martedì 2 aprile 2013

La mossa del cavallo del presidente



saggidi Andrea Martini
Pierluigi Bersani non ha avuto neanche la soddisfazione di concludere il suo mandato esplorativo con una formale relazione a Napolitano. Il suo disperato tentativo di formare un governo minoritario di PD e SEL con l’appoggio esterno (o almeno la “non sfiducia”) del M5S è svanito nel nulla, azzerato dalla inedita iniziativa del presidente della repubblica di affidare a due commissioni di cinque “saggi” ciascuna (senza alcuna “saggia”, occorre notare il marchiano svarione maschilista del capo dello stato) il compito di definire il programma di lavoro di un possibile governo non “balneare”.

Certo l’idea che un paese chiave come l’Italia fosse dato in mano ad un governo in balia di un determinante appoggio grillino, oltre ad essere estremamente funambolica, se non irrealistica, vista la più volte dichiarata indisponibilità del M5S, terrorizzava i poteri forti nazionali e comunitari. Non certo per il rischio che il sostegno di Grillo costringesse il governo di centrosinistra a varare significative misure “anticasta”, ma per il concreto pericolo che questa formula ostacolasse le misure di tagli e di controriforme che la Troika e il fiscal compact ancora esigono dal nostro paese. Che cioè il confuso ma consolidato “euroscetticismo” del M5S prevalesse sul tradizionale allineamento socialiberista del PD e del centrosinistra.
Anche per questo, oltre che per l’avvicinarsi dell’elezione del nuovo presidente della repubblica, Napolitano ha pensato di riprendere in mano la situazione (senza neanche un “benservito” a Bersani) e di scegliere la carta dei programmi, invece che delle formule politiche.
Che Napolitano tifasse per un governo di “larghe intese”, cioè di centrosinistra-destra, con PD e PDL assistiti dal centro montiano, non era un segreto. Lui stesso l’aveva auspicato in numerose esternazioni, oltre ad averlo già imposto nel novembre 2011. Inoltre i risultati inattesi del voto di un mese fa rendevano questa ipotesi l’unica veramente percorribile.
Napolitano, per di più, definendo le due commissioni dei saggi, ha indicato anche un’ipotesi di maggioranza e di opposizione, includendo nelle commissioni tutti gli orientamenti politici presenti in parlamento ed escludendone solo il M5S. E ha anche colto una possibile base programmatica, sapendo bene che centrodestra e centrosinistra, al di là della chiassosa contrapposizione mediatica e politica, in realtà non hanno programmi economico sociali realmente alternativi e che perfino sul terreno delle riforme istituzionali e della “manutenzione” della già molto ammaccata democrazia italiana esistono margini di accordo possibile. Il progetto della pur lontana bicamerale dalemiana insegna… Inoltre, in caso di successo, la forzatura di Napolitano rafforzerà nella classe dominante e in tutti gli schieramenti la tentazione di imporre al paese riforme di tipo presidenzialista per correggere definitivamente e in senso autoritario la fragilità istituzionale del nostro paese.
E il presidente sa anche che le principali decisioni economiche e sociali dovranno essere prese sotto la supervisione e in accordo con la BCE e la Commissione europea e che in questo contesto sia il PD che il PDL (per non parlare di Monti) avranno pochissimi margini per trovare disaccordi tra di loro.
Ma tutto ciò non significa affatto che il disegno di Napolitano troverà la strada in discesa e significative possibilità di successo. I due principali partiti della “seconda repubblica” non possono essere entusiasti all’idea di essere ancora una volta scavalcati dall’iniziativa del capo dello stato, come già accadde un anno e mezzo fa.
E il PD, in particolare nella sua versione “bersaniana”, vede come il fumo negli occhi l’ipotesi di una alleanza con il PDL…
Alla fine del 2011, sull’elettorato di centrosinistra operava la spinta di farla finita con Berlusconi. A questo obiettivo si poteva anche sacrificare il ruolo della politica, affidando tutto a Monti e ai suoi “tecnici”. Oggi buona parte dell’apparato del PD vede l’iniziativa del presidente come una cosa che ridà fortemente fiato a Berlusconi e al suo centrodestra, rimettendolo in gioco e ingigantendone la “rendita di posizione”, con il rischio di disperdere definitivamente la carta dell’antiberlusconismo. E a riassumere un ruolo centrale nella operazione messa in piedi dal presidente è anche quel Mario Monti che con la sua smania di protagonismo sembrava aver logorato il ruolo di “tecnico al servizio del paese” guadagnato durante l’anno di presidenza del consiglio. Dunque nell’iniziativa delle commissioni di Napolitano il ruolo di principale vittima sacrificale potrebbe averlo proprio il PD e soprattutto l’ala bersaniana.

Ma in realtà nell’operazione anche il PDL rischia forte. Potrebbe ritrovarsi ad avere un ruolo importante, ma anche perdere definitivamente quella possibilità di ricatto sulla elezione del prossimo presidente.
Quanto a lui, il movimento di Grillo è sembrato un po’ spiazzato dalla iniziativa del presidente. Essa lo colloca anche ufficialmente in un ruolo di opposizione pregiudiziale che può apparire comoda e, soprattutto, capace di impedire i rischi di sfilacciamento già mostrati ad esempio in occasione dell’elezione del presidente del senato. E dunque i portavoce del M5S sono apparsi per tutta una prima fase tentati dal dare il via libera al proseguimento dell’operazione “saggi”. In seguito, forse per intervento dei leader, questa posizione appare più sfumata, fino ad arrivare alla inversione di rotta del capogruppo al Senato Vito Crimi che sembra rimpiangere l’ipotesi Bersani. Resta la realtà di una posizione sostanzialmente ondivaga, sempre ancorata alla idea accarezzata dal M5S di far governare in regime di prorogatio Monti o chi altro sia e di far legiferare il parlamento anche prima della formazione di un nuovo governo nel pieno delle sue funzioni.
Tanto che il blog di Grillo lancia una sorta di programma minimo da varare in parlamento subito anche senza un governo pienamente in carica. Così si rivela con forza il persistente carattere interclassista delle parole d’ordine grilline che sono: nuova legge elettorale, legge sul conflitto di interessi, reddito di cittadinanza, legge anticorruzione, abolizione dell’IRAP, un provvedimento straordinario per sbloccare il pagamento di 40 miliardi di euro alle aziende creditrici nei confronti dello stato…
In realtà questa ipotesi del M5S, oltre a mettere al centro delle rivendicazioni richieste di stampo prettamente padronale (crediti delle imprese, IRAP…), sembra non tenere conto del fatto che anche senza un governo nel pieno delle sue funzioni opera il “pilota automatico” della BCE e della logica capitalistica che, in mancanza di iniziative di mobilitazione di massa e di opposizione, continua a stritolare conquiste, diritti, condizioni di vita.
Resta la realtà di un movimento come quello di Grillo assolutamente impreparato a lavorare in direzione dello sviluppo dei movimenti, del loro potenziamento, della loro autorganizzazione, della loro convergenza.
Anche e soprattutto per questo è sempre più necessaria la costruzione di un forte e unitario movimento di opposizione e di una proposta politica classista e anticapitalista.
Andrea Martini

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