domenica 31 marzo 2013

Il “doppio pacco” di Napolitano


Crisi-di-governo-napolitano-italia (1)Piero Maestri – da  ilmegafonoquotidiano.it
L’esperimento istituzionale che propone il Presidente della Repubblica, è in perfetta sintonia con il cosiddetto “two pack”, la parte finale del nuovo regolamento di stabilità economica che assegna alla Commissione europea la possibilità di pronunciarsi sui bilanci nazionali della zona euro.
La crisi di governabilità e di credibilità dell’intero sistema politico italiano ha prodotto l’ennesima invenzione creativa della politica nostrana: un presidenzialismo incostituzionale coadiuvato da una bicamerale extraparlamentare.
Il presidente Napolitano ha ancora una volta chiarito quale sia il fondamento ultimo della politica del nostro paese, rappresentato dagli interessi e dalla volontà dell’Unione europea – o meglio del capitale europeo e dalle sue istituzioni, Bce e Commissione Europea.
E’ in questo senso molto chiaro il riferimento a questa «costituzione materiale» secondo il presidente, quando dichiara che «Non può sfuggire agli italiani e all’opinione internazionale che un elemento di concreta certezza nell’attuale situazione del nostro paese è rappresentato dalla operatività del governo tuttora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento: esso ha annunciato e sta per adottare provvedimenti urgenti per l’economia,d’intesa con le istituzioni europee e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della Commissione speciale presieduta dall’on. Giorgetti» (corsivo nostro).

Un esperimento istituzionale in perfetta sintonia con il cosiddetto“two pack” ovvero la parte finale del nuovo regolamento di stabilità economica che assegna alla Commissione europea la possibilità di pronunciarsi sui bilanci nazionali dei 17 Paesi della zona euro (a partire dal 2014) ed eventualmente di porre il veto (fino ad oggi poteva esprimere solo raccomandazioni). È il “doppio pacco” di Napolitano:dogma europeo e oligarchia italica.
Si chiude così in maniera ingloriosa il tentativo del segretario del PD Bersani, che ha tentato di presentarsi come uomo del cambiamento per ottenere dal Movimento 5 stelle un credito e una fiducia che non si capisce perché avrebbe dovuto ricevere. Certamente gli «8 punti» votati dalla Direzione Nazionale del PD rappresentavano un tentativo di presentare una proposta non troppo segnata dalle politiche di austerità che hanno caratterizzato il governo Monti (votate anche dallo stesso Bersani e dal PD, ovviamente), strizzando l’occhio al M5S riguardo ai provvedimenti per ridurre i costi della politica. Si trattava in ogni caso di una proposta impraticabile, perché ancora una volta rivolta all’Europa alla quale chiedeva una minore pressione per permettere qualche misura di welfare, senza minimamente toccare i profitti di chi in questi anni ha provocato la crisi e guadagnato sulla stessa, grazie anche ai provvedimenti voluti dal governo Monti-Napolitano, sostenuto da PD e PDL.
Gli «8 punti» erano l’estremo tentativo di Bersani di evitare una completa disfatta della sua strategia – nello stesso tempo cercando di gettare sul M5S la responsabilità del suo fallimento.
Vogliamo essere chiari: il comportamento politico e istituzionale del M5S e soprattutto della coppia Casaleggio-Grillo è spesso poco comprensibile e molto poco capace di approfittare delle contraddizioni degli alti gruppi per provare a incassare provvedimenti che segnino una discontinuità. Allo stesso tempo rimangono confuse e spesso inaccettabili alcune proposte sul piano economico e politico. Resta il fatto che ad un movimento che ha avuto un enorme successo sulla base della sua estraneità al «sistema» rappresentato dai partiti del governo Monti non si può chiedere di cambiare improvvisamente la sua identità e caratteristica strategica per sostenere una parte di quegli stessi partiti.
La conclusione provvisoria della crisi politico-istituzionale post-elettorale consegna quindi la «soluzione» nelle mani di uno dei principali responsabili delle politiche antipopolari e di austerità, cioè il presidente Napolitano colui che – insieme a Bersani – ha voluto evitare il passaggio elettorale dopo la caduta del governo Berlusconi, con una strategia che ha lentamente eroso i consensi dello stesso PD e permesso a Berlusconi di riprendere quota alle scorse elezioni.
In tutto questo la sinistra si limita a stare a guardare, incapace di rimettere in discussione la sua inefficacia e i suoi strumenti di intervento politico-sociali che sono stati messi all’angolo sul piano elettorale e prima ancora politico. Patetico in questo senso il manifesto del Prc secondo cui «loro» (Bersani, Monti, Alfano e Grillo) giocano a risiko mentre il paese va a rotoli: è la sinistra che gioca a «rosico», invidiosa del successo del M5S e incapace di definire una politica di rilancio che non sia semplicemente la critica ai limiti altrui – sperando in elezioni a breve nella speranza di rientrare in gioco, imputando al «destino cinico e baro» il fallimento elettorale e non alla strategia degli ultimi 10 anni.
Ancora una volta l’unica risposta possibile per la costruzione di una sinistra nuova risiede nella conflittualità sociale, nelle manifestazioni di una protesta sociale e territoriale che non si placa (come ha mostrato il corteo in Val di Susa dello scorso 23 marzo), nelle iniziative di contestazione della trappola del debito e per una nuova finanza pubblica e per la difesa dei beni comuni, contro le privatizzazioni volute dalla troika e accettate dai «partiti di governo» anche in Italia.

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