lunedì 13 agosto 2012

Siria, anatomia di una rivoluzione


Mentre il conflitto si drammatizza, l'attenzione mediatica è tutta per gli aspetti militarizzati della sollevazione. A rimanere sconosciuta è la dinamica rivoluzionaria pacifica della rivolta, che resta centrale. Analisi delle sue radici e prospettiva di una "nuova Siria"
Leyla Vignal*
Un'ampia analisi sulla rivoluzione siriana, i suoi protagonisti e i pregiudizi della sinistra internazionale. Articolo pubblicatohttp://antoniomoscato.altervista.org/ e tradotto da Titti Pierini
In questo fine luglio 2012, lo scontro tra l’esercito del regime e il ramo militarizzato della sollevazione, che si presenta sotto l’etichetta di Esercito siriano libero (Esl), attira giustamente l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa. Dopo l’attentato di mercoledì 18 luglio, perpetrato al cuore dell’apparato di sicurezza a Damasco - e che è costato la vita a quattro alti dirigenti della Sicurezza del paese tra i quali Assef Chawakat, il cognato del presidente siriano – l’opposizione armata al regime sembra ormai in grado di scuotere il regime, persino nella sua roccaforte damascena. Mentre sto scrivendo, sembra avvicinarsi la fine del regime di Bashar al-Assad, senza che sia possibile individuarne né le modalità né la scadenza.
Tuttavia, l’attenzione riservata agli aspetti militarizzati della sollevazione, spiegabile per il loro impatto sul sviluppo di questa, ne nasconde la dinamica rivoluzionaria pacifica, che resta centrale. Essa si estende all’insieme del territorio siriano, malgrado variabili regionali importanti e considerevoli eccezioni. Basta fare qualche conto: partendo dalle 51 manifestazioni del venerdì 17 giugno 2011, si arriva a calcolarne 493 il venerdì 6 gennaio 2012, 939 il venerdì 1° giugno 2012.[1] Di più, la dinamica rivoluzionaria pacifica si protrae anche nelle regioni sottoposte alla più violenta repressione dell’esercito: il venerdì 13 giugno, ad esempio, si registravano ancora 30 manifestazioni nel governatorato di Homs.

Questo articolo privilegia l’analisi della sollevazione democratica siriana e ne propone squarci che rendono conto, sul lungo periodo, delle profonde trasformazioni della società siriana, consentendo così di esplorare l’anatomia di questo popolo in rivoluzione.[2]
Le radici della “rivoluzione della dignità”
Una rivoluzione politicaIl 17 febbraio 2011, un segnale, tenue ma sintomatico perché del tutto inedito, aveva annunciato, ad Hariqa, al centro del suk [il mercato] di Damasco vecchia, i tempi rivoluzionari in arrivo. In seguito al brutale arresto da parte di agenti dei servizi di sicurezza del figlio di un commerciante che aveva parcheggiato male la macchina – un arresto in fondo banale in un paese in cui i servizi di sicurezza hanno piena licenza – i commercianti hanno chiuso bottega, si sono radunati nei viali del suk al grido di “Ach-chaab as-souri mâ b-yendhall (Il popolo siriano non si lascia umiliare)”. Ma è a Deraa che si infiamma il movimento di contestazione, ottenendo un’eco nazionale. Il 13 marzo. In quella città di oltre 150.000 abitanti, nel sud del paese, alcuni studenti scrivono sui muri della loro scuola slogan antiregime ispirati a quelli della rivoluzione egiziana del 25 gennaio. Vengono arrestati, torturati dai servizi di sicurezza (mukhabarat). La collera dei genitori diventa quella della città, dove si formano cortei, poi quella delle località della regione circostante (Jassem, Nawa, Sanamayn): La violenza della repressione poliziesca che si abbatte su quelle manifestazioni (arresti, torture, vere e proprie sparatorie sulla folla), già prima che i carri armati accerchino la città nelle settimane successiva, infiamma il paese. Dal venerdì 18 marzo, l’appello a un “Venerdì della dignità” viene raccolto nella capitale, poi ad Aleppo (la seconda metropoli del paese), nelle due principali città della Siria meridionale, Homs e Hama, e nella città costiera di Banyias. Da quel momento, giorno dopo giorno, venerdì dopo venerdì, le manifestazioni dilagano nel paese.
Fin dall’inizio, i manifestanti si appellano al rispetto, alla dignità (karama), alla libertà. Il 24 marzo 2011, in risposta all’annuncio da parte della Presidenza di misure economiche volte a placare la collera (aumenti dei salari dei funzionari, reintroduzione delle sovvenzioni per un certo numero di generi di prima necessità, ecc.), i manifestanti di Deraa scandivano: “ach-chaab as-suri mu jawân (Il popolo siriano non ha fame)”, indicando chiaramente il carattere politico della loro mobilitazione. Nei giorni e nelle settimane seguenti, via via che la repressione si estendeva, gli slogan dei manifestanti mettevano in discussione il regime, poi arrivavano a fare appello alla sua caduta: “ach-chaab yurid isqât al-nizâm (Il popolo siriano vuole la caduta del regime/sistema)”, mentre la sollevazione si propagava, da una città all’altra, con un’ampiezza senza precedenti nella storia recente della Siria. Vi sono ovunque manifestazioni, di diversa intensità, tranne in alcune zone del jebel ansaryieh (la catena montuosa costiera), dove vive una parte dei siriani alawiti, il gruppo confessionale da cui proviene la famiglia Assad.
Eppure, varie generazioni avevano cercato in precedenza di rivolgerere l’arma della contestazione contro il regime progressivamente instaurato da Hafez al-Assad dopo un colpo di Stato nel 1970. La repressione delle opposizioni della sinistra laica e degli islamici era culminata al termine degli anni Settanta-inizi anni Ottanta, suscitando ondate di arresti e, nel marzo 1982, con il bombardamento aereo della città di Hama (20-30.000 morti), in risposta alla rivolta che vi era stata scatenata dai Fratelli Musulmani.[3] Per non dover continuare a contrastare questo pericolo interno, si instaurava progressivamente a partire dagli anni Ottanta lo Stato di polizia, dominato dai servizi di sicurezza, il cui numero si è andato moltiplicando (se ne annoveravano 17, nel 2010). Questi, che rivaleggiano tra loro in brutalità, inquadrano la popolazione in tutte le vicende quotidiane, la sorvegliano e possono convocare chiunque per un interrogatorio, grazie all’impunità di cui godono.[4] Ad Hariqa in febbraio, a Deraa in marzo, l’odio suscitato da questo Stato di polizia adepto del terrore costituisce un fattore poderoso di mobilitazione, una volta infranto il muro della paura.
