domenica 1 gennaio 2012

Napolitano, la tradizione comunista


La linea politica realizzata oggi dal Presidente della Repubblica, in piena continuità con la Svolta di Salerno e il Compromesso storico
Sa. Can.
Del discorso di Giorgio Napolitano, a detta di tutti il più importante della sua presidenza, vale la pena sottolineare questo passaggio (il testo integrale suwww.globalist.it)
“Mi si consenta una piccola digressione personale : vengo da una lontana, lunga esperienza politica concepita e vissuta nella vicinanza al mondo del lavoro, nella partecipazione alle sue vicende e ai suoi travagli. Mi sono formato, da giovane, nel rapporto diretto, personale con la realtà delle fabbriche della mia Napoli, con quegli operai e lavoratori. E' un sentimento e un'emozione che ho visto rinnovarsi in me ogni volta che ho visitato da Presidente una fabbrica, incontrandone le maestranze. Comprendo dunque, e sento molto, in questo momento, le difficoltà di chi lavora e di chi rischia di perdere il lavoro, come quelle di chi ha concluso o sta per concludere la sua vita lavorativa mentre sono in via di attuazione o si discutono ancora modifiche del sistema pensionistico. Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell'Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale.

Non è stato forse così negli anni della ricostruzione industriale, dopo la liberazione del paese? Non è stato forse così in quel terribile 1977, quando c'era da debellare un'inflazione che galoppava oltre il 20 per cento e da sconfiggere l'attacco criminale quotidiano e l'insidia politica del terrorismo brigatista?

Guardiamo dunque con questa consapevolezza alle grandi prove che abbiamo davanti : come superare i rischi più gravi di crisi finanziaria per il nostro paese, e come reagire alle minacce incombenti di recessione. L'Italia può e deve farcela”.
E’ l’inveramento cristallino della “migliore” tradizione comunista italiana, quella vera, quella di Togliatti e Berlinguer. Quella cioè della responsabilità nazionale. Non è un caso che Napolitano citi i due passaggi chiave della storia del Pci, l’unità nazionale dal 1945 al 1947 e poi il “compromesso storico” collocato nel 1977 anche se Berlinguer lo teorizzò nel 1973. Si tratta di un’idea di fondo che ha contraddistinto la vicenda politica del gruppo dirigente Pci e dato ritmo alle sue prestazioni più rilevanti nella politica italiana quelle che lo hanno visto accedere al governo o nella sua area. Anche il governo Ciampi del 1993 nasce in questo solco e, paradossalmente, solo l’Ulivo di Romano Prodi ha costretto quel mondo a definire un orientamento chiaramente bipolare e alternativista per quanto moderato.

Oggi Napolitano ripristina quella tradizione “compromissoria”, responsabile, improntata al “benessere della Nazione” più che alla difesa degli interessi di coloro che si affidano, e si sono affidati, a quel partito nelle sue varie mutazioni storiche. La nettezza con cui spiega ai lavoratori che occorre fare i sacrifici per il bene e il futuro dell'Italia - poco importa se quel benessere futuro non ci sarà e se al momento i grandi favori di Monti vanno alle imprese e alle banche - riepiloga un impegno duraturo per comprimere proprio diritti e acquisizioni del movimento operaio. E così la tradizione comunista maggioritaria - affermata da Palmiro Togliatti e dal suo "partito nuovo" - si fa pienamente Stato nella gestione dell’attuale presidente della Repubblica punto culminante di quell'ispirazione che segna, finalmente, dopo decenni e decenni di battaglie politiche, lo spirito nazionale. Con buona pace di D’Alema, Veltroni e di Pierluigi Bersani che d’ora in avanti dovrà riprogettare tutto.

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