ad opera del Partito Comunista e della Camera del Lavoro. La duplice operazione di depotenziare e incanalare istituzionalmente la mobilitazione popolare da una parte, e di rilegittimare la parte "migliore" della Democrazia Cristiana dall'altra, riesce nell'arco di un paio di settimane. La rappresentazione plastica di tutto ciò si può già ritrovare nell'immagine dei funerali delle vittime delle strage alcuni giorni dopo. Un imponente servizio d'ordine "sindacale" nega l'accesso a p.zza della Loggia, dove si svolgono i funerali, a migliaia di giovani delle organizzazioni e associazioni della sinistra radicale, garantendolo invece alla delegazione della Democrazia Cristiana con tanto di bandiere. Un piccolo episodio certo, ma dalla grande valenza simbolica che anticipa la strategia dei giorni successivi: disinnescare un movimento popolareche può travalicare gli assetti politici e istituzionali. La giustizia e la verità vengono sconfitte in quei giorni impedendo la possibilità che le mobilitazioni si trasformassero in ipotesi concrete di cambiamento. Quello che avviene dopo, dalla mancata costituzione di parte civile del Comune di Brescia fin dal primo processo alle incredibili non risposte da parte del Ministro dell'Interno,Napolitano, alla richiesta di apertura degli archivi dei servizi segreti durante il primo governo Prodi a metà degli anni '90, si possono derubricare come contorno, come corollario.
Dire che le verità storiche e la verità processuali non coincidono mai si corre il rischio di affermare una banalità. Come se una supposta verità storica avesse una capacità performativa maggiore e fosse condivisa rispetto a una verità processuale. La memoria, questo tipo di memoria, non è trasmissibile con i racconti, con le udienze giudiziarie, con le iniziative retoriche, si può ricostruire solo avendo la capacità di essere all'altezza delle mobilitazioni e delle riflessioni dei tempi odierni, di guardare alla storia con gli occhiali del presente.

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