Quando Bashar al-Assad eredita il potere alla morte del padre, nel giugno 2000, istituendo per la prima volta nel mondo arabo una “repubblica ereditaria”, l’avvento del nuovo presidente, che si spaccia per moderno e modernizzatore, dà origine a un’inedita mobilitazione degli intellettuali e dei membri dell’opposizione democratica in Siria (dibattiti pubblici, circoli di discussione, petizioni).[5] La mobilitazione delle élites intellettuali urbane, che per una fase sembra concretizzare le speranze di una transizione politica, non dura però molto. I membri più in vista di questi circoli vengono arrestati e i circoli sono costretti a chiudere uno dopo l’altro nel corso del 2001. L’ultimo chiude nel 2005, quando viene pubblicata la “Dichiarazione di Damasco”, un testo che raccoglie l’insieme delle sensibilità dell’opposizione (inclusa quella islamica) e delinea i contorni di un futuro democratico in Siria.
In uno Stato che non tollera alcuna voce alternativa, l’opposizione politica siriana ha dunque incontrato ogni difficoltà ad esistere, compresa l’opposizione islamica, con i Fratelli Musulmani pressoché assenti nel paese dopo la repressione degli anni Ottanta. Nel 2011-2012, il movimento rivoluzionario siriano impedisce di interpretare la debolezza politica di questa opposizione come un segno di adesione dei siriani al regime, ma piuttosto come il marchio dell’autoritarismo poliziesco di quest’ultimo.
I fermenti della collera: frustrazioni sociali e disuguaglianze spaziali
Analogamente, la frustrazione sociale non trova espressione politica ma mina la società siriana. Nel 2011, è enorme di fronte a un sistema che non solo non mantiene le promesse di progresso e di sviluppo inserite nell’ideologia originaria del partito Baas, ma che sotto la presidenza di Bachar ha voltato loro le spalle, a pro di un’interpretazione predatoria dell’apertura economica.
Il blocco deriva in primo luogo dal fallimento dello sviluppo del paese, che si esprime in una povertà che resta consistente[6] e che colpisce in particolare alcune regioni, ad esempio la Jezireh (nord-est), presentata fino alla fine degli anni Novanta come il futuro dello sviluppo siriano, prima di essere abbandonata nei piani di sviluppo del regime.[7] Nel sud, la regione di Deraa, un paese agricolo cerealicolo, ha sofferto tanto più degli anni di siccità dell’ultimo decennio in quanto ha dovuto accogliere rifugiati climatici del nord (soprattutto della Jezireh) colpiti dalla medesima siccità, senza che le promesse di sostegno fatte dallo Stato alle autorità locali fossero mantenute. Inoltre, malgrado i progressi reali dell’educazione di base, estesa a tutte le classi di età, pochi siriani hanno accesso a un corso educativo completo. Per giunta lo Stato assistenziale baasista non è più in grado da tempo di garantire un posto di lavoro ai 300.000 giovani che si affacciano ogni anno sul mercato del lavoro. Le stime ufficiali indicano che la disoccupazione raggiunge almeno il 20% della popolazione attiva. Questa situazione incrementa il settore illegale, che avrebbe occupato circa il 30% della popolazione attiva e prodotto circa il 30% del PIL siriano alla fine degli anni 2000.
La frustrazione è tanto più forte in quanto Bachar al-Assad aveva annunciato, al congresso del Baas di giugno 2005, la trasformazione della Siria in una “economia sociale di mercato” e l’avvento di una nuova era di prosperità economica. Ora, se gli inizi della liberalizzazione economica sono andati insieme alla modernizzazione di una parte dell’apparato regolamentare e del quadro economico (apertura di banche e di compagnie di assicurazioni private, nel 2003 e 2004, apertura di una Borsa valori nel 2009) e all’esplosione del consumo che ha trainato la crescita intorno al 5% annuo, i benefici dell’apertura non sono stati condivisi. È emerso, infatti, un nuovo ceto medio che dispone di mezzi per consumare nei centri commerciali, i bar, i nuovi ristoranti sviluppatisi durante gli ultimi anni del 2000. Ma la maggioranza delle categorie socili sono rimaste al margine dell’economia liberalizzata e ne hanno pagato le conseguenze:fine del patto sociale e introduzione di un sistema a due velocità, nell’economia, nella scuola, nella sanità. Se i manifestanti fin dall’inizio della contestazione si sono dispiegati nelle periferie depauperate dell’agglomerato damasceno di cui fanno parte gli epicentri della rivolta (Saqba, Harasta, Duma, Daraya, Moadamiya, Hamuriya, Irbin, ecc.) è anche perché a Damasco si svolge con la maggior violenza, nello spazio urbano, lo scontro tra una società travagliata da una profonda crisi sociale e e l’ostentazione di risultati economici relativamente lusinghieri. Nel 2011, la società siriana è sicuramente più fragile che non dieci anni prima.
L’apertura economica è del resto andata insieme all’arrivo nei traffici di una nuova generazione di responsabili e di uomini d’affari. Come ricorda Elizabeth Picard,[8] il regime di Hafez al-Assad si è costituito come un “complesso militar-commerciale”[9] basato su reti clientelari fatte di borghesie provenienti dallo Stato, dall’Esercito e da ambienti d’affari. Tuttavia, a suo giudizio, i rigidi criteri etici che costringevano in parte i responsabili del regime sotto la presidenza autocratica e assolutista di Hafez al-Assad non esistono più per la generazione successiva. Questa, composta in parte dai figli del regime, pratica un crony capitalism[10] senza scrupoli, tendente, grazie alla propria vicinanza al potere, all’accaparramento delle ricchezze del paese consentito dalla liberalizzazione economica.[11] Sono sorti nuovi monopoli, alla cui testa si trovano membri della famiglia del presidente al-Assad, parenti o clienti del regime. L’archetipo delle pratiche di questi nuovi ambienti affaristici – ma anche della confusione crescente tra interessi privati del clan familiare del presidente e quelli della sfera pubblica – è il personaggio di Rami Makhluf, cugino di Bashar al-Assad, alla testa di un impero economico e ritenuto l’uomo d’affari più potente in Siria.[12] Emblematicamente, Rami Makhluf, simbolo della corruzione e del clientelismo che ha tradito le promesse di apertura, è stato uno dei primi bersagli degli slogan dei manifestanti nella primavera del 2011.
