mercoledì 20 marzo 2013

L’eclisse della Cgil


di Andrea Martini

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Nel confuso teatro dello scontro politico italiano di queste settimane pare clamorosamente uscito di scena un attore di non secondaria importanza, e cioè il sindacato confederale. E, per quello che può più interessare la sinistra, il desaparecidoprincipale è proprio la Cgil di Susanna Camusso.

La Cisl, dopo il plateale appoggio di Bonanni alla lista Monti e al suo progetto centrista e la evidente delusione per i risultati dell’operazione, è ora tutta protesa verso il sostegno all’ipotesi di un governo “di larghe intese”, cioè ad un gabinetto che prosegua, nei contenuti e perfino nelle forme, il lavoro del governo dei “tecnici”. E dietro questa posizione la Cisl avanza una proposta di revisione organica della seconda parte della Costituzione al fine di un riequilibrio, riorganizzazione e bilanciamento dei poteri dello stato che non può che sottendere una controriforma istituzionale in direzione presidenzialista o comunque autoritaria.

Ma la Cgil? L’ultimo (e unico) comunicato stampa emesso dalla segreteria confederale dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio auspica la formazione di un governo che produca “cambiamento, una nuova legge elettorale, la riduzione dei costi della politica e (anche qui) la riforma degli assetti istituzionali”, che affronti “le emergenze sociali e del lavoro con giustizia redistributiva” e che adotti “una politica economica per lo sviluppo”. Come si vede, fin qui auspici generici e molto scontati, che, naturalmente, potevano essere fatti identici anche prima del voto. Il voto, appunto, per la segreteria Cgil “boccia le politiche di rigore e austerità che hanno aggravato la crisi sociale e indica la necessità di un forte rinnovamento della politica e delle istituzioni in direzione del cambiamento”. La Cgil infine si pronuncia contro soluzioni di governo “tecnico-istituzionali o di grande coalizione”.
E, dunque, niente di nuovo, la confederazione di Susanna Camusso rimuove il fatto che con la “bocciatura delle politiche di rigore” è stata anche respinta dall’elettorato la soluzione auspicata e sostenuta ai limiti della legittimità statutaria, quella cioè di un governo Bersani-Vendola possibilmente maggioritario sia alla Camera che al Senato. E continua a sostenere Bersani nella sua nuova ipotesi, quella cioè di una qualche alleanza tra PD-SEL e il M5S o, come nel caso dell’elezione del presidente di Palazzo Madama, una parte di esso.
A questo fine è anche stato evitato ogni commento polemico, o anche solo critico, nei confronti di alcune posizioni discutibili di Beppe Grillo, come quelle in tema di lavoratori pubblici e pensioni, o, quella ancor più diretta di fine gennaio, contro i sindacati confederali descritti come “un baraccone, interlocutore privilegiato dei governi che hanno massacrato la dignità, la sicurezza, i diritti sociali, la salute”. In realtà le accuse di Grillo coglievano sul vivo le complicità e le passività di Cgil, Cisl e Uil, ma non è certo per questo che Corso d’Italia non ha intavolato una polemica con Grillo e il suo M5S.
E non si tratta solo di non voler creare ulteriori problemi all’amico Bersani. Si tratta, soprattutto, di una sorta di complesso di colpa come di chi sa che le accuse di Grillo e del suo movimento, seppure formulate in un linguaggio che rasenta il qualunquismo, toccano nel vivo i punti dolenti di un corpo paralizzato e incapace di reazione, proprio nel cuore di una crisi economica socialmente devastante e di un attacco padronale restauratore.
Non a caso, infatti, nell’apparato Cgil non si nega una analisi pesante: non solo il M5S è la lista più votata dagli operai, dai precari e, perfino dagli impiegati (tranne quelli pubblici, sembra dagli studi dei flussi elettorali), ma pare che sia anche la lista più votata dal corpo più ristretto ma anche più politicamente selezionato delle/degli iscritte/i alla Cgil.
Sta di fatto che la confederazione, con il voto di fine febbraio, ha visto fallire il disegno su cui aveva puntato tutte le sue carte, costruendo perfino una “conferenza di programma” tutta volta al sostegno e all’interlocuzione con un governo ipotetico Bersani-Vendola che si è rivelato impraticabile dopo il voto. Oggi, dunque, manca ogni idea per una linea di ricambio e, ancor più, per una linea che tenti, con la determinazione necessaria, di affrontare i veri nodi accumulatisi in questi anni di sconfitte.
Sembra completamente tramontato l’ambizioso “piano del lavoro” varato a fine gennaio con una costosa e impegnativa assemblea di con migliaia di quadri al Palasport dell’Eur a Roma, un’assemblea dai contorni e dalle finalità totalmente elettoralistiche e propagandistiche.
Continua, anche se è abilmente mascherato nei dati ufficiali, il fenomeno della perdita di iscritti, dovuto alla crisi recessiva e alla perdita di posti di lavoro, ma anche ad un lavoro di sindacalizzazione nelle aziende sempre più rischioso per quanto sempre più impotente e ininfluente sulle condizioni dei lavoratori. La cancellazione dell’articolo 18 andrà a moltiplicare questo fenomeno.
L’aumento, perlomeno dichiarato, degli iscritti attraverso i servizi (vertenze legali, patronato, caaf, ecc.) è ben lungi dal compensare la contrazione di quelli frutto del proselitismo nei posti di lavoro.
Si aggravano le difficoltà economiche della confederazione e di tutte le sue strutture, categoriali e territoriali, oppresse da un gigantismo burocratico ormai fuori tempo. Difficoltà economiche che spingono i gruppi dirigenti a operare tagli significativi negli apparati ma che nessuno spera di coprire con un rilancio dell’attività militante e volontaria. Il tutto con la consapevolezza che la “spending review” ma anche la necessità di soddisfare un desiderio di moralizzazione nella gestione dei soldi pubblici evidenziatosi con forza nel voto porteranno a ulteriori tagli nelle prebende su cui in passato si erano alimentate le rendite di posizione dei sindacati confederali (distacchi pubblici retribuiti, contributi ai patronati, ai caaf, ecc.).
E’ veramente scandaloso che questa eclisse perfino della voce, per non parlare dell’iniziativa dei sindacati confederali e della stessa Cgil si collochi nel bel mezzo di una situazione socialmente drammatica e in via di peggioramento. Non solo perché in Italia è in azione il “pilota automatico” evocato da Mario Draghi, il presidente della BCE, in una recente intervista, cioè il proseguimento, anche senza un nuovo governo regolamente insediato, dei tagli e delle controriforme messe in moto da Monti e dai “tecnici”. Soprattutto perché la crisi prosegue nella distruzione di posti di lavoro (la Cassa integrazione è cresciuta a febbraio 2013 del 22,71% rispetto al febbraio dello scorso anno) e nella destrutturazione della poca residua forza sindacale presente nelle fabbriche e nelle aziende.
Andrea Martini

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