mercoledì 13 marzo 2013

Togliamo i soldi ai partiti, diamoli alla democrazia


Togliamo i soldi ai partiti, diamoli alla democrazia

Giulio Calella
Nel dibattito sul finanziamento pubblico ai partiti sbagliano sia Bersani che Renzi, ma anche lo stesso Grillo. Andrebbe abolito non solo quello pubblico ma anche quello privato, e finanziata la democrazia e l'autorganizzazione dei cittadini.
Giulio Calella
Anche nel suo disperato tentativo di lanciare otto punti per convincere Grillo a sostenere un suo Governo, c’è un tema a cui Bersani non riesce a venire a capo. L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, cavallo di battaglia della campagna elettorale grillina, e principale argomento anche del suo oppositore interno, Matteo Renzi.
L’impressione però è che su questo punto abbiano più o meno torto tutti e tre.
Bersani cerca di resistere ad uno tsunami rivolto soprattutto contro i politici di professione che hanno governato negli ultimi vent’anni, e sostiene che un finanziamento pubblico della politica va mantenuto, pena lasciarla in mano ai soli miliardari (intendendo ovviamente Berlusconi, ma anche lo stesso Grillo). Renzi attacca, dice che bisogna fare come negli Stati Uniti, dove il finanziamento della politica è tutto di provenienza privata. Grillo su questo sembra in linea con il Sindaco fiorentino, anche se vuole un ricambio del 100% della classe dirigente e l’abolizione dei “politici di professione” con il limite dei due mandati, cosa che rottamerebbe lo stesso Renzi che dopo esser stato Presidente della provincia e Sindaco di Firenze dovrebbe cercarsi lavoro.
Il problema di Bersani è che non vuole ammettere che i partiti non sono più quelli dei tempi della nostra Costituzione, grandi – seppur discutibili – case di partecipazione con milioni di iscritti. Sono ormai più simili a dei comitati elettorali con l’unico scopo di dividersi incarichi, sempre più distanti dalla società, sempre più privi di una visione del mondo e sempre più succubi dei mercati. Per questo più inclini alla corruzione. Dobbiamo finanziarli per impedire che la politica resti in mano ai soli miliardari? Un po’ difficile da sostenere, specie da chi oltre al finanziamento pubblico non ha disdetto rapporti e finanziamenti privati, come nel caso del Monte dei Paschi.
Il problema di Renzi, e del modello americano, è che produce un gigantesco conflitto d’interessi. Come spiega bene Noam Chomsky nel suo libro America, no we can’t, “negli Usa è il denaro che vince le elezioni”. Nella storia americana, infatti, 9 elezioni su 10 – comprese quelle di Obama – sono state vinte dal candidato che ha ottenuto la maggior quantità di finanziamenti. Difficile pensare che ciò abbia a che fare con la democrazia, e che gli ingenti investimenti per le campagne elettorali di istituti finanziari, grandi industrie, lobbies di vario tipo non incidano nelle politiche dei vincitori. Cosa che secondo Chomsky spiega anche molte delle politiche di Obama.
Il problema di Grillo è che pensa che per cambiare il mondo basti cambiarne la classe dirigente. “Quando arriveremo al 100% e in parlamento ci saranno solo cittadini, ci scioglieremo perché avremo esaurito la nostra funzione”, ha dichiarato qualche giorno fa. Un po’ come i partiti rivoluzionari antistalinisti, sempre dichiaratisi pronti a sciogliersi dopo aver fatto la rivoluzione. Ma è difficile pensare che la rivoluzione si riduca alla sola sostituzione dei professionisti della politica con dei normali cittadini. I diversi interessi tra sfruttati e sfruttatori, tra chi ha potere economico e chi non lo ha, tra il 99% e l’1% come direbbero gli attivisti di Occupy Wall street, sarebbero ancora tutti in campo.
E allora il problema della democrazia è ancora quello di garantire la possibilità di incidere alla maggioranza che non ha né soldi né potere. Cosa difficile da immaginare in un sistema finanziato dai privati, cioè da chi i soldi e il potere ce l’ha, e vuole tenerseli.
Grillo pone problemi veri alla democrazia rappresentativa, in gran parte ripresi dallo stesso dibattito del movimento operaio, basti pensare alla Comune di Parigi: il problema dello stipendio degli eletti, quello della rotazione degli eletti (che lui risolve con il limite dei due mandati) e anche il problema del mandato non imperativo previsto dalla nostra Costituzione. Salta però il problema dei rapporti sociali, che in una società capitalista esprimono un insopprimibile conflitto di interessi tra classi sociali. E allora va benissimo abolire il finanziamento pubblico ai partiti, ma perché lasciare la democrazia al potere dei soldi privati? E perché non finanziare la possibilità di ognuno di autorganizzarsi in prima persona per far valere i propri diritti?
Tento una semplice proposta. Innanzi tutto aboliamo il cosiddetto rimborso elettorale oggi vigente per cui viene dato 1 euro a voto a chi entra in parlamento, moltiplicato per 5 anni (la durata ipotetica della legislatura, anche se magari dura 3 mesi). In questo modo ad esempio al Pd per le elezioni 2013 andranno circa 42milioni e 500mila euro, pur avendo loro stessi dichiarato di aver speso 6milioni e 500mila euro per la campagna elettorale. E degli altri 36 milioni che ne fate? In secondo luogo fissiamo un tetto massimo di spesa per le campagne elettorali, ponendo fine all’andazzo per cui nelle democrazie occidentali sono “i soldi a vincere le elezioni”, e bloccando l’attuale circo a cui è ridotto il dibattito elettorale e lo spreco di tonnellate di carta tornando semplicemente a discutere di contenuti. Poniamo, ad esempio, un tetto massimo di 200mila euro. A questo punto un rimborso pubblico potrebbe essere garantito (in presenza di regolari fatture, ovvio). Pensate che fissando un tetto massimo di 200mila euro a lista che ha raccolto le firme e moltiplicando questa cifra per tutta la miriade di liste che ha partecipato alle ultime elezioni (circa 50), si arriva ad una spesa totale di 10 milioni di euro, contro i circa 180milioni di rimborsi elettorali dati per queste elezioni. Un risparmio del 94%. E sarebbe un vero finanziamento al dibattito elettorale, non ai partiti. E a questo punto, perché non utilizzare una parte dei soldi risparmiati per finanziare non i partiti, ma la democrazia? Ad esempio con sedi pubbliche per riunioni dei cittadini per controllare l’operato delle istituzioni e degli eletti e deliberare proposte vincolanti? Con consultazioni nazionali o locali su singoli punti? Con dispositivi di vario tipo che favoriscano l’autorganizzazione di lavoratori, studenti, donne, migranti ecc.?
Insomma, direi: aboliamo il finanziamento pubblico ai partiti, ma anche il loro finanziamento privato. E finanziamo la democrazia, e l’autorganizzazione dei cittadini.

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