Nuove generazioni siriane: la triplice transizione
Ora, nel 2011, la sollevazione siriana attesta il fatto che, nel paesaggio depresso di un’opposizione politica impotente, di una gioventù privata del proprio futuro, e di un regime che esercita l’arbitrio e il controllo della popolazione tramite servizi segreti e organizzazioni derivanti dal Baas, i siriani danno prova di una sorprendente capacità di mobilitazione, di organizzazione e di resistenza.
Vi si può sicuramente scorgere l’effetto dell’ingresso in età adulta di nuove generazioni, quelle di meno di trent’anni,[13] che si differenziano dalle generazioni precedenti da un triplice punto di vista. Per un verso, queste giovani generazioni, frutto della transizione demografica innescatasi in Siria agli inizi degli anni Ottanta,[14] sono cresciute in famiglie più ristrette di quelle dei loro genitori. Per altro verso, sono più istruite dei loro fratelli maggiori. Grazie alla generalizzazione dell’istruzione primaria alla quasi totalità della popolazione,[15], fra i giovani siriani l’analfabetismo è debole (5,5 nella media nazionale fra i 15 e i 24 anni) e lo scarto uomo/donna delle precedenti generazioni è quasi recuperato (4% per i ragazzi, 7% per le ragazze), anche se le disparità regionali rimangono forti.[16] Ora, Philippe Fargues[17] ha mostrato come il calo della fecondità e il generalizzarsi dell’istruzione portino a modificare a fondo le strutture familiari. Nel mondo arabo, questi fattori tendono a mettere in discussione il sistema patriarcale che regola il sistema della famiglia, sistema basato sulla subordinazione dei fratelli minori al primogenito in seno alla fratria e su quella delle donne agli uomini in seno alla famiglia.Youssef Courbage ed Emmanuel Todd[18] ritengono che il coniugarsi di queste due rivoluzioni dipenda da un processo che si è sviluppato in Europa a partire dal XVII secolo prima di diffondersi in tutto il mondo. Le traiettorie di individualizzazione sono ormai possibili, cosa che provoca una profonda crisi di transizione i cui contenuti variano a seconda delle società.
In terzo luogo, la popolazione siriana e ormai in netta prevalenza urbana, cosa di cui non danno conto le statistiche ufficiali siriane (53% soltanto nel 2010)[19] per le definizioni molto delimitate dell’urbano. Emblematico è il caso di Damasco: nelle statistiche della popolazione della capitale si tiene conto solo del nucleo centrale damasceno (governatorato di Damasco); l’agglomerazione costituisce invece un tessuto urbano continuo in cui sono elevate le densità anche lontano dal nucleo centrale, integrato da intense mobilità e da complementarità funzionali, e che comprende numerose città di oltre 100.000 abitanti. Il processo di urbanizzazione metropolitana, che significa espansione delle periferie e rapida crescita di piccoli centri nelle periferie stesse, contraddistingue lo sviluppo urbano della Syria di oggi. Da sole, Damasco e Aleppo concentrano circa 8 milioni di abitanti, vale a dire oltre un terzo del totale della popolazione (21 milioni di abitanti).
Questo mondo urbano non è un mondo di isolati. È concentrato essenzialmente lungo un asse di maggiori densità da Deraa e Aleppo, asse che si raddoppia lungo la costa mediterranea e che si prolunga in maniera discontinua attraverso i nuclei di popolamento della Jezireh[20] e delle rive dell’Eufrate.[21] Questa Siria urbana è innervata dalle mobilità dei suoi abitanti, rese possibili grazie a infrastrutture (strade) e da reti di trasporto collettivi, soprattutto privati (minibus), addensatesi a partire dagli anni Novanta.[22] La mobilità e il diffondersi di beni e servizi hanno, inoltre consentito la diffusione dei sistemi di vita urbani (occupazioni, consumi, accessi ai servizi) nelle cittadine, meno isolate, più inserite in reti di media o lunga distanza.
La maggioranza delle nuove classi d’età siriane sperimenta quindi, ormai, la vita urbana. Ora, gli ambienti urbani rappresentano elementi di accelerazione per le due transizioni, demografica e dell’istruzione, consentendo tra l’altro l’apertura delle cerchie familiari, comunitarie o di socializzazione, la condivisione e la diffusione di informazioni, ma anche la messa in comune di esperienze sociali, e magari politiche. Nel 2011-2012, i siriani che formano il grosso dei battaglioni dei manifestanti appartengono a queste generazioni della transizione demografica e dell’istruzione, a queste generazioni della frustrazione sociale che si emancipano dagli orizzonti patriarcali e che scendono in piazza per contestare il potere e quei padri incapaci di trasformare l’andamento politico e sociale del paese.
Una società siriana profondamente trasformata
La società siriana, nel 2011, è dunque una società modificata in maniera molto profonda. Le nuove generazioni crescono in contesti diversi da quelli delle generazioni precedenti. Le migrazioni interne e le mobilità hanno tolto dall’isolamento parte della popolazione. I siriani non possono più essere semplicemente assegnati alla loro origine geografica, contraddetta dalle consistenti migrazioni interne verso alcune serie di città, dalle mobilità lavorative, dall’esperienza urbana. Allo stesso modo, e per le stesse ragioni non possono neppure essere esclusivamente assegnati alla loro appartenenza confessionale o etnica. Da questo punto di vista, le molle della contestazione non sono di tipo confessionale, ma politico, come abbiamo visto. Mentre il regime agita la minaccia dello scontro confessionale, gli slogan delle manifestazioni chiamano all’unità (“wahed, wahed, wahed, ech-chaab es-suri wahed!” (Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno!”). Le varie comunità siriane, inclusa quella alawita, oggi costretta al lealismo, hanno sofferto tutte per uno Stato baasista costruito in funzione dei propri obiettivi politici e non nell’ottica di una gestione armonica della diversità siriana.[23]
Nel 2011, la frustrazione politica e sociale, le trasformazioni sociologiche strutturali e il crogiolo sociale urbano hanno permesso la compresenza di gruppi e di individui, contribuendo a creare le condizioni per l’esperienza collettiva della mobilitazione, inedita per queste generazioni. La contestazione consente a una parte sempre più notevole della società siriana, con l’andar dei mesi, di “uscire dalla solitudine”[24] imposta dalla dittatura, per riprendere la bella espressione di Ziad Majed.
