lunedì 7 gennaio 2013

Fbi e banche spiavano Occupy



Pubblicati i documenti riservati che dimostrano l'allarme del Federal Bureau e il legame con i grandi istituti finanziari per reprimere la protesta
da lastampa.it (maurizio molinari)
«Potential Criminal Activity Alert» è il titolo del rapporto Fbi che alza il velo su come il movimento di protesta Occupy Wall Street è stato, sin dall’inizio, spiato, infiltrato e bersagliato da minacce, pressioni e disinformazione degli agenti federali applicando una tattica simile a quella che negli anni Settanta consentì di sconfiggere le Pantere nere.
Ad ottenere la declassificazione di 110 pagine che descrivono la guerra segreta dell’Fbi ai militanti di Zuccotti Park è stata l’associazione «Partnership for Civil Justice Fund» ricorrendo al «Freedom of Information Act» (Foia) che obbliga ogni agenzia federale a rendere pubblici i propri atti. Sebbene si tratti di pagine (leggi qui il rapporto) in gran parte annerite dal top secret quanto consentono di leggere permette di ricostruire la tattica dei federali. Anzitutto il «Situational Information Report», redatto dall’Fbi di Indianapolis, è datato 15 settembre 2011, ovvero due giorni prima del debutto delle proteste, e anticipa proprio il «Giorno di Rabbia pianificato per il 17 settembre» prevedendone con accuratezza i contenuti: «Desiderano mimare l’ondata rivoluzionaria di proteste avvenute nel mondo arabo portandola nelle maggiori aree metropolitane» degli Stati Uniti «con speciale attenzione per le istituzioni bancarie e finanziarie».

Nei giorni seguenti l’Fbi diffonde informazioni per delegittimare i manifestanti: il magazine canadese «Adbusters», a cui si attribuisce l’idea delle proteste, viene definito «gruppo americano anarchico rivoluzionario» mentre Occupy è accostato ai suprematisti bianchi della «Nazione ariana» e agli hacker «terroristi interni» di Anonymus. Ciò significa che l’Fbi considerò da subito Occupy una minaccia alla sicurezza interna, come conferma un memo dell’agosto 2011 nel quale si parla già della data del 17 settembre attribuendo ai «gruppi anarchici» la volontà di «interrompere o sospendere le attività del distretto finanziario» di Manhattan.
Tale impostazione spiega perchè l’Fbi attivò da subito un network anti-Occupy che includeva la Homeland Security, la task force anti-terrorismo, l’intelligence dell’Us Navy e il Domestic Security Alliance Council, un organismo finora poco noto servito per coordinare le attività anti-protesta assieme alle maggiori istituzioni finanziarie.
I documenti parlano di incontri, comunicazioni e coordinamento con Bank of America, Wells Fargo, Goldman Sachs e JP Morgan ma potrebbero essere coinvolte più banche visto che l’Fbi ammette l’esistenza di ulteriori 287 pagine su Occupy che non vengono declassificate. Tale imponente impianto di sorveglianza e spionaggio spiega perché i memo dell’Fbi sono datati dalle località più diverse, da Jacksonville in Florida a Anchorage in Alaska, contenendo riferimenti a raccolte di informazioni sul «terrorismo domestico» dei manifestanti grazie agli espedienti più diversi: da falsi ciclisti che sostano a Zuccotti Park per «parlare con chiunque si avvicina», infiltrando Occupy, agli arresti mirati dei «più facinorosi».
E poi c’è l’opera di deterrenza. Colpisce a riguardo la storia di Tim Franzen che nel 2011 aveva 35 anni ed era un «community organizer» di Atlanta in Georgia per Occupy ma venne fermato dall’Fbi sulla base di precedenti penali risalenti a quando aveva 19 anni, riuscendo a metterlo sulla difensiva fino a neutralizzarne la «carica rivoluzionaria». Davanti a tali rivelazioni il portavoce dell’Fbi Christopher Allen invita alla «cautela» nel «trarre conclusioni da documenti rilasciati solo in parte» ma è verosimile immaginare che presto altre richiesta arriveranno agli uffici del «Foia».

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