venerdì 6 aprile 2012

Il risultato di Bersani: l'articolo 18 viene modificato

Alla fine il governo reintroduce una forma di reintegro che "può" essere deciso dal giudice ma solo in casi di "manifesta insussistenza" del licenziamento. Il Pd riesce a fare quello che non riuscì a Berlusconi
Salvatore Cannavò
Il Pd incassa il risultato della sua mediazione sull'articolo 18. Bersani infatti, riferendosi alla versione finale del disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro parla di "passo avanti importantissimo di cui la Cgil deve prendere atto". In questo modo il Pd cerca di oscurare la sostanza del problema: l'articolo 18 salta nei suoi fondamentali e questo grazie proprio al Partito democratico.

Nel puro gioco politico l'operazione andata in onda con il vertice notturno, e oggi registrata nel dispositivo di legge, è una concessione che Mario Monti fa al lato sinistro della sua maggioranza: Bersani ha battuto molto nei giorni scorsi sull'importazione del modello tedesco per i licenziamenti individuali e il presidente del Consiglio ha concesso una modifica. Ma si tratta di una modifica parzialissima relativa alla "manifesta insussistenza" del licenziamento economico in presenza della quale il giudice "può" decidere il reintegro sul posto di lavoro. Altrimenti scatta l'indennizzo che, a differenza delle prime ipotesi, scende in una forchetta tra 12 e 24 mensilità. Quindi, non si tratta del "modello tedesco", la determinazione del giudice scatta solo in presenza della "manifesta infondatezza" che va vagliata e verificata. Ma il problema non è nemmeno questo, perché quello che succede quando questa riforma sarà approvata dal Parlamento è che i lavoratori avranno meno diritti di prima. E non c'è nessuna compensazione, nel caso questa fosse accettabile, a giustificare il taglio di quei diritti. Anzi.
L'apprendistato viene ulteriormente peggiorato con la possibilità per le imprese di assumere 3 apprendisti ogni due lavoratori regolari - chi farà formazione al terzo? - al primo contratto a tempo determinato viene eliminato, per 12 mesi, il "causalone", cioè la determinazione esatta delle motivazioni con cui il contratto viene attivato necessaria per ottenere l'autorizzazione. Nessun forma contrattuale flessibile viene eliminata mentre per i nuovi ammortizzatori sociali vengono stanziati 1,8 miliardi nell'arco di attuazione della riforma stessa. Se non fosse un attacco ai diritti sarebbe una presa in giro. Tra l'altro neanche ben presentata. Il ministro Fornero ha parlato per ben 50 minuti in conferenza stampa per dire poco o niente e ripetere ossessivamente che l'obiettivo del governo è creare nuova occupazione. Poi, però, a precisa domanda ha risposto che non è stata allestita alcuna stima sull'impatto possibile sulla disoccupazione. Così come ha rivelato il vero obiettivo di tutto questo lavoro quando, rivolgendosi alle imprese, ha detto loro: "Con la riforma dei licenziamenti, ora non avete più alibi per non investire". Le imprese troveranno altri alibi ma intanto i licenziamenti vengono ritoccati. E spunta anche un capitolo nuovo, una ulteriore riforma della pubblica amministrazione che sarà realizzata tramite una legge-delega del ministro Patroni Griffi. I peggioramenti rispetto al progetto di riforma iniziale, già non esaltante, sono del resto la compensazione per le concessioni fatte al Pd.
Mentre scriviamo non c'è ancora la reazione della Cgil segno di un'incertezza che risente della posizione del Pd. Anche la Fiom è in silenzio mentre la Cisl parla di "soluzione ragionevole" e la Uil saluta come una "buona notizia" l'incontro di maggioranza di ieri notte.

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