Protagonisti e ingegnerie spaziali della contestazione
I protagonisti della rivolta sono, innanzitutto, cittadini siriani normali che si mobilitano nello spazio pubblico per manifestare pacificamente contro il regime. Sono loro del resto a morire sotto i colpi della repressione.[25]
Manifestanti e militanti dei Comitati Locali di CoordinamentoLa sollevazione siriana parte da iniziative locali, cominciate a livello di quartieri o di piccoli centri e che si sviluppano via via che il movimento si estende. Fra queste iniziative, sono state formate reti di attivisti nei quartieri e nelle cittadine, poi si sono coordinate in seno a Comitati Locali di Coordinamento (Clc), una forma di organizzazione innovatrice, senza precedenti in Siria e specifica di questo movimento rivoluzionario. La rete dei Clc svolge un ruolo politico tramite le posizioni che esprime –mobilitazione pacifica, lotta per la dignità e la libertà. Per una Siria democratica – e per le parole d’ordine che diffonde attraverso gli appelli accentuatamente politici dei “venerdì” di manifestazioni.[26]
Le azioni condotte variano in funzione dei contesti locali. I militanti dei Clc partecipano ad esempio agli atti di disobbedienza civile (scioperi), contribuiscono a produrre un materiale di mobilitazione molto vario (slogan, canti, filmati) e svolgono un ruolo essenziale nella documentazione della contestazione e della sua repressione, specie attraverso la produzione di video.[27] Con il consolidarsi e prolungarsi del movimento, i Clc si sono anche incaricati del sostegno alle vittime della repressione, ad esempio organizzando ospedali clandestini,[28] distribuendo aiuti finanziari o materiali, organizzando quotidianamente quartieri o città sotto il controllo di gruppi che si richiamano all’Esercito siriano libero (Esl). Le difficoltà di funzionamento del Coordinamento clandestino sono tante, soprattutto quando si tratta di fare emergere qualche capofila della contestazione, che spesso viene arrestato, ucciso, o costretto a lasciare il paese.
Ingegnerie della contestazione
All’inizio della rivolta, i principali momenti di raccolta della contestazione sono le manifestazioni del venerdì. Essendo il recinto della Moschea l’unico spazio pubblico in cui siano possibile le riunioni sotto lo stato d’emergenza,[29] gran parte delle manifestazioni si formavano o nella moschea o all’uscita dalla preghiera. Tuttavia, man mano che la rivolta riconquista lo spazio pubblico in alcuni quartieri, o in alcune città, diminuisce il bisogno dei raduni in moschea. Del resto, le manifestazioni hanno rapidamente scavalcato la cornice dei cortei del venerdì. I funerali delle vittime della repressione sono così l’occasione per nuovi cortei, che fanno spesso nuove vittime.
Nei primi mesi della contestazione, le grandi arterie o le grandi piazze sono stati i punti di raduno dei cortei settimanali. A Homs, la piazza dell’orologio,[30] piattaforma dei trasporti urbani e regionali e punto nevralgico del centro città, è diventata famosa per i raduni convergenti del mese di aprile del 2011 - e che sono stati sistematicamente repressi dalle sparatorie dell’esercito e dei cecchini. Adeguandosi ai sistemi di repressione del regime, e per limitare l’esposizione agli spari dei manifestanti, ormai i cortei si svolgono in strade più strette. Nelle zone sottoposte a un fortissimo controllo poliziesco, essenzialmente i quartieri centrali di Damasco e di Aleppo, moltissime manifestazioni durano solo pochi minuti (le cosiddette “manifestazioni volanti”): alcuni gruppi si radunano in un dato luogo a una data ora, scandendo slogan, e si disperdono prima che arrivino i servizi di sicurezza. Anche le manifestazioni serali consentono di portare la contestazione nello spazio della strada sfruttando la protezione relativa del buio.
I siriani si riuniscono anche in sit-in, a volte di massa, come all’arrivo degli osservatori arabi a Homs, il 27 dicembre 2012 (circa 30.000 persone), anche se la maggior parte sono più modesti, come il 30 giugno 2012 a Salamiyeh davanti all’ospedale Bir, per proteggere le persone ferite nella repressione del corteo funebre dello stesso giorno.[31]Le folle che intonano canti rivoluzionari all’aperto, come a Idlib il 26 novembre 2011,[32] costituiscono un chiaro segnale della perdita di controllo (perlomeno momentanea) su alcuni territori da parte del regime,.perché questo tipo di raduni sarebbe del tutto impossibile sotto stato d’urgenza. Peraltro, è spesso presente l’aspetto festoso, come quando i manifestanti ballano la dabkeh, un ballo molto popolare in Siria, al ritmo di quei canti che si inventano ogni giorno.
Altrove, in un gesto che richiama le rivoluzioni dell’Europa dell’Est nel 1989, le statue monumentali di Hafez al-Assad, sempre presenti in tante città del paese, vengono abbattute, come a Rastan, città media della periferia nord di Homs, nel maggio 2011. Le parole d’ordine di sciopero generale sono sempre più seguite e raggiungono anche Damasco, rimasta fuori da questo tipo di mobilitazioni, nel giugno 2012:[33] i commercianti dei suk chiudono le tende per vari giorni, nonostante i tentativi dei servizi di sicurezza di costringere all’apertura dei negozi – uno sciopero ripetuto il mese successivo.
Occupare lo spazio pubblico
Di fronte a un regime che ha fatto del controllo dello spazio un elemento del suo dispositivo autoritario, i rivoluzionari ricorrono a una gamma molto variegata di iniziative per marcare il terreno della contestazione all’interno dello spazio pubblico.
L’appropriarsi dello spazio pubblico grazie a pratiche contestatarie consente, da un lato, di costruire la legittimità del movimento, a partire dai territori della contestazione. Permette inoltre di rendere visibile quest’ultima – donde l’importanza delle riprese video – e di lanciare messaggi alla comunità internazionale, come ad esempio la risposta fornita dagli abitanti di Binnish alla propaganda del regime, che attribuiva i tumulti a gruppi terroristici.
