domenica 9 dicembre 2012

Spagna: Il ritorno della mulier domestica?


Le politiche di uscita dalla crisi provano a scaricare il peso sulle spalle delle donne. Che, ovviamente, non ci stanno. Testimonianza spagnola dall'autrice di "Pianeta indignato"

Riportare le donne in casa. Questo, a quanto pare, sarebbe il rimedio a cui le attuali politiche cercano di ricorrere per venir fuori dalla crisi. L’orientamento ideologico è chiaro, tanto a livello economico quanto sociale.
Non ci vuole molto a capire che per far fronte ai tagli perpetrati ai servizi pubblici di base - come la salute, l’insegnamento ed altre varie agevolazioni sociali, come quelle previste dalla Legge sulla Dipendenza [N.d.T. La legge per la promozione dell’autonomia delle persone non autosufficienti, adottata nel 2006 sotto il governo di Zapatero] - l’impegno dell’assistenza alla famiglia, invisibile ma necessario, aumenta e finisce per ricadere maggiormente sulle donne.
Così il costo della crisi si abbatte sul popolo. Ecco l’attacco frontale ad un già malconcio stato sociale.

Non è una novità che il sistema capitalista si perpetui in buona misura attraverso il lavoro domestico non salariato che noi donne svolgiamo, soprattutto a casa. Una quantità di lavoro enorme, non remunerato, di cui non ci si può dimenticare e di cui il capitalismo ha bisogno per reggere.
Poco dopo il suo insediamento, il PP [N.d.T. Partito Popolare spagnolo di Rajoy] ha annunciato un taglio di 283 milioni di euro nel budget già anemico della Legge sulla Dipendenza, trascinandola al limite della revoca. Questa misura, oltre a lasciare circa 250.000 persone senza aiuto, ha reso praticamente impossibile l'inserimento di nuovi beneficiari, aumentando il carico di pressione sulle donne. L’assistenza, che non viene più assunta dall’amministrazione pubblica, finisce per ricadere inevitabilmente sul settore privato, a casa e, in particolare, sulle madri e sulle figlie di persone non autosufficienti. Il benessere della famiglia resta in equilibrio solo al costo di incrementare il lavoro domestico.

Da notare che, secondo i dati forniti dall'Istituto Nazionale di Statistica (Ine) per l’anno 2010, il 96,4% delle persone che avevano dichiarato di non essere in cerca di lavoro per motivi di famiglia (nascita di un figlio, familiari ammalati o disabili, ecc.), erano donne. Risulta evidente che il tasso di occupazione femminile è subordinato al ruolo familiare e decresce proporzionalmente all’aumentare del numero di figli: se la percentuale di donne senza figli che lavorano è pari al 77%, il tasso di occupazione delle donne con figli è pari al 52%. Per contro, il tasso di occupazione maschile non sembra turbato da questi dati. Conclusione: conciliare lavoro e famiglia per molte donne è impossibile e, qualora sia possibile, implica instabilità e ritmi di vita frenetici e insostenibili.
Anche le altre misure adottate dal governo, come il congelamento delle pensioni e l’aumento delle annualità per la maturazione dei requisiti di anzianità contributiva, hanno conseguenze molto negative per le donne. La diffusione dell'economia informale e una vita professionale intermittente proprio a causa dell’assistenza dovuta ai familiari non autosufficienti, rendono difficile il raggiungimento delle annualità minime di contribuzione.
Le donne, che per il 77,6% hanno contratti part-time, sono in testa alla classifica dei lavoratori maggiormente malpagati e socialmente svalorizzati. E la precarietà, incoraggiata ancor di più dall'ultima riforma del lavoro, ostacola la nostra autonomia e l’armonia tra vita personale e vita familiare. L’accesso al mercato del lavoro è ben lungi dall’essere paritario per i due sessi. Le donne guadagnano in media circa il 22% in meno all'anno rispetto ai colleghi maschi, secondo l'ultima Indagine Annuale sulla Struttura Salariale pubblicata nel 2009 dall’INE, e questa discriminazione salariale aumenta con l’aumentare del livello di istruzione.
Al di là di tutti questi tagli, ci troviamo di fronte ad una crescente offensiva reazionaria contro i diritti sessuali e riproduttivi. La proposta di riforma del Pp della legge sull'aborto, che mira a limitare ulteriormente le condizioni, i termini e i casi di aborto, è solo la punta dell’iceberg di quelle politiche antiprogressiste, favorevoli all’imposizione di un modello sociale eterosessuale basato sulla riproduzione, che mirano a tenere sotto controllo la capacità riproduttiva delle donne.
Vogliono privarci del diritto di decidere sui nostri corpi e sulle nostre vite, minacciando addirittura sanzioni penali in caso diaborto.
Oggi 25 novembre si celebra la Giornata Mondiale contro la violenza maschile, al fine di rendere visibile una violenza invisibile ma persistente e quotidiana contro le donne, che nel contesto della crisi attuale non fa che esacerbarsi. Nel secondo trimestre del 2012, le denunce per violenza maschile sono aumentate del 5,9% rispetto ai primi tre mesi dell'anno. E le donne che subiscono abusi sono sempre più abbandonate a loro stesse, a causa della riduzione dei servizi pubblici.
Il CiU [N.d.T. Convergenza e Unione, partito nazionalista di destra al potere in Catalogna] ha anticipato al 25 novembre, le elezioni per il rinnovo del Parlamento catalano e la giunta elettorale ha vietato la manifestazione che doveva svolgersi e che, in ogni caso, si terrà avanti. Ma, come la sezione Donne della Federazione delle associazioni di quartiere di Barcellona, segnala: "Non è la manifestazione dei gruppi femministi che coincide con la data delle elezioni, sono le votazioni ad essere state anticipate per il 25 novembre". Un fatto che dimostra, ancora una volta, l'assenza di interesse da parte dei politici per la questione.
Insomma, uscire dalla crisi equivale per i governi a riportare le donne in casa, recuperando atavici ruoli familiari stabiliti per genere. Si tratta di una vera e propria offensiva lanciata contro i nostri diritti economici e riproduttivi. Ma noi non lo permetteremo. Non importa se qualcuno non sarà d’accordo, spetta a noi decidere. Il ritorno della mulier domestica? Neanche per sogno.
*Esther Vivas, giornalista è autrice di “Planeta indignado” di prossima pubblicazione per Edizioni Alegre.
**Traduzione: Marilena Inguì. Tlaxcala.

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