martedì 22 gennaio 2013

L'Swp inglese in una crisi "femminista"


Un'accusa di stupro a un dirigente nazionale, respinta al mittente dalla leadership, sta provocando abbandoni e delusioni. Il problema della democrazia interna e la cultura di genere

Cinzia Arruzza
Il Socialist Workers Party britannico vive una crisi profondissima, come mai era successo nella sua vita. Problemi interni e provenienti da lontano - la crisi generale della sinistra anticapitalista, l'assenza di democrazia interna, una scissione importante, per il livello del gruppo dirigente, vissuta oltre un anno fa (vediCounterfire.org) - vengono oggi fatti esplodere da una vicenda più che imbarazzante, un'accusa di stupro mossa da una militante nei confronti di un rinomato dirigente nazionale. L'accusa non è stata portata davanti ai tribunali inglesi né dalla polizia: la diffidenza verso le istituzioni capitaliste ha avuto la meglio e del caso è stata investita una Commissione interna, il Disputes Committee, che all'unanimità ha deciso che lo stupro non ha avuto luogo dichiarando chiusa la vicenda. "Non siamo un tribunale. Siamo qui per proteggere gli interessi del partito, e per far sì che venga stigmatizzato qualsiasi comportamento inappropriato di qualsiasi genere da parte dei compagni e delle compagne, e lo facciamo sulla base dei principi politici di un partito rivoluzionario". Così un membro della commissione disciplinare del partito ha introdotto la sua relazione di fronte alla platea dei delegati alla conferenza nazionale del 5 gennaio del 2013.