Infine, il moltiplicarsi delle manifestazioni sul territorio ne rende molto difficile il controllo. Così, i militanti mettono in atto strategie spaziali destinate ad aggirare la repressione. Primo esempio: un venerdì di maggio del 2011, i cittadini di Damasco sono stati invitati ad uscire a passeggio per le strade dei quartieri del centro per mobilitare lì una parte dei mukabarat e così allontanarli dai quartieri periferici, dove si svolgeva la parte essenziale dei cortei. Secondo esempio: nel maggio 2012, una delegazione di rivoluzionari di Suweida, capitale del paese druso in cui è fortissimo il controllo del regime e le manifestazioni filo-rivoluzionarie vengono subito represse, si sposta nella città di Bosra, vicina ma appartenente alla regione di Hauran, e qui viene ricevuta con tutti gli onori. I rivoluzionari del paese druso trasferiscono quindi fisicamente la loro rivolta presso i vicini sunniti con un atto pubblico e pubblicizzato dal corteo – e dai video che di questo si riprendono.[34]
Alle minacce di divisione nazionale e di frattura confessionale agitate dalla propaganda del regime, alle difficoltà di portare avanti una lotta comune mentre la repressione rende difficilissimo il coordinamento del movimento, la circolazione delle informazioni e quella delle persone, i contestatari siriani rispondono con simboli e immagini. Ad esempio, nelle città siriane sono state brandite riproduzioni dell’orologio dell’eponima piazza di Homs, in omaggio agli abitanti di questa città. I manifestanti sfilano gridando messaggi di solidarietà con le regioni, città o quartieri che subiscono la repressione, messaggi ritrasmessi dai video da un capo all’altro del pese. L’invenzione di un novo spazio nazionale solidale, fatto di parole e di immagini, risponde all’operazione di frammentazione che è al centro stesso della repressione del regime.
Rivoluzione e repressione
La natura molto locale delle manifestazioni è legata al contesto di emergenza della sollevazione, come abbiamo visto. È altresì il frutto della strategia di repressione del regime, che punta a spezzettare lo spazio della contestazione per protrarre il tempo della sollevazione per indebolire, e poi sconfiggere, una contestazione atomizzata in tanti focolai.[35]
Frammentare spazio e società per reprimere la rivoluzione
La frammentazione spaziale è soprattutto fisica, e si traduce in innumerevoli posti di blocco disposti lungo le strade principali, le autostrade, all’ingresso di citta di alcuni quartieri. Alcune città o determinati quartieri sono accerchiati dall’esercito, spesso in maniera quasi continuativa, come ad esempio in certi quartieri di Homs, intorno alla città di Rasta (a nord di Homs), di Duma (periferia nord-est di Damasco) o di Deraa.
Avviene anche utilizzando la paura. Paura delle campagne di arresti in massa,[36] paura di subire la tortura che ne consegue quasi sistematicamente,[37] paura delle rappresaglie sui propri cari. Paura della violenza dei shabbiha, milizie suppletive del regime che sparano sulle folle, procedono a perquisizioni di case, o partecipano ai massacri di popolazione che ci sono stati nella primavera 2012, ad esempio a Huleh il 25 maggio. Queste aggressioni e le campagne di bombardamento delle cittàche colpiscono in modo indiscriminato le popolazioni, sono strategie tendenti sia a piegare il nemico sia a incidere sugli stati d’animo, a scoraggiare la contestazione e a seminare la divisione fra le popolazioni colpite alla cieca da queste punizioni collettive.
La strategia di frammentazione dello spazio passa anche per i modi di rappresentare la situazione nel paese ispirati dall’apparato propagandistico del regime e che puntano a dimostrare che i torbidi sono geograficamente circoscritti e dovuti a elementi stranieri infiltratisi in Syria per spezzettare il paese. Per questo, è essenziale mettere in scena la calma: la stabilità della Siria contro i tentativi “esterni” di destabilizzarlo (da parte della Turchia, del Qatar, dell’Arabia Saudita, ecc.); la protezione fornita dal presidente contro i gruppi terroristi islamici (“al qaida”); ma anche la calma che regnerebbe in determinate regioni vitali per il regime. Queste regioni sarebbero in primo luogo e soprattutto le due principali metropoli nazionali, la capitale Damasco (quasi 5 milioni di abitanti) e Aleppo (3 milioni), il cui restare ai margini della sollevazione viene presentato come segno di adesione al regime. Se i quartieri centrali delle due metropoli, abitati da ceti medi e alti, e da commercianti e imprenditori preoccupati del buon andamento degli affari, sono più attendisti di altri, è comunque affrettato trarne la conclusione che aderiscano al regime. È invece consigliabile scrutare più da vicino la situazione.
Orbene, l’esempio di Damasco mostra adeguatamente come questa “calma” descritta dal regime come pure dai mezzi di comunicazione di massa sia stata assai relativa all’avvio della sollevazione: lo abbiamo accennato, è stato nei viali del principale suk della città vecchia che sono partiti i primi slogan nel febbraio 2012. Successivamente, si sono svolte regolarmente manifestazioni il venerdì, ad esempio il 25 marzo 2011, quando uno dei primi grandi cortei del paese è partito nel centro della grande moschea degli Omayyadi prima di uscire verso i suk della città vecchia, dove lo aspettava una contromanifestazione pro-Bachar che cercava di arginare i manifestanti. Altre manifestazioni “volanti”, rapidissime, si moltiplicano, studenti si radunano nel campus, vengono organizzate iniziative lampo, ad esempio nel settembre 2011, quando un gruppo di attivisti ha dipinto di rosso le acque del Barada, il fiumicello che scorre a Damasco e nella sua regione, per simboleggiare il sangue versato.[38] Soprattutto, ritenere che i “torbidi” che si verificano a Midan (nelle immediate vicinanze della città vecchia) o nella cintura periferica di Damasco, a Mo’adamiyyeh, Darayya, Jdaidet Artuz, Irbin o a Duma non riguardino la capitale significa, nel migliore dei casi, non riuscire a capire le dimensioni della metropoli – e, nella peggiore, si tratta di un’operazione propagandistica, vitale per il regime.[39] Questo secondo approccio consente di eliminare la dimensione politica della rivolta a pro di un’analisi di tipo socio-economico che la attribuisce alla miseria e, con questo, la limita alle periferie sociali (una rivolta della miseria) e geografiche (periferie della città o del paese).
Per finire, la “calma” delle grandi metropoli va inoltre attribuita agli incasellamenti securitari cui sono sottoposte le rispettive popolazioni. Infine, riesce bene ad associare rapidamente “calma” e adesione al regime, senza lasciare spazio agli atteggiamenti attendisti, certamente più frequenti.
