martedì 25 dicembre 2012

Cambiare metodo, cambiare politica


Il magistrato sbarca a Roma e lancia il "quarto polo". Non scioglie ancora il nodo della candidatura ma ormai è il leader. Con un discorso generico e ricco di aperture al Pd


Piero Maestri
"Non ho preclusioni ideologiche nei confronti di nessuno. Spero che neppure il Pd le abbia nei nostri riguardi: serve un confronto con loro.... non cerchiamo alleanze elettorali, cerchiamo un confronto politico; non facciamo testimonianza, vogliamo governare". Queste frasi di Antonio Ingroia pronunciate alla «sua» assemblea del teatro Capranica pesano come macigni sull'assemblea nazionale di «Cambiare si può» di sabato 22 dicembre.
L'obiettivo del magistrato siciliano è piuttosto esplicito: la formazione di un «quarto polo» elettorale con liste distinte dal centrosinistra; una certa innovazione nelle candidature che lasci in secondo piano i personaggi più in vista dei partiti che hanno detto di sostenerlo (IdV, Prc, PdCI...); dialogo con il Pd e una campagna elettorale non troppo «cattiva» nei confronti di quest'ultimo per lasciarsi aperte le strade di accordi successivi, di governo o sostegno in qualche modo.
Obiettivi che i partiti sopra citati sembrano disponibili ad accettare: il Prc perché questa è l'ultima spiaggia per tornare in parlamento con qualche deputato e rientrare così nei giochi della «politica alta"; Di Pietro e la sua Italia dei Valori in piena crisi (e ancora di più i decotti «comunisti" italiani di Diliberto) perché fornisce loro l'occasione per potersi presentare all'elettorato con un po' di riverniciatura sfruttando l'autorevolezza di Ingroia (che ha sempre riconosciuto i «meriti» di Di Pietro, ricambiato con l'appoggio organizzativo in queste settimane).

Anche sul piano dei programmi i problemi sono evidenti. Se i «10 punti» di «Cambiare si può» rappresentano una base di discussione avanzata, in direzione antiliberista e di difesa del bene pubblico, il “decalogo” di Ingroia è decisamente poco di sinistra e contiene affermazioni imbarazzanti e inaccettabili per chi vorrebbe presentarsi come alternativo: pensiamo all'idea reazionaria secondo la quale in Italia gli imprenditori subiscano ancora «lacci e laccioli» burocratici o di tasse; oppure quanto si dice sulla scuola con l’avallo dell’ideologia del “merito” con cui sono stati troppo spesso giustificati enormi tagli di risorse all’istruzione pubblica statale.
Nell'assemblea del Capranica Ingroia ha aggiustato il tiro su diversi argomenti: per esempio in difesa dell'articolo 18 e contro l'idea che sia questo la causa dei mancati investimenti - anche se poi da magistrato questa mancanza ritiene sia causata dal ruolo delle mafie, e non dalle scelte speculative e dalla ricerca di profitto a basso costo degli stessi imprenditori.
Ma nell'insieme ha ribadito esplicitamente il valore del suo decalogo.

La stessa richiesta ai partiti di «fare un passo indietro» non va nella direzione di un cambio di passo delle modalità di costruzione delle liste e dei programmi, che vengono ancora una volta calati dall'alto e segnati dall'accordo di vertice tra «autorevoli» esponenti della società civile (ma chi? De Magistris? Leoluca Orlando?) e gli stessi partiti - con i quali si definiscono i confini dell’alleanza e si getta un ponte al rapporto politico con il centrosinistra.
D'altra parte persino Paolo Ferrero non esclude qualcosa di simile. Nell'intervista al Fatto quotidiano, alla domanda: «Farete la corte a Pd e Sel?» risponde: «Loro vogliono il proseguimento dell’agenda Monti. Semmai se ne parla dopo le elezioni. In tempo di crisi può succedere di tutto» (corsivo nostro): una dichiarazione che ricorda un precedente «aforisma» bertinottiano secondo il quale «in politica mai dire mai».....
Forse è anche per questo che in Lombardia il suo partito ha deciso di stare nell'alleanza di centrosinistra e quindi sostenere il Pd e il suo candidato Ambrosoli, che con la sinistra proprio nulla c'entra. Anche lì la logica è chiara: dopo 4 anni fuori dal Consiglio regionale, è ora di tornarci, e la garanzia sta nell'alleanza con il centrosinistra «ovviamente giustificata con la «necessità di battere la destra»).

Tutti questi giochetti fanno rientrare dalla finestra quelle tanto aborrite manovre politiciste che si volevano far uscire dalla porta e ripropone logiche elitarie che non rispettano in alcun modo le discussioni delle assemblee locali. Ma questo finale va bene al progetto di «Cambiare si può»?
Condivido in merito le preoccupazioni e le speranze segnalate da Guido Viale e Marco Rovelli sul manifesto del 19 e del 21 dicembre. Le assemblee del progetto “Cambiare si può”, sia quella nazionale che quelle locali, hanno infatti rappresentato un dato molto positivo per la partecipazione, per la discussione approfondita, per lo spirito unitario che le ha animate e per l’interesse e il consenso che hanno ricevuto contenuti di radicale alternativa alle politiche liberiste, al cappio del debito, alla distruzione del bene pubblico. Altrettanto esplicita, nella gran parte delle assemblee, l'affermazione di un percorso alternativo a quello del centrosinistra a guida Pd, con il quale evitare accordi elettorali e politici - prima, durante e dopo le elezioni.
Questo percorso - che torna in assemblea il 22 dicembre - rappresenta una grande occasione che rischia di non essere sfruttata, anzi, di essere sacrificata sull’altare delle alleanze politiche verticistiche.

In tante e tanti abbiamo partecipato alle assemblee locali portando proposte programmatiche, idee, una concezione della politica come passione e impegno dal basso (e a sinistra). Per questo ancora speriamo che l’assemblea nazionale del 22 dicembre possa ribaltare il verticismo di Ingroia e dei partiti che lo sostengono e riproponga un progetto alternativo al centrosinistra, con il quale non si possono e non si devono fare accordi politici, elettorali e di governo; un’alternativa con chiari e forti punti programmatici, che partono dai “10 punti” di “Cambiare si può” e vadano oltre – con una decisa impostazione antiliberista (e robuste iniezioni anticapitaliste, se possibile...) e di riappropriazione della partecipazione democratica e di diritti e poteri per le classi subalterne, quelle che hanno finora pagato la crisi.
Un cammino che non potrà avere come compagni di strada i Di Pietro, i Diliberto, gli Orlando – che sono parte (grande parte) del problema della sinistra, non la soluzione. La soluzione deve essere trovata nella partecipazione, in nuove forme di costruzione non di una «rappresentanza politica» (o peggio di una «rappresentazione» politica) quanto di una diretta assunzione di responsabilità da parte delle/dei protagoniste/i dei movimenti e delle lotte sociali. Una strada forse più tortuosa di quella che sembra prevalere, ma l'unica che può evitare gli errori del passato.

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