Il 7 gennaio una trascrizione della conferenza è stata inviata anonimamente a un blog inglese e pubblicata. Pochi giorni dopo un illustre membro del partito e giornalista di Socialist Worker, Tom Walker, annunciava la propria fuoriuscita in protesta con la direzione del partito, accusandola di aver condotto la vicenda nel peggiore dei modi possibili e di aver poi ripetutamente mentito alla base del partito, al fine di insabbiare i fatti. Il famoso autore di romanzi di fantascienza e attivista di lunga data del partito, China Mieville, ha dichiarato pubblicamente di sentirsi disgustato dalla vicenda, mentre un altro illustre membro del partito e autore di Lenin’s Tomb, uno dei blog più letti nella sinistra anticapitalista, Richard Seymour, ha sferrato un durissimo attacco contro la direzione, rendendo pubblica sia l’enorme crisi che sta attualmente attraversando l’Swp sia la formazione di una corrente interna che ha deciso di condurre apertamente la battaglia per la democratizzazione dell’organizzazione (http://www.leninology.com/2013/01/crisis-in-swp.html). Nel frattempo le notizie, le voci, e i commenti impazzano su blog, siti internet, e facebook, e una vera e propria tempesta, politica e mediatica, si abbatte sull’SWP.
Il caso risale già al luglio del 2010, quando un’attivista dell'Swp denuncia informalmente al comitato centrale del partito d’aver subito molestie sessuali da parte di un membro di lunga data della direzione nazionale. Alla conferenza nazionale del 2011 i delegati votano a larga maggioranza a favore dei risultati della prima inchiesta interna, che assolve il membro della direzione. Ma c’è un piccolo problema: i delegati votano senza avere la più pallida idea di quale sia la vera natura delle accuse, perché comitato centrale e commissione disciplinare insabbiano i fatti e tentano di mettere tutto a tacere. Verso la fine del 2012 la vicenda esplode nuovamente, perché un’accusa di stupro nei confronti dello stesso membro della direzione viene presentata alla commissione disciplinare dalla stessa attivista, questa volta in modo formale. Inizia un’inchiesta, le voci iniziano a girare, e quattro membri del partito vengono espulsi per email e senza regolare procedimento interno, accusati di ‘frazionismo interno’: si stavano organizzando attraverso facebook per impedire un ulteriore insabbiamento della vicenda e per rispondere ai gossip velenosi che intanto stavano iniziando a circolare sulla donna coinvolta. L’Swp, infatti, non consente l’organizzazione di correnti interne.
L’inchiesta della commissione disciplinare si conclude con l’assoluzione del membro della direzione ‘per insufficienza di prove’. Non si tratta di un ‘verdetto’ ambiguo, perché, come specificano i membri della commissione in occasione della conferenza di qualche giorno fa, tutti, unanimemente, hanno escluso che lo stupro avesse avuto luogo (qui il documento redatto dal Comitato centrale del Swp). Ma almeno un membro della commissione si è astenuto, perché riteneva che se non uno stupro, quantomeno un abuso sessuale fosse stato effettivamente commesso. Intanto all’interno dell’organizzazione si verifica una sommossa dal basso, e più trapelano le voci sul modo in cui l’inchiesta è stata condotta, più aumenta il numero degli indignati.
Si viene, infatti, a sapere che non essendoci testimoni diretti del fatto, il ‘verdetto’ è stato raggiunto sulla base della sola testimonianza dei diretti coinvolti. Che la commissione ha posto all’attivista che aveva mosso l’accusadomande del tutto irrilevanti per il caso, ma offensive della sua dignità: dalle sue abitudini alcoliche, alle sue relazioni sessuali e sentimentali passate con altri membri del partito. Che la sua accusa è stata resa nota all’accusato nei suoi dettagli settimane prima dell’udienza, mentre la presunta vittima non ha avuto modo di leggere le risposte dell’accusato in anticipo e si è trovata a dover rispondere immediatamente alle sue obiezioni. Che le è stato negato il diritto di prendere parte e di parlare alla conferenza di gennaio, per poter spiegare le proprie ragioni. Che sostenitori della direzione più realisti del re stanno portando avanti una campagna di denigrazione nei suoi confronti, insinuando che dietro l’accusa di stupro si nascondano intenti frazionisti e malcelato ‘femminismo’. Che le parole ‘femminismo’ e ‘femminista’ sono state usate come insulti per delegittimare sia la donna coinvolta che chi la sosteneva. Che nel frattempo un’altra attivista ha mosso accuse di stupro nei confronti dello stesso membro della direzione ed è stata sottoposta a pressioni indebite. E, infine, che in tutto questo la direzione ha continuato a cercare di mettere tutto a tacere.
Tutto ciò dovrebbe far riflettere su un problema più generale che ormai drammaticamente attraversa la sinistra anticapitalista a livello internazionale. Non si tratta semplicemente della vexata quaestio del ruolo e della posizione delle donne nelle organizzazioni della sinistra, ma dello stato di estrema frammentazione e debolezza di queste organizzazioni, che spinge sempre di più a mettere in atto meccanismi di autoconservazione a ogni costo, il che si traduce in prima istanza in autoconservazione e perpetuazione delle leadership consolidate.
Non si tratta di condurre ora una caccia alle streghe contro l’Swp, né di negare il ruolo importante che ha svolto nel corso degli anni, e anche di recente, nelle lotte di emancipazione delle donne e per la liberazione sessuale. Questo ruolo e l’impegno dei suoi militanti e delle sue militanti non è cancellato da questa vicenda. Ma proprio alla luce di questa storia di innegabile impegno, questa vicenda solleva questioni che riguardano tutta la sinistra anticapitalista e il modo in cui percepisce se stessa e si organizza. Due di queste sono evidenti e sono già oggetto di dibattito in rete: la questione della democrazia interna, ancora più cruciale all’epoca di internet, e la questione della cultura di genere all’interno delle organizzazioni. Ci sono pochi dubbi che la presenza di una consolidata pratica femminista all'interno dell'Swp avrebbe offerto, non la garanzia, ma almeno delle chance in più che questa vicenda venisse gestita in un altro modo.
Ma c’è almeno una terza questione che riguarda la nostra cultura più in generale: la feticizzazione del rapporto con la tradizione, l’auto-percezione come gruppo portatore di un ruolo storico mondiale, la fede in una Causa rigeneratrice che ci riscatterà dai peccati che dovremo inevitabilmente commettere sulla via della rivoluzione, l’illusione di essere i depositari, sempre e comunque, non solo della verità rivoluzionaria, ma di un’umanità diversa e più alta, di una socialità liberata, che dovrebbero renderci immuni dalle miserie umane della società capitalista, sono vizi spesso comuni alle organizzazioni della sinistra anticapitalista. Non fanno che aumentare il loro scollamento dalla realtà e dal mondo esterno, impediscono di riconoscere le forme di dominio e oppressione che riproduciamo al nostro interno, e di disconoscere le nuove forme di oppressione che produciamo creativamente. E i primi a pagarne le conseguenze sono i soggetti più oppressi dal capitalismo, a partire dalle donne.

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