Il quarto elemento del lavoro di frammentazione del regime consiste nel mettere in scena lo spettro dello scontro confessionale e del pericolo che costituirebbe la maggioranza sunnita per il resto delle comunità religiose siriane.[40] Di più, il presidente B. al-Assad presenta la propria appartenenza a una comunità minoritaria (quella alwita) come la garanzia dell’unità nazionale e della salvaguardia delle minoranze. Al di là di questa propaganda, la strumentalizzazione della diversità confessionale siriana avviene tramite l’esercizio selettivo della repressione. Il regime si è infatti preoccupato di preservare dalla repressione più brutale le culle storiche di determinate minoranze religiose ed etniche per dimostrare che stanno dalla sua parte perché è basso il numero delle vittime provenienti dalle loro file. Si tratta, ad esempio, di Salamiyeh, città di 130.000 abitanti situata ai margini della regione della steppa a est di Hama, nonché uno dei focolai della comunità ismaelita. Là le manifestazioni sono state numerose, stando alle testimonianze disponibili,[41] anche se il numero dei morti resta debole. Si nota lo stesso debole numero di vittime nel principale focolaio di popolamento kurdo (governatorato di Hassakeh), le cui popolazioni delle principali città Hassakeh, Qamishli si mobilitano e in cui i partiti kurdi sembrano godere di una relativa e inedita tolleranza da parte delle autorità fin dall’inizio della contestazione. Per attizzare lo scontro confessionale, il regime impiega del resto le sue milizie shabbiha che compongono, insieme a una parte dei servizi segreti e alle unità scelte dell’esercito, i tra bracci armati su cui si basa il regime. Poiché la loro lealtà deve essere assoluta, la selezione dei miliziani avviene esclusivamente in seno alla comunità alawita: un modo di legarne la sorte dei membri a quella della famiglia del presidente siriano. La brutalità dimostrata da queste milizie ravviva potenzialmente le tensioni con i gruppi presi di mira, essenzialmente sunniti. Anche le configurazioni locali sono sfruttate cinicamente, ad esempio al momento delle sopraffazioni della popolazione della primavera 2012 nella piana del Ghrab: popolazioni di cittadine sunnite sono state aggredite da forze del regime, tra cui miliziani alawiti reclutati nei villaggi dei dintorni.[42] Alcune famiglie sunnite sono state portate via e massacrate da miliziani alawiti, ad esempio la famiglia ‘Arib al-Salim.[43] Se il tentativo di attizzare divisioni confessionali non è riuscito, finora, a sfociare in quella che potrebbe diventare una logica di rappresaglie e di scontro intercomunitario, il protrarsi del conflitto potrebbe probabilmente portare a questo – una carta che il regime non intende lasciar cadere.
Dalla resistenza armata alla rivoluzione armata
Durante il primo anno di sollevazione, il regime ha utilizzato le sue forze di polizia, l’esercito e le sue milizie per rispondere con una repressione sistematica. Le truppe del regime – in particolare il corpo scelto della IV divisione meccanizzata, comandata da Maher al-Assad, dratello minore del presidente – sono state incessantemente in movimento da un capo all’altro del paese, reprimendo le manifestazioni, bombardando a volte le città (come a Lattaquié, la grande città costiera della Siria, bombardata da navi da guerra a metà agosto 2011) o sottoponendole a veri e propri assedi (Deraa): Di fronte a tale violenza dello Stato, alcuni siriani hanno deciso di impugnare le armi, dapprima per difendere le manifestazioni e gli abitanti, poi, per una parte di questi,[44] con l’obiettivo di contribuire direttamente alla caduta del regime. A lungo ridotte a pochi battaglioni mal equipaggiati, le file dell’opposizione armata si sono rafforzate a partire dalla primavera del 2012. Agli inizi di giugno, si stimava che il loro numero ammontasse a circa 40.000 combattenti.[45]
I membri dei gruppi armati che si definiscono “resistenti” (muqawamin) sono in maggioranza cittadini siriani,[46] cui si uniscono soldati e ufficiali disertori. Se la maggior parte dei gruppi armati si richiamano all’ELS, soltanto alcuni battaglioni impegnati sul campo dipendono direttamente dalla sua catena di comando.[47]
La contestazione armata è opera soprattutto di brigate organizzate localmente, con forme di collaborazione più o meno avanzate, ma senza un vero e proprio comando unificato, malgrado alcuni coordinamenti a livello regionale sotto forma di “consigli militari”.[48]
Durante l’inverno 2011-2012, i territori controllati dall’Els si sono estesi. Si tratta talvolta di un controllo temporaneo, ad esempio a Zabadani, una cittadina situata in montagna nei pressi di Damasco da dove l’Els è stato sloggiato nel febbraio 2012 dopo aver stabilito il proprio controllo per alcune settimane, o nel quartiere di Baba Amro nella città di Homs, da cui l’Els si è ritirato il 1° marzo 2012, dopo un mese di intensa offensiva governativa. A volte è più stabile, come nella regione di Idlib, nel nord del paese, dove la presenza di regime è ormai virtuale.
Nel luglio 2012, non si può non constatare che il regime è fallito nella sua impresa di riconquista: anche a Homs, persino nel quartiere di Baba Amro, l’Els era riuscito a riprendere piede qualche mese dopo. In altre regioni, come ad esempio quella dell’Hauran, la regione di Deraa, i gruppi non hanno in mano il paese, ma moltiplicano le scaramucce contro l’esercito, il che costringe il regime a stazionarvi in permanenza truppe che quindi non possono essere dispiegate altrove. Nel giugno 2012, un Rapporto della missione degli osservatori Onu riteneva nondimeno che il 40% del territorio siriano fosse sotto il controllo dell’opposizione armata.[49] Dopo la metà di luglio, è nei quartieri del “peri-centro” di Damasco (Midan, Kafer Susseh, Naher Aïsha) che hanno luogo gli scontri tra le forze del regime e combattenti dell’Els, come pure in alcuni quartieri centrali di Aleppo (Salah ed-Din, Sakhur).
Il rapporto di forze è numericamente sfavorevole per i combattenti dell’Els, dal momento che si ritiene che il nocciolo duro delle forze lealiste su cui conta il regime (corpi scelti dell’esercito, servizi di sicurezza, shabbiha) sia costituito da circa 200.000 uomini. Per giunta, i liberi combattenti dispongono soltanto di armi leggere, sostanzialmente quelle che portano con sé i disertori o quelle prese all’esercito in attacchi vittoriosi. Tuttavia, la forza dell’opposizione armata sta soprattutto nella sua dispersione - conseguenza della debole integrazione e dell’atomizzazione dei suoi gruppi, ma che le consente di occupare molteplici fronti, dal nord al sud del paese. Ora, le forze del regime si rivelano insufficienti per spegnere il propagarsi della militarizzazione della sollevazione quando la repressione si protrae e gli incendi dilagano ovunque.
Per lottare contro l’espandersi dei territori controllati dall’Els, per compensare l’insufficienza delle sue guarnigioni quando il teatro d’operazione diventa di dimensione nazionale, per aggirare la difficoltà di controllare ambienti urbani parzialmente mobilitati contro il regime e il cui tessuto è scarsamente propizio al dispiegamento di truppe, il regime ha lanciato a partire dal febbraio 2012 una campagna di massiccia repressione.
A titolo esemplificativo, nella sola giornata del 18 giugno, almeno 14 città situate in 9 governatorati hanno subito bombardamenti da parte dell’esercito, e 4 quartieri di Damasco erano accerchiati, controllati da posti di blocco.
La campagna aveva 3 obiettivi. Da un lato, riconquistare i territori controllati dall’Els ingaggiando l’artiglieria pesante, gli elicotteri e i carri armati. Dall’altro, precludere i principali poli urbani instaurando blocchi intorno alle città e ai quartieri passati all’opposizione, organizzando razzie, procedendo a esecuzioni sommarie. Infine, abbiamo detto, reinstaurare la paura, utilizzando indiscriminatamente e in maniera punitiva l’artiglieria pesante contro le città e lanciando operazioni mirate di terrore presentate come operazioni di ricerca di “terroristi” (di fatto, di disertori e di militanti dell’Els)[50] e che costituiscono il pretesto per massacri.
Conclusione: verso una nuova Siria
In questa estate 2012, il paese è in guerra, non una guerra civile, come ripetono con troppa fretta i commentatori, ma una guerra del regime contro la sua popolazione. Gli obiettivi bellici dell’operazione militare e poliziesca di repressione che ha lanciato non sembrano però raggiunti: i manifestanti continuano a scendere in strada e i gruppi dell’opposizione armata espandono la loro iniziativa territoriale, fino al cuore del potere. Tuttavia, se il regie sembra indebolito sul piano militare e poliziesco, la sua forza d’urto, basata soprattutto sulle armi russe, e la sua capacità di mobilitazione dei settori più lealisti della struttura securitaria non vanno sottovalutate.
A breve o medio termine sarà, però, condannato dall’impossibilità di reggersi in seno a una società largamente diventata ostile nei suoi confronti. Da questo punto di vista, sembra irrealistico lo scenario talvolta evocato del ripiegamento del clan Assad in uno Stato fantoccio centrato sulla montagna alawita. Questa non è un bastione omogeneo, immutabile e impermeabile alle tensioni e alle lacerazioni nazionali. Il regime di Bashar al-Assad cadrà per effetto della rivolta di una società siriana profondamente trasformata nel corso degli ultimi decenni e che scopre, dal marzo 2011, la sua capacità di innovazione politica, la sua solidarietà e la sua capacità di resistenza e di trasformazione (resilienza). (27 luglio 2012).
* Articolo tratto dal settimanale internazionale "La Vie des idées"
Traduzione di Titti Pierini dal francese.
[1] Fonte: Comitati locali di Coordinamento siriani.
[2] L’impossibilità di recarsi in Siria obbliga a servirsi soltanto di fonti secondarie, costruite da altri (reti di militanti siriani, giornalisti con accesso sul campo, relazioni di organismi internazionali), cui si aggiungono testimonianze raccolte tramite contatti personali in loco. Sono personalmente grata a Cécile Boëx e a Naura al-Azmeh, che hanno affiancato con la loro generosità l’elaborazione di questo articolo.
[3] Si veda nella Vie des idées l’articolo di Nora Benkorich: http://www,laviedesidees.fr/Trente...
[4] Per decreto presidenziale, i membri dei mukabarat non sono responsabili se non di fronte al Capo dello Stato Maggiore dell’Esercito e non di fronte alla giustizia, un decreto rinnovato ed esteso da Bachar al-Assad nel 2008.
[5] L. Vignal, “Comment peut-on être syrien?”, in Esprit, Parigi, luglio 2003.
[6] Si stima che, nel 2005, il 30% della popolazione vivesse sotto la soglia superiore di povertà (bisogni alimentari e non alimentari effettivi, non di base), l’11% rispetto alla soglia inferiore (generi alimentari e non alimentari di base) /cfr. H. El Laithy, K. Abu-Ismail, Poverty in Syria: 1996-2004. Diagnosis and Pro-Poor Policy Considerations, Undp, giugno 2005.
[7] M. Ababsa, C, Roussel, M. Al-Dbiyat. “Le territoire syrien entre intégration nationale et métropolisation renforcée”, in B. Dupret et al., La Syrie au present, Sindbad, Acte Sud, Arles, pp. 37-77.
[8] E, Picard, “Syrie: la coalition autoritaire fait de la résistence”, in Politique étrangère, Ifri, Parigi, 4, 2004.
[9] Id., “Espaces de référence et espace d’intervention du Mouvement rectificatf”, Tesi di dottorato in Scienze politiche, Iep, Parigi, 1984.
[10] “Capitalismo di amici”.
[11] L. Vignal, “Comment peut-on…”, cit.
[12] Rami Makhluf possiede la principale compagnia di telefonia mobile, Syriatel, una banca, i negozi di duty-free, una società di costruzioni, una compagnia aerea, due canali televisivi privati, importa auto di lusso, ecc. insieme ai principali uomini d’affari siriani, è uno dei principali azionisti della Cham Holding, la seconda della Syria, fondata nel 2006 e che investe nei campi dell’edilizia, delle infrastrutture, dell’aviazione e nel settore finanziario.
[13] Che costituisce la maggioranza della popolazione siriana.
[14] Il tasso di fecondità è passato da 6,7 nascite per donna a 2,9 nascite nel 2010. Fonte: Banca Mondiale (base dati World Data Bank, BM (http:///databank.worldbank.org/).
[15] Fonte: Ufficio Centrale di Statistiche, Damasco, 2011.
[16] Mentre l’analfabetismo è ormai residuale fra i 15-24 anni dei governatorati del sud e dell’ovest del paese, quelli poveri del nord e del nord-est (Aleppo, al-Hassakeh, Deir-ez—Zor e al-Raqqa) conoscono ancora elevati tassi di analfabetismo (dal 10% al 15% della classe d’età) affiancati da scarti tra i sessi a scapito delle ragazze).
[17] Ph. Fargues, “La famme dan les pays arabes: vers une remise en cause du système patraiarcal?”, in Population et Sociétés, n. 367, Parigi, febbraio 2003, e Id., Générations arabes: L’alchimie du nombre, Fayard, Parigi, 2003.
[18] Y. Courbage, E. Todd, Le rendez-vous des civilizations, La République des idées/Le Seuil, Parigi, 2007.
[19] Fonte: Ufficio Centrale di Statistiche, Damasco, 2011,
[20] Soprattutto Menbij (circa 230.000 abitanti, nel 2010) nel governatorato di Aleppo e, in zona kurda, Hassakeh (280.000 ab.) e Qamishli (250.000 ab.).
[21] Deir-ez-Zor (260.000 abitanti) , Raqqa (370.000 ab.).
[22] La Legge n.10/101 che favorisce gli investimenti privati ha avvantaggiato in particolare questa attività.
[23] Hassan Abbas sviluppa quest’analisi in un recente articolo, “Governance of Diverity in Syria”, in Arab reform Iniztative Projects, giugno 2012.
[24] Ziad Majed, “L’Êtat de barbarie persiste en Syrie, mai la tirannie recule devant la révolution”, in Le Monde, 15 maggio 2012.
[25] Il 95% dei morti registrati dal sito syrianshuhada.com sono vittime civili
[26] Ad esempio: Messaggio politico (16° venerdì: “Venerdì della partenza” - di Bachar al-Assad); 37°: “L’Esercito libero mi protegge”; messaggio di unità (13°: “Venerdì delle tribù”; 28: “L’unità dell’opposizione”): messaggio di solidarietà con le città colpite dalla repressione (47°: “Hama desolata, perdonaci”; 50°: “Ci solleveremo per te, Baba Amro” – quartiere bombardato dall’esercito nel febbraio-marzo 2012); appelli alla comunità internazionale (33°: “Zona di esclusione del traffico aereo”); o commenti alle proprie posizioni (48°: “La Russia uccide i nostri figli” – dopo il veto russo al Consiglio di Sicurezza nel marzo 2012). Tutte le settimane, si organizza una votazione per scegliere il nome del successivo venerdì, a partire da una pagina pubblicata su Facebook.
[27] Fonte: Cécile Boëx, “Usage de la video par les manifestants et les activistes”, comunicazione, Giornata di studi, Ehess, Parigi: “Sirya: Genesi, dinamica e posta in gioco del movimento di rivolta”, 10 maggio 2012.
[28] Recarsi in un ospedale pubblico significa incorrere nell’arresto.
[29] In vigore dal 1963, vieta, tra l’altro, i raduni pubblici; ufficialmente soppresso nell’aprile del 2011, resta ancora di fatto.
[30] Il nome vero: piazza Shukri al-Kuwatli.
[31] Fonte: Comitati Locali di Coordinamento (http://www.cclsyria.org/9213, 1 luglio 2012).
[32] Fonte: SRCC, Day 258, Sunday 27 November 2011.
[33] In seguito al massacro della cittadina di Huleh vicino Homs,che ha provocato più di 100 morti attribuiti al regime.
[34] Ringrazio Cécile Boëx per avermi segnalato questo video, insieme all’mmagine di Binnish.
[35] Hamit Borzalan, “Configurations arabes: Syrie et Libye versus Tunisie et Egypte”, comunicazione, Giornata di studi, Ehess, in “Genèse…”, cit.
[36] A luglio 2012, vi sarebbero oltre 216.000 arrestati tra marzo 2011 e metà-luglio 2012 secondo Srcc (Syrian Daily Round-up, 20 luglio 2012), la stima più elevata disponibile.
[37] Si veda il Rapporto di Human Rights Watch, “Torture Archipelago, Arbitrary Arrests, Torture and Enforced Disappearances in Syria’s Unferground Prisons since March 2011, 3 luglio 2012 (http://www.hrw.org/reports/2012/07...
[38] Fonte: Layla al-Zubaidi, “Diary”, in London Review of Books, vol. 34, n. 10, 24 maggio 2012, p. 39. Gruppo Freedom Days: http://www.facebook.com/Freedom.Days.Syria.
[39] L. Vignal, “Jours tranquilles à Damas. Quelques aperçus sur la révolte syrienne à la mi-may 2011”, in Esprit, luglio-agosto2011.
[40] In Siria, la popolazione è, per il 70-75%, di confessione sunnita, per il 12% (il 20%, secondo le stime più alte) di confessione alawita (una setta dell’islam sciita), dal 5% al 10% di confessione cristiana (all’interno di varie chiese), dall’1% al 3% drusa (una branca settaria dell’islam sunnita) e dall’1% al 3% di confessione ismaelita (idem). I kurdi siriani, di confessione sunnita, rappresentano circa il 15% della popolazione.
[41] Ad esempio, stando ai video di manifestazioni postate su Youtube, 55 corrispondono a manifestazioni svoltesi a Salamiyeh (il 24 gennaio 2012), una media cioè di 6 manifestazioni al mese tra aprile 2011 e giugno 2012. Costruito in base a un’unica fonte, questo conteggio è per forza di cose limitato, ma è indicativo della dinamica contestataria locale.
[42] Nella province di Homs e di Hama: Huleh, Taldo, Qbeir, al-Haffeh, Salma, Suran, Treimseh.
[43] Fonte: Testimonianza di un familiare e pagina Facebook: http://www. facebook.com/aribalsalim.
[44] Una posizione che è stata discussa in seno all’opposizione, benché l’Esl abbia riconosciuto e sia stato riconosciuto dal Consigli nazionale siriano, la principale base dell’opposizione.
[45] Fonte: Rapporto dell’ Institute for the Study of War, Syria’s maturing insurgency, Washington D.C., giugno 2012.
[46] Fonte: Rapporto dell’ Institute for the Study of War, Syria’s armed opposition, in op. cit., p. 13.
[47] La brigata Khalid bin Waliid, attiva vicino Homms; il battaglione Harmush, nella regione montuose del Jebel Zawiya, a sud-est della città di Idlib; il battaglione Omari al sud, nella piana di Hauran (regine di Deraa); il battaglione Abu al Fidas e il battaglione Osma Ibn Zaid a nord della città di Hama; o il battaglione Faruq, a Oms, al centro dello scontro con l’esercito, nel febbraio2012.
[48] Fonte: Syria’s maturing insurgency, cit.
[49] Cit. da Thomas Pierret, “Syrie, possible succès des rebelles”, in Le Monde, lunedì 2 luglio 2012.
[50] Gli osservatori della missione Onu sono ad esempio arrivati a concludere in questo senso in seguito al massacro verificatosi nella cittadina di Treimseh, nella provincia di Hama, il 14 luglio 2012 (http://www.unmultimedia.org/unif...).

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